L’impugnazione stragiudiziale va proposta entro 60 giorni dall’ultimo recesso.
Nota a App. Roma 19 febbraio 2021, n. 372
Fabrizio Girolami
In caso di illegittima successione di contratti di lavoro somministrato a tempo determinato stipulati tra una Agenzia di somministrazione e una lavoratrice (inviata in missione presso un’impresa utilizzatrice in esecuzione di un contratto commerciale di somministrazione a tempo determinato concluso tra l’Agenzia e la medesima impresa utilizzatrice), laddove sia configurabile un unico continuativo rapporto di lavoro, l’impugnazione stragiudiziale da parte della lavoratrice – finalizzata a ottenere la declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in capo all’Agenzia, nonché la condanna di quest’ultima al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dalla legge – può essere proposta entro l’unico termine decadenziale di 60 giorni decorrenti dalla data del recesso intimato dal datore in relazione all’ultimo contratto di lavoro somministrato a termine.
Lo ha stabilito la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 372 del 19 febbraio 2021, in relazione a una vicenda di plurimi contratti di lavoro a termine in somministrazione stipulati tra il 06.09.2010 e il 22.06.2013 e sottoposti “ratione temporis” alla disciplina della somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 e seguenti del D.LGS. n. 276/2003 e al D.LGS. n. 368/2001 sul contratto a tempo determinato (ora abrogata dal D.LGS. n. 81/2015).
Nel caso di specie, la lavoratrice aveva convenuto in giudizio l’Agenzia di somministrazione lamentando l’inesistenza e/o la mancata indicazione delle “causali” legittimanti il contratto (commerciale) di somministrazione a tempo determinato tra Agenzia di somministrazione e impresa utilizzatrice, nonché la nullità delle singole clausole appositive del termine inserite nei singoli contratti di lavoro somministrato a tempo determinato sottoscritti tra la lavoratrice e l’Agenzia di somministrazione e alle relative proroghe e la mancanza di reali esigenze poste a fondamento del rapporto di somministrazione, chiedendo, per l’effetto, l’accertamento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e la condanna dell’Agenzia al pagamento a suo favore dell’indennità risarcitoria illo tempore prevista dall’art. 32, co. 5, della L. n. 183/2010 (e ora abrogata dall’art. 55, co. 1, lett. f), D.LGS. n. 81/2015).
Il Tribunale di Velletri, con sentenza n. 1299/2016, aveva accolto il ricorso della lavoratrice e, dichiarata la nullità dei contratti di lavoro a termine in somministrazione nonché delle relative proroghe, aveva accertato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condannato l’Agenzia di somministrazione al ripristino del rapporto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione.
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza in commento, ha confermato la correttezza della decisione del giudice di prime cure, rigettando, tra le altre, l’eccezione di decadenza proposta dall’Agenzia di somministrazione, in base alla quale la lavoratrice avrebbe dovuto proporre l’impugnazione stragiudiziale entro il termine di decadenza di 60 giorni “dalla scadenza di ogni singolo contratto o proroga”.
Sotto tale profilo, il giudice di appello romano ha applicato al caso di specie l’analogo principio elaborato dalla Corte di Cassazione in tema di successione di plurimi contratti di lavoro a progetto (Cass. 25 novembre 2019, n. 30668), secondo cui “nell’ipotesi di pluralità di contratti a progetto, l’impugnativa volta a far valere l’illegittimità degli stessi, da cui consegue il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro di natura subordinata a tempo indeterminato, a decorrere dalla data di costituzione del primo, è assoggettata ad un unico termine di decadenza che, ex art. 32 della l. n. 183 del 2010, decorre dal recesso, qualificato come licenziamento, del datore di lavoro dal rapporto in essere, in relazione all’ultimo contratto”.
Pertanto, la Corte romana – applicando specularmente tale principio – ha ritenuto che qualora la successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione si ponga all’interno di un unico rapporto di lavoro, il termine decadenziale di cui all’art. 32 della L. n. 183/2010 per l’impugnazione dei medesimi decorre non già da ciascun singolo recesso, bensì dal recesso dall’ultimo contratto di lavoro a termine.
Secondo la Corte, infatti, “trattandosi in sostanza di un unico rapporto di lavoro, quello che rileva è il tempo trascorso tra l’impugnazione e la scadenza dell’ultimo contratto stipulato tra le parti e, per tale ragione, il citato termine di decadenza ex art. 32 l. 183/2010 non può ritenersi violato”.