Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 luglio 2021, n. 19308

Rapporto di lavoro, Cessio ramo d’azienda ex art. 2112 cod.
civ., Invalidità, Mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento
costitutivo della cessione

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 766 del 19 agosto 2010 il
Tribunale di Venezia accertava l’illegittimità e dichiarava l’inefficacia della
cessione di ramo di azienda da T.I. s.p.a. a M.F. s.p.a. e del conseguente
trasferimento della lavoratrice L.C. (e di altro litisconsorte) alle dipendenze
della cessionaria; condannava T.I. al ripristino del rapporto di lavoro e
all’assegnazione della lavoratrice alle precedenti mansioni. La sentenza veniva
confermata in appello con sentenza n. 192 del 21.3.2013 e il ricorso della
società veniva rigettato da questa Corte con ordinanza n. 10673 del 2016.

2. Nelle more di tale giudizio, L.C. prestava
servizio presso la cessionaria fino al 31 gennaio 2013, data in cui veniva
posta in mobilità, conciliando successivamente la controversia relativa a tale
licenziamento. Agiva quindi con ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti di
T.I. s.p.a., in forza del titolo costituito dalla inefficacia della cessione di
azienda, per ottenere il pagamento delle retribuzioni relative al periodo dal
1° febbraio 2013 al 20 giugno 2015. Il Tribunale di Venezia rigettava
l’opposizione di T.I. Tale sentenza formava oggetto di appello principale della
società e di appello incidentale della C.

3. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n.
561 del 2017, rigettato l’appello incidentale, riformava la sentenza di primo
grado e rigettava la domanda.

4. Gli argomenti posti a sostegno del decisum, in
sintesi, sono i seguenti:

a) la questione relativa agli effetti estintivi
della conciliazione intervenuta nelle more del giudizio di legittimità avente
ad oggetto il giudizio vertente sulla invalidità della cessione di ramo di
azienda ex art. 2112 cod. civ., non poteva essere dedotta in quella sede,
trattandosi di un fatto logicamente posteriore rispetto all’unica questione sottoposta
al vaglio della Corte di Cassazione nel giudizio conclusosi con l’ordinanza n.
10673 del 2016; di conseguenza, è infondato l’appello incidentale, vertente
sulla inammissibilità del primo motivo dell’appello principale;

b) l’appello principale proposto da T. merita
accoglimento appunto riguardo al primo motivo; l’intervenuta conciliazione,
comportante l’accettazione della risoluzione del rapporto lavorativo originato
dalla cessione, ha determinato il venir meno dell’interesse ad agire dell’appellata;
il fatto di avere impugnato il licenziamento intimato dalla cessionaria e di
avere poi rinunciato a detta impugnazione presuppone una continuità giuridica
tra il rapporto lavorativo intercorso con la cedente T.I. s.p.a. e la
successione in esso da parte della cessionaria;

c) soccorre a livello interpretativo la sentenza
della Corte di cassazione n. 6755 del 2015 secondo cui le mensilità della
retribuzione, anche se solo a titolo risarcitorio, non spettano in quanto il
rapporto si è risolto su iniziativa dei lavoratori che hanno aderito alle
proposte conciliative della società cessionaria, percependo i benefici previsti
in conseguenza dell’atto di conciliazione;

d) la giurisprudenza citata da parte appellata non
contraddice tale soluzione, poiché va tenuta distinta la questione dell’atto
dismissivo del rapporto di fatto dalla questione della rinuncia a far valere il
ripristino del rapporto a seguito della ritenuta illegittimità del
licenziamento da parte della cessionaria; tale rinuncia involge la questione
della titolarità del rapporto lavorativo in capo al soggetto che ha intimato il
licenziamento;

e) la clausola n. 6 del verbale di conciliazione,
secondo cui la transazione e le rinunzie non pregiudicavano alcuna domanda,
diritto o azione proposta o proponenda dalla dipendente relativa al precedente
rapporto di lavoro intercorso con T.I. s.p.a., non costituisce una limitazione
sul piano soggettivo efficace, in quanto la riserva di agire per la tutela dei
propri diritti nei confronti di un soggetto che non è parte della conciliazione
non può avere alcun effetto giuridico ai fini della portata e delle conseguenze
dell’accettazione della risoluzione del rapporto;

f) in sostanza, la parte non poteva efficacemente
abdicare alla pretesa della prosecuzione del rapporto con la cessionaria e
nello stesso tempo riservarsi di proseguirlo con la cedente; la sentenza di
primo grado sull’inefficacia della cessione di ramo di azienda del 19 agosto
2010 precede il verbale di conciliazione sottoscritto il 21 novembre 2012, ma
il relativo accertamento non era ancora definitivo, per cui doveva ritenersi
impregiudicata la questione della continuità giuridica del rapporto con la
cessionaria, ossia il presupposto sulla base del quale interviene la
conciliazione;

