Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 giugno 2021, n. 24908

Sicurezza sul lavoro, Decesso del lavoratore, Mancata
predisposizione di linee vita nel cantiere, Responsabilità, Obbligo di
accertare che il preposto usi effettivamente i poteri conferitigli

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza
in epigrafe, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 21/04/2016 dal
Tribunale di Rimini, ha rideterminato in euro 40.000,00 la sanzione pecuniaria
irrogata alla V. Prefabbricati s.r.l. ai sensi dell’art.12, comma 3, d. Igs. 8 giugno
2001, n.231 confermando la condanna per gli imputati, tra i quali P. G., in
relazione al reato previsto dall’art. 589, commi 1
e 2, cod. pen. per aver cagionato, in qualità di datore di lavoro, il 18
dicembre 2009 in Santarcangelo di Romagna, la morte di P. A., dipendente della
V. Prefabbricati s.r.I., avendo omesso, in violazione dell’art. 111, comma 1 lett. a), d. Igs.
9 aprile 2008, n. 81, di predisporre il previsto sistema di protezione
individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi durante il lavoro in
quota installando, prima di sollevare e posare l’elemento prefabbricato in
quota, le paline o puntoni, ossia elementi di fissaggio e fune di trattenuta ai
quali assicurare l’imbragatura che gli operai in quota avrebbero dovuto
indossare come previsto dall’art.
115, comma 3, d. Igs. n. 81/2008.

2. Il fatto è stato così ricostruito nelle fasi di
merito: il 18 dicembre 2009 erano in corso lavori presso il cantiere edile dove
operavano la ditta S. Costruzioni S.p.A., appaltatrice, e la ditta V. Prefabbricati
s.r.I., subappaltatrice; A. P., dipendente della V. Prefabbricati s.r.I., stava
eseguendo delle misurazioni su una trave prefabbricata sita all’altezza di
circa 6 metri dal suolo insieme ad un collega, quando era scivolato e caduto a
terra; le lesioni riportate avevano condotto il lavoratore al decesso in data
24 dicembre 2009; nel cantiere non era stata riscontrata la presenza di linee
vita; il lavoratore al momento dell’infortunio svolgeva attività pienamente
rientranti nelle sue mansioni, consistenti nella misurazione delle travi della
struttura in edificazione in vista della posa sulle stesse del solaio;
nonostante la difesa avesse evidenziato che il lavoratore, che rivestiva la
funzione di preposto, aveva deciso di svolgere tali mansioni senza utilizzare
l’apposita piattaforma per salire in quota e nonostante quel giorno vi fosse un
divieto di lavorare a causa del ghiaccio presente sulle travi, il datore di
lavoro era stato ritenuto responsabile di non aver predisposto nel cantiere le
c.d. linee vita.

3. Il giudice di primo grado aveva ritenuto
responsabile la società V. Prefabbricati s.r.l. ai sensi del d. Igs. n.231/2001 individuando il requisito
dell’interesse o il vantaggio per l’ente nell’illecito risparmio sulle spese
per la sicurezza derivante dalla mancata predisposizione di linee vita nel
cantiere.

4. Ha proposto ricorso per cassazione G. P.,
premettendo quanto segue: a) il datore di lavoro aveva fornito apposite
piattaforme meccaniche per svolgere attività in quota; b) le linee vita erano
presenti nel cantiere ancorché talune travi ne fossero sprovviste; c) la trave
dalla quale è caduto il lavoratore era ad un’altezza raggiungibile con le
piattaforme meccaniche, peraltro in minor tempo di quello effettivamente
impiegato dalla vittima; d) il lavoratore aveva superato una transenna con
divieto di accesso presente sul cantiere e aveva poi percorso una scala in
opera per raggiungere la trave dalla quale era poi precipitato; e) tutti i
lavoratori avevano a disposizione le cinture di sicurezza, che il P. non aveva
indossato; f) il lavoratore operava nel cantiere in qualità di preposto e nel
cantiere operavano per la medesima ditta V. Prefabbricati s.r.I., in qualità di
dirigente e capo cantiere, due coimputati; g) prima dell’apertura del
dibattimento, il ricorrente, per mezzo della società V. Prefabbricati s.r.I.,
da lui amministrata e di cui è socio, aveva integralmente risarcito ogni danno
derivante dal reato contestato, versando in favore dei prossimi congiunti della
vittima la somma pari ad euro 205.000,00 come da transazione prodotta al
Tribunale; h) l’Ente e lo stesso P., in qualità di socio, non avevano ricavato
dalla contestata omessa adozione di opportune cautele se non un risibile
vantaggio economico, commisurato alla somma pari ad euro 1.700, irrisoria
rispetto alle ingenti spese affrontate in tema di sicurezza sul lavoro; i) non
erano state riscontrate gravi carenze organizzative nel cantiere e i lavoratori
erano stati regolarmente formati anche sull’utilizzo delle piattaforme
elevatrici.

