Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 luglio 2021, n. 25062

Reato di omicidio colposo, Violazione di norme sulla
prevenzione degli infortuni sul lavoro, Normativa che impone di ottenere il
distacco dell’energia elettrica, In alternativa, osservanza della debita
distanza del braccio, circa 29 metri, dal traliccio dell’Enel, Manovra
azzardata di altro lavoratore nell’azionare il braccio di un mezzo meccanico,
Principio di doverosa astensione del dipendente dall’attività pericolosa

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte d’appello di Salerno, in data 18 ottobre
2019, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata il 25 settembre 2018
nei confronti di G.M. dal Tribunale di Salerno in composizione monocratica, ha
condannato lo stesso M. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di
omicidio colposo, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul
lavoro (in specie dell’art. 20,
D.Lgs. 81/2008), contestato come commesso in Bellizzi il 18 aprile 2013.

L’addebito mosso al M., dipendente della ditta T.
E., é quello di avere provocato la morte di A.L. (lavoratore della ditta N.
s.r.l.), in occasione di una manovra di getto di calcestruzzo effettuata con
un’autobetonpompa condotta dal M., all’interno di un cantiere edile, in
prossimità di una linea elettrica dell’alta tensione; secondo l’addebito,
durante la manovra, il braccio meccanico dell’autobetonpompa urtava contro il
cavo nudo della predetta linea elettrica, che si tranciava e cadeva in parte al
suolo, provocando la folgorazione del L., che moriva il giorno dopo il
sinistro.

La Corte di merito, nel ricostruire la dinamica
dell’incidente, ha affermato che il M., dopo essersi consultato con il L. in
relazione alle difficoltà ad entrare nel cantiere con il mezzo, aveva poi
posizionato l’autobetonpompa all’ingresso del cantiere, azionando poi il
braccio meccanico mediante un radiocomando; inizialmente il tubo flessibile da
cui fuoriusciva il calcestruzzo era mantenuto con la mano da altro operaio
presente (tale G.A.) per orientare il getto;

successivamente il tubo era stato preso in mano dal
L., mentre il G. era intento a stendere il calcestruzzo; in quel frangente il
L. veniva improvvisamente colto dalla scarica elettrica. La ricostruzione della
condotta colposa ascritta al M. ex art.
20 D.Lgs. 81/2008 (laddove la norma dispone che il lavoratore deve
prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone
presenti sul luogo di lavoro) si é basata nell’essenziale su quanto accertato
dal consulente tecnico del Pubblico ministero, ing. B., secondo il quale il M.
avrebbe effettuato una manovra azzardata nell’azionare il braccio del mezzo per
ritrarlo (atteso che, nell’effettuare la manovra, egli avrebbe provocato l’urto
del braccio contro il cavo elettrico) per non avere rispettato la normativa che
gli imponeva di ottenere il distacco dell’energia elettrica ovvero, in
alternativa, di osservare la debita distanza del braccio (circa 29 metri) dal
traliccio dell’Enel. Di tale valutazione, osserva la Corte di merito, il primo
giudice non aveva tenuto conto nella sua sentenza assolutoria, di tal che non é
stato ritenuto necessario procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
ex art. 603, comma 3-bis, cod.proc.pen..

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il M.,
deducendo un unico motivo di lagnanza nel quale denuncia violazione di legge e
vizio di motivazione con riguardo al travisamento di alcune fonti di prova
reputate decisive: in primo luogo, sulla base delle dichiarazioni testimoniali
rese dai testi G. e D.C., risulta che la vittima L.A. – cui il M. si era
rivolto all’inizio, avendo rilevato le difficoltà di accedere al cantiere con
l’autobetonpompa – non era un dipendente qualsiasi, ma era responsabile del
cantiere e responsabile per la sicurezza e, di fatto, dirigeva i lavori; di tal
che non risponde a verità quanto affermato dalla Corte di merito circa
l’inesistenza di prove che il Lecce dovesse garantire la sicurezza sul
cantiere. Non é poi vero che l’incidente si verificò dopo il completamento del
getto di calcestruzzo, atteso che – come affermato dal teste G. – era stata
ultimata soltanto la prima gettata e rimaneva da fare la seconda; del pari, la
Corte di merito non si confronta con la relazione dell’ispettore A.D., che
esclude qualsivoglia responsabilità del M. per l’accaduto. A sostegno delle
ragioni del ricorso, il deducente allega alcuni atti processuali (verbali di
esame dei testi G. e D.C., relazione dell’isp. A.).