g) l’inadempienza dell’apparente cedente è una
situazione rilevante su un piano diverso, quello delle conseguenze (meramente
risarcitone) dell’inosservanza del comando giudiziale, ma non su quello degli
effetti che caratterizzano la conciliazione, del tutto autonoma, e senza che
l’evidenziata strumentalizzazione possa determinare una diversa considerazione
di detti effetti;

h) è poi del tutto irrilevante l’ulteriore ipotesi
del licenziamento e della possibilità di percepire un incentivo all’esodo:
coerenza logica vuole che, una volta optato per la tesi della invalida cessione
del ramo di azienda, il lavoratore faccia valere le conseguenze nei confronti
dell’apparente cedente, senza alcuna finalità locupletatoria in relazione alla
vicenda del licenziamento dell’apparente cessionario.

5. Per la cassazione di tale sentenza L.C. ha
proposto ricorso affidato a nove motivi, seguiti da memoria ex art. 378 cod.
proc. civ.. T.I. s.p.a. ha resistito con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente, va rilevato che parte ricorrente,
in sede di memoria ex art. 378 cod. proc. civ. riferita all’udienza
originariamente fissata, aveva chiesto la trattazione congiunta della presente
causa con quella pendente dinanzi a questa Corte relativa ad un altro giudizio
vertente sulla stessa vicenda, ma con riguardo a somme rivendicate per un
periodo anteriore, e precisamente per il periodo dal settembre 2011 al gennaio
2013. Nelle more, tale giudizio è stato definito da questa Corte con sentenza
n. 28500 del 2019, con cui è stato rigettato il ricorso proposto da T.I. s.p.a.
avverso la sentenza n. 6074/2014 della Corte diversamente da quanto avvenuto

con la apparente cessionari potesse pregiudicare le
questioni riferite al rapporto di lavoro con la cedente.

2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 372 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod.
proc. civ.) per avere la sentenza di appello ritenuto che il documento invocato
da T.I. s.p.a. non potesse essere prodotto prima del giudizio di legittimità
nel procedimento avente ad oggetto l’accertamento della nullità della cessione
di ramo di azienda. Al contrario, alla data (21 marzo 2013) della decisione
della sentenza di appello era già intervenuta la conciliazione del 21 novembre
2012.

3. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art.
2909 cod. civ., degli artt. 163 n. 3 e 414 n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 100
cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per non avere la
sentenza debitamente considerato che la questione della intervenuta conciliazione
avrebbe dovuto essere stata fatta valere nell’originario giudizio vertente
sulla validità della cessione, nel quale era stato rivendicato anche il diritto
al ripristino del rapporto di lavoro con la cedente.

Sulla relativa questione si era dunque formato il
giudicato esterno (art. 2909 cod. civ.), che copre il dedotto e il deducibile.

4. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 372
cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.).

Nell’ipotesi che questa Corte ritenga che la questione
della conciliazione non potesse essere prospettata nel giudizio di appello
sulla validità della cessione, si deduce l’erroneità della sentenza per avere
ritenuto che il limitato oggetto del giudizio di legittimità precludesse la
produzione del documento in quella sede.

5. Il quarto motivo denuncia omessa pronuncia (art.
360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) in merito alla deduzione, contenuta
nell’appello incidentale, relativa alla producibilità del verbale di
conciliazione nel giudizio di appello relativo alla validità della cessione di
azienda.

6. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art.
100 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per avere la
sentenza impugnata ritenuto che la sottoscrizione del verbale di conciliazione
avesse comportato la carenze di interesse ad agire nei confronti della cedente
per i crediti retributivi (o risarcitori) maturati.

7. Il sesto motivo denuncia violazione o falsa
applicazione dell’art. 2112 cod. civ. per avere la sentenza impugnata ritenuto
che la sottoscrizione di un verbale di conciliazione tra la lavoratrice e la
pretesa cessionaria, pure successivamente accertata non essere tale, fosse
idonea a risolvere il rapporto di lavoro tra la stessa lavoratrice e la pretesa
cedente (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.).

8. Il settimo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1372, 1424, 1444 cod. civ. per avere la sentenza
impugnata ritenuto che la manifestazione di volontà della lavoratrice contenuta
nel verbale di conciliazione avesse potuto conferire validità ed efficacia al
contratto di trasferimento di ramo di azienda intercorso tra T.I. e M.F. (art.
360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.).