4.1. Poste tali premesse, con il primo motivo di
ricorso P. G. deduce vizio di motivazione in ordine all’asserita impossibilità
dell’impiego dei dispositivi di protezione collettiva rappresentati dalle
piattaforme elevatrici indicando come entrambe le pronunce di merito, pur
riconoscendo che i lavoratori fossero stati forniti di cinture di sicurezza e
che fossero presenti due piattaforme elevatrici, hanno ritenuto tali
circostanze non sufficienti ad assolvere l’obbligo di garanzia in quanto le
piattaforme non potevano considerarsi sostitutive rispetto ai dispositivi linee
vita, fondando tale assunto sul fatto che in quota dovessero andare due operai
mentre nella piattaforma ne entrava uno e l’altro si doveva muovere al limite fino
al solaio per cercare di prendere le misure.

4.2. Con un secondo motivo deduce omessa motivazione
in merito alle peculiarità della posizione di garanzia che assume il datore di
lavoro rispetto alla che concerne l’approntamento delle misure antinfortunistiche
e quello che posizione di dirigenti e preposti nonché omessa distinzione tra il
piano valutativo concerne la vigilanza sulla concreta attuazione delle stesse.
Secondo il ricorrente entrambe le sentenze di merito hanno svolto un percorso
argomentativo non accettabile alla stregua dei canoni di elaborazione della
motivazione in tema di sicurezza sul lavoro e in tema di posizioni di garanzia
elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, posto che non rispettano il
criterio di differenziazione della posizione di colui che è tenuto
all’approntamento delle misure antinfortunistiche rispetto a quella di colui
che è tenuto alla vigilanza sulla concreta attuazione delle stesse. In
particolare, l’amministratore e legale rappresentante di una società, specie se
di ampie dimensioni, non può essere automaticamente ritenuto penalmente
responsabile di ogni violazione degli obblighi antinfortunistici qualora abbia
specificamente investito i preposti, tenuti a far osservare le regole di
condotta a tutela della sicurezza sul lavoro; secondo la giurisprudenza di
legittimità, infatti, l’obbligo di accertare che il preposto usi effettivamente
i poteri conferitigli non può estendersi sino a richiedere la continua presenza
sul luogo del datore di lavoro, amministratore di società di notevoli
dimensioni. L’assunto difensivo per cui il datore di lavoro aveva svolto
diligentemente il suo ruolo di garante della sicurezza predisponendo
un’adeguata valutazione dei rischi, approntando idonee misure
antinfortunistiche e individuando un dirigente ed un preposto per la loro
concreta attuazione e per la vigilanza sul rispetto di esse è stato, si assume,
platealmente trascurato dai giudici di merito, che hanno fondato la condanna
sul presupposto che l’assenza di linee vita sulla trave comportasse
l’indistinta responsabilità di tutti gli imputati nonostante il lavoratore
infortunato, in qualità di preposto, avrebbe dovuto immediatamente segnalare al
datore di lavoro la ipotizzata carenza del sistema di prevenzione e avrebbe
dovuto evitare di attraversare la trave ghiacciata in superficie senza
indossare alcun tipo di protezione individuale. Nel ricorso si lamenta,
altresì, l’omessa distinzione della posizione di garanzia del coordinatore per
l’esecuzione dei lavori rispetto a quella del datore di lavoro, essendo emerso
che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori aveva omesso di segnalare al
committente o responsabile dei lavori l’inosservanza di disposizioni
antinfortunistiche e aveva omesso di sospendere le lavorazioni.

4.3. Con un terzo motivo deduce violazione di legge
e vizio di motivazione in relazione all’omessa valutazione della circostanza
attenuante di cui all’art. 62, comma 1 n. 6, cod.
pen. in quanto, nonostante l’imputato avesse versato prima dell’apertura
del dibattimento il risarcimento del danno ai congiunti dell’infortunato, tale
circostanza attenuante è stata valutata esclusivamente in senso favorevole
all’Ente, senza alcuna motivazione in merito alla doglianza difensiva.