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso é inammissibile in quanto
personalmente sottoscritto dall’imputato, in violazione del disposto di cui al
testo vigente dell’articolo 613 cod.proc.pen.,
come modificato dall’art. 1, c.
63, legge n. 103/2017, il quale stabilisce che l’atto di ricorso, le
memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità,
esclusivamente da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di
Cassazione, essendo caduta nel nuovo testo dalle disposizione la clausola
«salvo che la parte non vi provveda personalmente».

Perciò il ricorso per cassazione avverso qualsiasi
tipo di provvedimento non può più essere proposto personalmente dalla parte
(Sez. U, Sentenza n. 8914 del 21/12/2017, dep.
2018, Aiello, Rv. 272010).

A nulla rileva il fatto che, in calce alla firma del
ricorrente, l’avv. T. – suo difensore – abbia apposto l’annotazione «E’ tale» e
quindi la sottoscrizione, all’evidenza con finalità di mera autenticazione
della firma. Ed invero, come pacificamente affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, é inammissibile il ricorso per cassazione sottoscritto
personalmente dall’imputato anche se la firma sia stata autenticata da un
avvocato cassazionista (Sez. 4, Sentenza n. 44401 del 24/05/2019, Alessandrini,
Rv. 277695; conforme Sez. 6, Ordinanza n. 48096 del 10/09/2018, Ahmed Farouk,
Rv. 274221).

2. Ma anche nel merito il ricorso é inammissibile,
in quanto manifestamente infondato.

Va chiarito innanzitutto che, se é vero che le fonti
di prova indicate nel ricorso avevano fornito elementi probatori diversi da
quelli considerati dalla Corte di merito nella sentenza di condanna, nondimeno
é vero che – come afferma la Corte di merito – la sentenza di primo grado non
aveva preso in considerazione le valutazioni del consulente tecnico del
Pubblico ministero, in base alle quali le cause del sinistro vanno ricercate
sia nel posizionamento dell’autobetonpompa in occasione della manovra, sia
nella fase esecutiva della manovra stessa.

Quanto alla posizione della vittima, L.A., costui
viene bensì indicato dai testi G. e D.C. come responsabile del cantiere e della
sicurezza (e tale assunto trova sostanziale conferma nella relazione
dell’ispettore Abramo, allegata al ricorso); ma, pur dando per acquisita la sua
posizione di garante, quand’anche se ne volesse inferire una concorrente
responsabilità, essa non eliderebbe in alcun modo il dato fondamentale,
costituito dal fatto che il M., pur consapevole della prossimità della linea
elettrica ad alta tensione e del pericolo di un urto tra la stessa e il braccio
del mezzo, posizionò l’autobetonpompa all’ingresso del cantiere e iniziò la
manovra, omettendo sia di chiedere la sospensione dell’erogazione
dell’elettricità, sia di spostarsi a distanza di sicurezza e non astenendosi
dal procedere alla manovra nelle ravvisate condizioni di rischio.

Sul punto deve richiamarsi il principio di doverosa
astensione del dipendente dall’attività pericolosa, in base al quale il
lavoratore, pur non potendo ingerirsi nell’organizzazione aziendale, ha
l’obbligo di rifiutarsi di operare in condizioni di estremo rischio per la
sicurezza, con la conseguenza che l’accettazione del rischio connesso
all’esecuzione, in tali condizioni, della propria prestazione comporta
l’inevitabile associazione dello stesso lavoratore alla responsabilità per gli
eventi lesivi in concreto provocati (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14429 del
05/07/1990, Travaglini, Rv. 185672; più di recente Sez. 4, n. 31229 del
28/05/2015, Bertin e altro, n.m.). Secondo le norme tecniche richiamate nella
sentenza impugnata, il lavoratore incaricato dell’impresa esecutrice,
nell’effettuare lavori in prossimità di parti attive, deve rispettare almeno
una delle precauzioni di cui all’art.
117 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., ossia:

“- mettere fuori tensione ed in sicurezza le
parti attive per tutta la durata dei lavori;

– posizionare ostacoli rigidi che impediscano
l’avvicinamento alle parti attive;

– tenere in permanenza, lavoratori, macchine
operatrici, apparecchi di sollevamento, ponteggi ed ogni altra attrezzatura a
distanza di sicurezza. La distanza di sicurezza deve essere tale che non
possano avvenire contatti diretti o scariche pericolose per le persone tenendo
conto del tipo di lavoro, delle attrezzature usate e delle tensioni presenti e
comunque non deve essere inferiore ai limiti di cui all’Allegato IX del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. o a quelli
delle pertinenti norme tecniche”.