9. L’ottavo motivo denuncia violazione degli artt.
1965 e 1966 cod. civ. e art. 1362 e 2112 cod. civ. per avere la sentenza
ritenuto che il verbale di conciliazione intervenuto tra la ricorrente e la
società M.F. avesse validamente disposto di posizioni giuridiche facenti capo a
soggetti estranei al medesimo e avere al contempo ritenuto che le parti non
potessero delimitare l’oggetto del contratto da loro sottoscritto (art. 360,
primo comma, n. 3 cod. proc. civ.).

10. Il nono motivo denuncia violazione dell’art.
111, secondo comma, Cost. per avere la sentenza pretermesso ogni considerazione
in merito al fatto che l’attribuzione al verbale di conciliazione di effetti
risolutivi anche del rapporto con la pretesa cedente pone a carico della parte
più debole del rapporto, nonché vincitrice del giudizio, la durata del
processo, precludendole la piena tutela dei propri diritti.

11. I primi quattro motivi possono essere trattati
congiuntamente, in quanto vertenti sulla medesima questione giuridica. Essi
sono inammissibili.

12. La questione relativa al momento in cui T.I.
s.p.a. ha preso conoscenza dell’esistenza del verbale di conciliazione
sottoscritto dalla odierna ricorrente con la (apparente) cessionaria M.F. e
alla conseguente deducibilità di tale atto nel primo momento processuale
successivo a tale conoscenza, introduce in questa sede una questione di cui non
vi è cenno nella sentenza impugnata e che, nei termini in cui è sottoposta a
questa Corte, deve ritenersi nuova ed inammissibile (art. 366, primo comma, nn.
3 e 4 cod. proc. civ.).

13. La Corte di appello ha poi interpretato l’appello
incidentale della C. dando atto che in questo si era sostenuto che ben avrebbe
potuto T.I. s.p.a. produrre il documento in sede di discussione avanti alla
Corte di Cassazione nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della nullità
della cessione di ramo di azienda. Trattasi di interpretazione del contenuto
dell’atto processuale di parte (appello incidentale della C.) di competenza del
giudice di merito. Alla stregua di tale interpretazione, è del tutto
inammissibile ogni questione che involga la deducibilità, oltre che l’avvenuta
pregressa conoscenza, della questione nell’appello relativo all’originario
giudizio sulla cessione di ramo di azienda.

14. Resta assorbita la questione della formazione
del giudicato sul punto, stante l’inammissibilità delle questioni che
presuppongono la deduzione o la deducibilità della conciliazione
nell’originario giudizio sulla cessione. Ogni altro rilievo rimane assorbito
nelle evidenziate ragioni di inammissibilità.

15. I motivi dal quinto all’ottavo, parimenti
connessi tra loro e dunque da trattare congiuntamente, vanno accolti.

16. E’ sufficiente richiamare quanto già affermato
da questa Corte, con le sentenze nn. 8162 e 8163 del 2020 (udienza del 28
gennaio 2020), in fattispecie del tutto analoghe, relative ad altra cessione di
ramo di azienda sempre da parte di T.I. s.p.a..

Tali sentenze, nella parte di interesse, hanno
affermato che “…l’unicità del rapporto presuppone la legittimità della
vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c.: sicché, accertatane l’invalidità,
il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero
fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere
sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente
(sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria
giudiziale); il trasferimento del medesimo rapporto si determina solo quando si
perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente,
nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti
dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per
mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della
cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità
dell’originario cedente (da ultimo: Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998); pure a
fronte di una duplicità di rapporti (uno, de iure, ripristinato nei confronti
dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni
maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei
confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore), la
prestazione lavorativa solo apparentemente resta unica: giacché, accanto ad una
prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il
lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda,
abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve n’è un’altra giuridicamente
resa, non meno rilevante sul piano del diritto, in favore dell’originario
datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de
facto, per rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato; nello stesso
senso, è stato ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse a far
valere giudizialmente l’insussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda da
parte del lavoratore ceduto, nonostante la prestazione di lavoro resa in favore
del cessionario e le eventuali vicende risolutive del rapporto con il medesimo,
siccome irrilevanti (Cass. 16 giugno 2014, n. 13617; Cass. 7 settembre 2016, n.
17736; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25144; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281)”.
In tal senso, v. pure Cass. 5998 del 2019.

17. Resta assorbito l’esame del nono motivo.

18. In conclusione, dichiarati inammissibili i primi
quattro motivi, accolti i motivi dal quinto all’ottavo, assorbito il nono, va
cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Venezia in
diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di
legittimità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i primi quattro motivi;
accoglie i motivi dal quinto all’ottavo, assorbito il nono. Cassa la sentenza
impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente
giudizio, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 luglio 2021, n. 19308
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