5. La V. Prefabbricati s.r.l. ha proposto ricorso
per cassazione deducendo, con un primo motivo, nullità ai sensi dell’art. 178 lett.c) cod. proc. pen., debitamente
eccepita, in quanto il pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari,
pur notificando l’avviso previsto dall’art. 415 bis
cod. proc. pen., ha omesso di nominare alla V. Prefabbricati s.r.l. un
difensore d’ufficio. L’eccezione è stata rigettata dalla Corte di Appello sul
presupposto che la partecipazione al processo da parte dell’Ente fosse
subordinata alla costituzione nel procedimento, richiamandosi tuttavia una
giurisprudenza superata dalla pronuncia delle Sezioni Unite n.33041/2015 che ha
riconosciuto all’Ente indagato ma non ancora costituito la necessità che sia
assicurata l’effettività di una difesa piena attraverso la nomina del difensore
d’ufficio.

5.1. Con un secondo motivo deduce mancanza della
motivazione in quanto la Corte di Appello non si è pronunciata sulla eccezione
di nullità della sentenza di primo grado per mancanza delle conclusioni del
pubblico ministero; la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi su tale
censura, volta a mettere in risalto che la sentenza di condanna in primo grado
della V. Prefabbricati s.r.l. è stata emessa dal tribunale senza che il
pubblico ministero rassegnasse le conclusioni nei confronti della persona
giuridica.

5.2. Con un terzo motivo deduce inosservanza ed
erronea applicazione dell’art. 5,
comma 1, d. Igs. n. 231/2001 in punto di riconoscimento del vantaggio della
persona giuridica. Secondo la difesa occorre distinguere la nozione di
interesse, collegata all’azione della persona fisica, in rapporto di
immedesimazione organica con l’Ente, che agisce allo scopo di far conseguire
un’utilità alla persona giuridica, dalla nozione di vantaggio, sussistente
quando la persona fisica violi sistematicamente le norme di prevenzione
realizzando una politica di impresa disattenta alla sicurezza sul lavoro in
vista di una riduzione dei costi e di una riduzione di spesa; nel caso in
esame, si assume, la sistematicità della violazione non è stata accertata ed il
requisito del vantaggio è stato assunto apoditticamente, anche perché nel
giudizio di merito era emerso che il cantiere non fosse affetto da gravi
carenze organizzative e che le scelte imprenditoriali non fossero finalizzate a
privilegiare una politica di risparmio rispetto alla sicurezza dei lavoratori.
La Corte di Appello ha omesso ogni argomentazione utile a ritenere la
violazione della norma cautelare eziologicamente collegata ad una scelta di
politica aziendale e non ha evidenziato l’ulteriore criterio oggettivo
dell’interesse preordinato al risparmio, omettendo di valutare la sistematicità
della violazione e la sua effettiva riconducibilità a un g interesse o
vantaggio dell’Ente secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di
legittimità.

5.3. Con un quarto motivo deduce erronea
applicazione dell’art. 12, comma
3, d. Igs. n.231/2001 per avere il giudice di appello erroneamente
quantificato la pena, applicando alla sanzione inflitta dal tribunale una
riduzione pari a un terzo pur avendo riconosciuto l’applicabilità della
disposizione che prevede la riduzione dalla metà a due terzi.

6. Il difensore di G. P. ha depositato memoria
contenente un motivo nuovo in punto di elemento soggettivo del reato, avendo la
Corte territoriale trascurato le indicazioni in tema di obbligo motivazionale
nel reato colposo fornite dalla giurisprudenza di legittimità.

7. Il Procuratore Generale, nella requisitoria
scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento
sanzionatorio con riferimento alla circostanza attenuante di cui all’art.62 n.6 cod. pen. e per il rigetto nel resto
del ricorso proposto da G. P.; per l’annullamento senza rinvio e
rideterminazione della sanzione pecuniaria in euro 20.000,00 e per il rigetto
nel resto del ricorso proposto dalla V. Prefabbricati s.r.l.

8. Il difensore di G. P. ha depositato conclusioni
insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.

9. Il difensore della V. Prefabbricati s.r.l. ha
depositato conclusioni insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.

 

Considerato in diritto

 

1. Preliminarmente, va esaminata la questione di
nullità proposta nel primo motivo di ricorso della V. Prefabbricati s.r.I., non
senza rilevare altrettanto preliminarmente, con riguardo ad altra censura
svolta dalla medesima parte ricorrente, la regolare formulazione di
conclusioni, riportate nelle intestazioni delle sentenze, da parte della
pubblica accusa in entrambe le fasi di merito.

