Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 luglio 2021, n. 19823

Tributi, IRPEF, Redditi di lavoro dipendente, Cessazione
del rapporto di lavoro, Verbale di conciliazione, Incentivo all’esodo,
Tassazione separata, Periodo di riferimento, Principio di cassa

 

Rilevato che

 

M.A. impugnò la cartella emessa, a seguito di
controllo automatizzato ex art.36 bis
del d.P.R. n.600 del 1973, per la riscossione del credito iscritto a ruolo
a tassazione separata ai fini IRPEF relativa ai compensi erogati dal datore di
lavoro (I.B.S.P.) nell’anno 2003, in virtù di atto di transazione stipulato tra
le parti a seguito della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che
aveva annullato l’intimato licenziamento siccome illegittimo, disponendo la
reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni.

La Commissione tributaria di prima istanza accolse
il ricorso, reputando che il momento in cui è maturato il diritto va fatto
risalire non al momento della cessazione del rapporto di lavoro (anno 2000) ma
al momento in cui è stata decisa la vertenza concernente l’impugnativa del
licenziamento (anno 2002) ovvero al momento del pagamento dell’indennità con
riguardo ai quali vanno individuati i cinque anni da prendere a riferimento per
il computo dell’aliquota media.

La decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate,
è stata riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione
tributaria regionale della Campania (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.).

Il Giudice di appello – premesso in fatto che, dagli
atti, risultava che M.A. era stato licenziato con lettera del 15.4.1996 e che,
nelle more del giudizio di appello avverso la sentenza di primo grado, le parti
erano addivenute alla conciliazione della lite in data 13.3.2003, convenendo di
considerare risolto il rapporto di lavoro il 24.4.1996 – riteneva che sulle
indennità corrisposte dal datore di lavoro andassero applicate, a norma dell’art.17, primo comma, del d.P.R. n. 917
del 1986, le aliquote vigenti nell’anno in cui era sorto il relativo
diritto, anno che non poteva essere che quello in cui il dipendente era stato
collocato in quiescenza (1996).

Avverso la sentenza M.A. propone ricorso, articolato
in due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis.1, cod.proc.civ., alla trattazione
in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente, a mezzo di
nuovo procuratore, ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. Il ricorrente – premessa, in fatto, la
ricostruzione della fattispecie controversa e delineata la disciplina fiscale
applicabile con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ., la
violazione e/o falsa applicazione dell’art.17 del d.P.R. n.917 del 1986
(T.U.I.R.) laddove la C.T.R. aveva ritenuto che il diritto alla percezione
dell’indennità di fine rapporto sorga nell’istante in cui cessa il rapporto di
lavoro e aveva, conseguentemente, applicato la norma nel testo in vigore sino
all’anno di imposta 2000. Secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R.
avrebbe errato nel riferirsi all’indennità di fine rapporto giacché la somma,
in contestazione e a base della cartella impugnata, era stata corrisposta, a
seguito della transazione, dal datore di lavoro a titolo di incentivo
all’esodo, con la conseguenza che la stessa, ricevuta nell’anno 2003, doveva
essere assoggettata a imposta secondo l’aliquota prevista dal nuovo testo dell’art.17 TUIR. In tal modo, inoltre,
il Giudice di appello era giunto a conclusioni diverse da quelle dello stesso
Ufficio finanziario che aveva determinato l’aliquota in funzione della tabella
IRPEF, valida al 31.12.2000.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la
violazione dell’art.17 del d.P.R.
n.917 del 1996, ai sensi dell’art.360, primo
comma, num.3, cod.proc.civ. nonché, ai sensi del num. 5 del citato art.
360, l’omesso esame/difetto di assoluto di motivazione.

Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R non
avrebbe tenuto alcun conto del grave errore di calcolo, rilevato sin dal
ricorso introduttivo, contenuto nella cartella impugnata ove, nel determinare
il reddito di riferimento, si era erroneamente indicata la durata del rapporto
di lavoro in soli sette mesi al posto dei pacifici in atti, 14 anni.