L’eventuale impossibilità di procedere secondo le
predette prescrizioni non può certo legittimare il prosieguo delle attività
pericolose e non esime da responsabilità il lavoratore che rinunci ad astenersi
dal manovrare in condizioni di pericolo (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14437 del
05/03/2009, Sirtoli, n.nn.).

Ne deriva che nella specie, quand’anche fosse
ravvisabile la posizione di garanzia attribuita al Lecce, l’eventuale invito o
l’eventuale acquiescenza di costui al posizionamento dell’autobetonpompa in
zona pericolosa non esonerava da responsabilità il M. e non poteva dirsi,
pertanto, decisiva la prova di cui il ricorrente sembra invocare il
travisamento.

3. Il ricorso é poi aspecifico laddove vi si
denuncia che, sulla scorta delle dichiarazioni del teste G., non risponderebbe
a verità che il getto di calcestruzzo fosse ultimato: la difformità tra le
dichiarazioni del teste e quanto al riguardo ritenuto in sentenza (pagg. 5 – 6)
risulta peraltro solo apparente o comunque ininfluente, atteso che é lo stesso
teste G. a riferire che era stata esaurita solo la prima gettata di cemento
(pag. 8 trascrizione esame G. in data 23.6.2015), di tal che vi era un momento
di interruzione per dar modo allo stesso G. di stendere il calcestruzzo; perciò
quanto asserito nel ricorso non elimina l’ulteriore questione, che il
ricorrente non affronta, costituita dalla rilevanza a tal fine del fatto che il
getto di calcestruzzo non fosse ultimato, ma vi 
fosse un momento interlocutorio. Sta di fatto che é in quel momento che
il M., manovrando il braccio del mezzo (per ritrarlo, secondo la Corte di
merito), ne provoca il contatto con la vicina linea elettrica, innestando la
serie causale che condusse al decesso del Lecce.

In definitiva, le fonti di prova indicate nel
ricorso hanno riferito in ordine a circostanze che, alla luce del percorso
argomentativo seguito dalla Corte di merito, non hanno avuto rilevanza decisiva
nella decisione di condanna. Viceversa, tale decisiva rilevanza ai fini
dell’affermazione di responsabilità in appello é da  attribuirsi alla relazione del Consulente
tecnico del Pubblico ministero, ing. B.: il quale, nel ricostruire la dinamica
dell’incidente, ne ha attribuito la causa a una manovra azzardata del M., il
quale aveva omesso di posizionare a distanza di sicurezza il braccio
dell’autobetonpompa e non aveva chiesto, in alternativa, che l’erogazione di
elettricità fosse interrotta per la durata dei lavori; a ben vedere le
omissioni addebitate al M. sono riferite ad adempimenti sovrapponibili a quelli
indicati nel già richiamato art.
117 D.Lgs. 81/2008. Peraltro deve evidenziarsi che le valutazioni del C.T.,
decisive in appello, erano viceversa risultate prive di qualsivoglia ruolo
nella decisione di primo grado.

4. Ciò rilevato, s’impone il richiamo del principio
in base al quale il giudice d’appello che riformi la sentenza assolutoria di
primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una
prova dichiarativa ritenuta decisiva non è obbligato a rinnovare l’istruzione
dibattimentale quando, nella sentenza di primo grado, manchi del tutto la
motivazione e, quindi, la valutazione dell’attendibilità di detta prova (Sez.
6, Sentenza n. 32373 del 04/06/2019, Aiello, Rv. 276831). Per di più soccorre
nel caso di specie il principio in base al quale le dichiarazioni rese dal
perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate
nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative,
sicché sussiste, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di
esse,fondi, sempreché decisive, la riforma della sentenza di assoluzione,
l’obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l’esame
del perito o del consulente; mentre analogo obbligo non sussiste ove la
relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita
mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova (Sez. U,
Sentenza n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112).

Ne deriva che é del tutto corretto quanto affermato
dalla Corte di merito circa l’assenza, nella specie, di qualsivoglia obbligo di
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod.proc.pen.; e che gli
elementi di prova a contrario addotti dal ricorrente non risultano in alcun
modo decisivi, non valendo gli stessi a disarticolare il ragionamento
probatorio in base al quale la Corte distrettuale é pervenuta al ribaltamento
della sentenza assolutoria di primo grado.

5. Alla declaratoria di inammissibilità
dell’impugnazione, non ravvisandosi, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Costituz., sentenza n. 186
del 2000), consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima
equo determinare in euro duemila; segue inoltre la condanna del ricorrente alla
rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, liquidate come
da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila
in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile L.P. che liquida in euro tremila oltre spese generali
al 15%, CPA e IVA.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 luglio 2021, n. 25062
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