1.1. Deve essere sottolineato che il d. Igs. n.231/2001 ha previsto alcune forme di
procedura speciali per l’accertamento della responsabilità delle imprese per
illeciti amministrativi dipendenti da reato, regolate dagli artt.34-82 del testo normativo.
Risulta, altresì, evocato il principio di sussidiarietà laddove l’art.34 aggiunge che il rito è
regolato anche «secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del
decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271», in quanto compatibili e l’art.35 prevede che all’impresa
si applichino anche, con il solito limite della compatibilità in concreto, «le
disposizioni processuali relative all’imputato». La normativa coniuga, dunque,
esigenze di effettività dell’accertamento ad esigenze di garanzia del diritto
di difesa dell’ente strettamente correlate alla vicinanza dell’illecito
amministrativo al fatto-reato, cosicché le norme del codice di procedura devono
essere applicate sulla base del duplice presupposto che non vi sia una norma
speciale che disciplini l’atto e che vi sia compatibilità tra le norme speciali
e le norme del codice di procedura penale. Con specifico riguardo alla difesa
tecnica, l’art.40 prevede
che l’ente che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è
assistito da un difensore di ufficio, mentre con riguardo alla fase che precede
la contestazione dell’illecito (art.59),
la legge speciale prevede che l’informazione di garanzia inviata all’ente
contenga l’invito a dichiarare ovvero eleggere domicilio per le notificazioni
nonché l’avvertimento che per partecipare al procedimento deve depositare la
dichiarazione di cui all’articolo
39, comma 2 (art.57).
Sul dubbio interpretativo concernente la nozione di «partecipazione» in relazione
alla fase delle indagini preliminari, è intervenuta la pronuncia della Corte di
Cassazione a Sezioni Unite al fine di dirimere la questione se in tale fase
l’ente goda del diritto di fruire della assistenza difensiva (ivi comprese le
facoltà che il codice riconosce al difensore) indipendentemente dall’atto
formale di costituzione posto in essere a norma dell’art. 39.

1.2. La Corte di legittimità, nel suo massimo
consesso, ha ritenuto di enucleare dal citato art.57 il principio secondo il
quale dalla scansione procedinnentale segnata dall’invio dell’informazione di
garanzia all’ente, che contiene, tra l’altro, l’avvertimento che, per
partecipare al procedimento, deve depositare la dichiarazione di cui all’art. 39., comma 2, l’urgenza
della reazione difensiva non può prevalere sulla disciplina speciale dettata da
quest’ultima disposizione (Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, Gabrielloni, Rv.
26431301). Da tale momento, dunque, opera la disciplina speciale dettata in
tema di responsabilità degli enti, che impone la formalizzazione della
rappresentanza dell’ente sin dalle prime fasi del procedimento.

1.3. Nel caso concreto, non potendo dubitarsi del
fatto che l’ente disponesse di un termine per gli adempimenti di cui all’art. 39. e per l’espletamento
dei diritti difensivi connessi alla notificazione dell’avviso previsto dall’art.415 bis, cod. proc. pen., la decisione operata
nelle fasi di merito, in cui si è richiamata l’avvenuta comunicazione
dell’informazione di garanzia all’ente, risulta corretta.

2. Tanto premesso, il Collegio osserva che il primo
motivo del ricorso proposto da G. P., assorbente rispetto ad ogni altra censura
qui proposta dalle parti ricorrenti, è fondato.

 2.1. Va
premesso che nella sentenza di primo grado (pag.11) si legge che il datore di
lavoro «non ha ottemperato allo specifico obbligo derivante a suo carico dall’art.111, comma 1 lettera a), d.
Igs. 9 aprile 2008, n.81, in quanto ha omesso di predisporre il previsto
sistema di protezione individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi
durante il lavoro in quota» e che nella sentenza di appello si legge «il d. Igs. 81/2008 contiene specifiche prescrizioni
atte a garantire la sicurezza dei lavoratori che si trovino ad operare ‘in
quota” (art.111) ponendo in
capo al datore di lavoro l’obbligo di provvedere affinché le condizioni  di lavoro siano sicure, predisponendo misure
di protezione sia “collettive” che ‘individuali… emerge con chiarezza dal
materiale probatorio raccolto in sede di istruttoria dibattimentale
l’insufficienza delle misure di protezione predisposte nel cantiere», indicando
la Corte territoriale, nel passo della sentenza immediatamente successivo, la
carenza di dispositivi di protezione individuale quali le linee vita.

2.2. Data tale premessa, il Collegio ritiene
necessario esaminare in dettaglio l’enunciato delle disposizioni contenute nell’art. 111 d.lgs. n.81/2008;
tale norma illustra, secondo un preciso schema logico, quale sia la condotta
del datore di lavoro che il legislatore ha ritenuto idonea a garantire la
sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota. La prima
disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione
collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (art.111, comma 1 lettera a); la
ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione
collettiva sono atti ad operare indipendentemente dal fatto, ed a dispetto del
fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il
dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore
di lavoro di scegliere il tipo più idoneo 
tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art.111, comma 2); è, quindi,
valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo
stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro.