3. I motivi di ricorso, strettamente connessi,
possono trattarsi congiuntamente e sono fondati.

3.1 Appare opportuno, per una migliore intelligenza
della vicenda processuale, richiamare i fatti, pacifici, dandosene atto reciprocamente
le parti. Il ricorrente, assunto nell’anno 1982 dall’istituto bancario, venne
licenziato con lettera del 24 aprile 1996. Il Tribunale, in funzione di giudice
del lavoro, annullò il licenziamento, ordinando la reintegra nel posto di
lavoro e condannò la Banca al risarcimento dei danni, con sentenza n.166 del 28
marzo 2002. Nelle more del giudizio di appello, il 13 marzo 2003, le parti
sottoscrissero dinnanzi alla Commissione provinciale del lavoro di Milano,
verbale di conciliazione con il quale convennero: di considerare
definitivamente risolto il loro rapporto di lavoro.. .alla fine della giornata
del 24 aprile 1996; per quanto  riguarda
il titolo della cessazione del rapporto di lavoro …di sostituire il titolo
originario (licenziamento per giusta causa) …il diverso titolo
“risoluzione consensuale”; la Banca offrì al dott. A., che accettò,
una somma aggiuntiva al trattamento di fine rapporto, pari a euro 480.304,92
netti, erogata quale “incentivo all’esodo”. Su tale somma il datore
di lavoro, sostituto di imposta, operò la ritenuta, applicando la stessa
aliquota (29,69%) cui era stato assoggettato il trattamento di fine rapporto
corrisposto in precedenza. Con cartella, emessa a seguito di procedura
automatizzata ex art.36 bis d.P.R.
n.600 del 1973 l’Ufficio indicando, sulla base dei dati trasmessi dal
sostituto d’imposta, la data di inizio del rapporto di lavoro il 3 maggio 2000
e la cessazione il successivo 31 dicembre e determinando così il periodo di
commisurazione in sette mesi e un reddito di riferimento pari a euro 8.373.780,
applicava l’aliquota del 45,40% liquidando l’imposta ancora dovuta, detratti
euro 207.181 già versati tramite ritenute dal sostituto di imposta, in euro
98.547,00

3.1. Cosi ricostruiti i termini fattuali della
controversia, va rilevato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa
Corte (v.Cass. sez.5, Sentenza n. 17986 del
24/07/2013; id. n.9086 del 6 maggio 2015; id.n.5545 del 26/02/2019), le
somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine
rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetti
incentivi all’esodo) non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono
reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e
rimunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del
lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. La causa di siffatte
prestazioni, pertanto, presupponendo una pattuizione, esclude che dette somme
possano essere esentate dall’imposta, quali “sussidi occasionali”
che, a differenza degli incentivi programmati, sono concessi estemporaneamente
e graziosamente, in coincidenza con rilevanti esigenze personali e familiari
del lavoratore. Tali somme, pertanto, saranno assoggettate alla tassazione
separata di cui all’art. 16, comma
primo, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.»

E’ stato, poi, puntualizzato (v. Cass. 4.11.2008
n.26484; Cass. 13.5.2004 n.13866; id. 26395/2005 seppur con riferimento
all’applicabilità dell’aliquota agevolata di cui al comma 4 bis dell’art.17 del d.P.R. n.917 del 22 dicembre
1986, non oggetto della presente controversia), partendo dalla generale
premessa, per cui in materia di imposte sui redditi, il principio per cui ogni
imposizione non può prescindere dalla effettiva percezione di questi, che alle
somme percepite a titolo di incentivo all’esodo va applicato il principio di
cassa, dovendosi dare rilievo al momento in cui l’indennità è stata
effettivamente corrisposta, a nulla rilevando l’epoca in cui si è maturato il relativo
diritto. Ciò anche sulla base letterale della disposizione di cui all’art.17 citato, che fa riferimento
alle somme “percepite”.

3.2 Anche, la prassi (Circolare
20 marzo 2001 n.29 del M.E.F.) intervenuta a seguito delle modifiche
introdotte dal nuovo comma 2 dell’articolo
17 del TUIR ( il quale stabilisce le modalità di tassazione delle
“altre indennità e somme” indicate nell’articolo 16, comma 1, lettera a),
dello stesso TUIR e cioè quelle indennità e somme percepite una tantum in
diretta correlazione alla cessazione del rapporto di lavoro) precisa che tali
indennità e somme rientrano nell’ambito applicativo della disposizione
indipendentemente: dalla circostanza che le stesse  siano corrisposte o meno dal datore di
lavoro; dal fatto che l’entità delle stesse sia stabilita o meno in funzione
della durata del rapporto stesso, indicando specificatamente, a titolo
esemplificativo, le indennità e somme corrisposte a titolo di provvedimento
dell’autorità giudiziaria o transazione relativa alla risoluzione del rapporto
di lavoro e l’incentivo all’esodo.

In ordine alla base imponibile e all’aliquota
applicabile la stessa circolare (v.§1.2.1) rileva che tali indennità e somme
sono ora imponibili nell’intera misura dell’importo corrisposto, al netto dei
soli contributi previdenziali obbligatori per legge che afferiscono
direttamente e immediatamente a tali indennità e somme nella loro fase di
determinazione finale.

Relativamente all’aliquota di tassazione viene,
invece, confermato che si tratta della stessa aliquota determinata ai fini
della tassazione del T.F.R. Ciò comporta che le aliquote IRPEF applicabili sono
sempre quelle relative al periodo in cui è maturato il diritto alla percezione
del TFR, a prescindere dalla circostanza che la percezione delle altre
indennità e somme avvenga successivamente alla percezione del TFR medesimo.

La prassi ha trovato conferma anche nella
giurisprudenza di questa Corte la quale, con la sentenza n.1377 del 31 maggio
2013, ha statuito che in via di principio le somme erogate in occasione della
cessazione del rapporto di lavoro subordinato devono essere integralmente
assoggettate a imposta, anche se con l’applicazione della tassazione separata.
Le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo sono assoggettate alla
medesima aliquota applicata al trattamento di fine rapporto.

4. Alla luce di tali principi appare, in primo
luogo, evidente l’errore in iudicando commesso dal Giudice di appello il quale,
argomentando tutta la sua decisione con esclusivo riferimento alla disciplina
relativa al trattamento di fine rapporto e non differenziando il diverso titolo
delle somme percepite dal contribuente in virtù del verbale di conciliazione,
ha compiuto una erronea ricognizione in ordine all’effettivo diritto in contesa
e conseguentemente in ordine alla sua concreta modalità di tassazione.
Peraltro, non è contestato (per riportarlo la stessa Agenzia delle entrate in
controricorso) che sulle somme per cui oggi è contesa il sostituto di imposta
aveva già operato la ritenuta, applicando la stessa aliquota cui era stato
assoggettato il trattamento di fine rapporto.

La violazione, ad opera della C.T.R. della normativa
di riferimento, è ancora più evidente ove si consideri (con conseguente
fondatezza del secondo motivo di ricorso) che il Giudice di merito, nel
confermare la legittimità della cartella impugnata e della pretesa dalla stessa
veicolata, ha del tutto omesso l’esame del fatto, offerto in giudizio dal
contribuente sin dal ricorso introduttivo e facente parte del thema decidendum
come non contestato dalla controparte (v.controricorso dell’Agenzia delle
entrate), relativo all’erronea indicazione nella cartella impugnata della data
di inizio e cessazione del rapporto di lavoro, determinante ai fini
dell’ammontare dell’imposta.

L’Agenzia delle entrate, infatti, nei precedenti
gradi e anche nel controricorso, pur non contestando l’effettiva durata del
rapporto di lavoro, quale risulta pacificamente in atti, si è limitata a
dedurre di avere riportato i dati indicati dal sostituto di imposta, riferiti
al 2000, anno che non trova, come dalla ricostruzione fattuale sopra esposta,
alcun utile riscontro di riferimento. Al contrario, il Giudice di appello
nell’individuare nell’anno 1996 il momento di maturazione del diritto si
discosta, senza fornire alcuna motivazione al riguardo, dal diverso dato
riportato nella cartella impugnata e posto a base dell’iscrizione a ruolo.

5. In conclusione, pertanto, in accoglimento del
ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Giudice del merito
affinché provveda al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regoli le
spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania-sezione di Napoli,
in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese
del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 luglio 2021, n. 19823
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