Un’ulteriore disposizione prevede che il datore di
lavoro possa disporre l’impiego di sistemi di accesso e di posizionamento
mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l’impiego di
un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per
la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non
modificabili (art.111, comma
4); tale disposizione rafforza l’indicazione iniziale circa la preferenza del
legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in
quota. L’obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è
stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e
l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato
a tale scelta (art.111comma
5); è, dunque, nell’ambito del sistema prescelto dal datore di lavoro in
ossequio alle disposizioni precedenti che deve essere valutata la
responsabilità colposa del datore di lavoro per l’omissione di ulteriori
cautele atte a minimizzare il rischio di caduta. Dalla disposizione contenuta
nell’art.111, comma 6, si
desume, altresì, che solo l’esecuzione di lavori di natura particolare può
giustificare l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione
collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente
ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare.

2.3. L’intero corpo di regole cautelari individuate
dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di
protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la
sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i
criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto
l’adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e
posizionannento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in
cui, per la durata dell’impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia
logico adottare un’attrezzatura di lavoro più sicura. Della ratio di tale principio
si è detto.

3. Seguendo il percorso indicato dal legislatore,
compito del giudice di merito era, dunque, in primo luogo, stabilire quale
fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro,
onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri
indicati dalla norma la cui violazione gli era contestata. Le sentenze dei due
gradi di merito hanno, invece, sviluppato in via prioritaria la questione
inerente alla carenza di dispositivi di sicurezza individuale come se la norma
contestata (art.111, comma 1
lettera a) fornisse un criterio di scelta del tutto opposto a quello desumibile
dal tenore letterale della disposizione.

3.1. In secondo luogo, era compito del giudice di
merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto
ed alle attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e
fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le
cadute.

3.2. La Corte territoriale, in linea con
l’impostazione seguita nella sentenza di primo grado, non si è attenuta allo
schema logico-motivazionale indicato e la pronuncia risulta viziata per aver
incentrato il giudizio circa la violazione da parte del datore di lavoro della
regola cautelare idonea a prevenire il rischio poi concretizzatosi sulla
assenza di dispositivi di protezione individuale, quali sono le linee vita,
senza avere, in primo luogo, esaminato se la predisposizione delle piattaforme
elevatrici, strumento di protezione collettiva, fosse la scelta privilegiata
nel caso concreto per consentire al lavoratore di operare in condizioni di
massima sicurezza. Né costituisce iter argomentativo coerente con la citata
disciplina antinfortunistica affermare che le piattaforme elevatrici non
fossero idonee a consentire un’«agevole» misurazione delle travi del fabbricato
(pag.11) né tantomeno fossero misure sostitutive rispetto ai dispositivi linee
vita, laddove sarebbe stato compito del giudice valutare in primo luogo se le
misure di protezione collettiva messe a disposizione degli operai dalla V.
Prefabbricati s.r.l. fossero adeguate a garantire i livelli di sicurezza
richiesti dalla normativa antinfortunistica per i lavori in quota, anche a
prescindere dal fatto che l’uso di tali dispositivi avrebbe reso meno agevole
la misurazione delle travi; è, infatti, compito del giudice, in ossequio alla
previsione normativa, esaminare la validità della scelta del dispositivo
indicato dal legislatore come prioritario e la concreta utilizzabilità di esso
per eseguire il lavoro.

3.3. La motivazione della sentenza impugnata, seppur
integrata dalla motivazione della sentenza di primo grado, si presenta, in
definitiva, carente nell’esame della condotta omissiva del datore di lavoro; i
giudici di merito avrebbero dovuto analizzare la violazione della regola
cautelare ascrivibile al datore di lavoro secondo il diverso schema sopra
indicato e solo all’esito di tale, completo, esame procedere a valutare
l’incidenza causale della violazione accertata sull’evento concretizzatosi.

4. La fondatezza del primo motivo del ricorso
proposto da P. G., incidendo sull’elemento materiale del reato, condiziona
anche la decisione inerente all’illecito amministrativo dipendente da reato ed
impone l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di Appello di
Bologna altra sezione per nuovo esame. La fondatezza del primo motivo di
ricorso risulta assorbente rispetto alle ulteriori censure.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte
di Appello di Bologna, altra sezione, per nuovo esame.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 giugno 2021, n. 24908
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