Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2021, n. 26582

Omesso versamento all’INPS delle ritenute previdenziali e
assistenziali operate sulla retribuzione dei lavoratori dipendenti,
Trattamento sanzionatorio, Depenalizzazione, Configurazione del reato

 

Ritenuto in fatto

 

1. F.F. ricorre per la cassazione della sentenza
indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Brescia ha, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo in data 10 aprile
2014, ritenuta la continuazione tra i fatti oggetto del presente giudizio e
quelli per i quali è intervenuta condanna irrogata con decreto penale del GIP
del Tribunale di Bergamo 7 novembre 2011, esecutivo il 31 marzo 2012, ritenuti
più gravi i fatti oggetto del presente processo, ha determinato la pena in
giorni venti di reclusione ed euro 120 di multa, aumentata di euro 600 per la
continuazione con la predetta condanna e così complessivamente giorni venti di
reclusione ed euro 720 di multa, sostituendo la pena detentiva con la multa
pari ad euro 5.000,00 e quindi determinando la complessiva pena pecuniaria in
euro 5.720,00 con conferma nel resto dell’impugnata sentenza.

Al ricorrente è stato contestato il reato di cui
all’articolo 81 del codice penale, articolo 2, commi 1 e 1-bis, D.L. n. 463 del
1983 convertito con L. n. 638 del 1983 (e successive modificazioni) perché in
esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di Presidente
del consiglio di amministrazione dell’impresa F. Costruzioni, aveva omesso di
versare all’INPS le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulla
retribuzione dei lavoratori dipendenti per la mensilità di novembre 2008 per
euro 1569, per le mensilità di giugno, luglio, agosto, settembre e ottobre 2009
per complessivi euro 8.738 nonché per le mensilità da gennaio a settembre del
2010 per complessivi euro 16.103.

2. Il ricorrente, tramite il difensore di fiducia,
impugna con tre motivi, di seguito riassunti ai sensi dell’articolo 173 delle
disposizioni di . attuazione al codice di procedura penale.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce la
nullità del decreto di citazione a giudizio denunciando l’inosservanza di norme
processuali stabilite a pena di nullità (articolo 606, comma 1, lettera c), del
codice di procedura penale).

Premette che il decreto di citazione a giudizio
avanti il Tribunale Ordinario di Bergamo era stato notificato al solo difensore
sia in proprio e sia ai sensi dell’articolo 161, comma 4, del codice di
procedura penale.

Ricorda che, all’esito del processo di secondo
grado, la Corte territoriale rilevava correttamente l’erronea emissione del
decreto d’irreperibilità dell’imputato, nonostante lo stesso avesse dichiarato
tempestivamente il proprio domicilio; tuttavia, il ricorrente si duole del
fatto che il medesimo organo giudicante non dichiarava d’ufficio la nullità
della “vocatio in ius”.

Assume che, in caso di dichiarazione o di elezione
di domicilio dell’imputato, la notificazione della citazione a giudizio
mediante consegna al difensore di fiducia, anziché presso il domicilio
dichiarato o eletto, produce una nullità ai sensi dell’articolo 179 del codice
di procedura penale.

Prevalendo l’esigenza di notificare l’atto presso il
domicilio dichiarato o eletto, e, solo in caso d’inidoneità della dichiarazione
o elezione, o di assenza, non meramente temporanea, dell’imputato, la notifica
poteva essere eseguita presso il difensore, anche se nominato d’ufficio, ai
sensi del quarto comma dell’articolo 161 del codice di procedura penale,
osserva che sia il giudice di primo grado, sia la Corte territoriale non
avevano rilevato d’ufficio la predetta nullità assoluta, trattandosi di omessa
citazione dell’imputato.

In presenza di una violazione insanabile, ne
discenderebbe comunque l’invalidità della “vocatio in ius” sotto un
duplice aspetto.

Il primo, in ragione della totale omissione della
citazione a giudizio; il secondo, invece, per essere stato detto decreto
erroneamente notificato ai sensi dell’articolo 161, comma 4, del codice di
procedura penale, senza aver dimostrato l’impossibilità o la inidoneità del
domicilio dichiarato o eletto, dovendo derivare da ciò l’annullamento della
sentenza impugnata.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta
l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale in relazione
all’articolo 2, commi 1 e 1-bis, decretolegge n. 463 del 1983 (articolo 606,
comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale).

Premette che, in merito agli effettivi importi delle
diverse annualità, la Corte d’appello ometteva ogni precisazione e verifica al
riguardo, nonostante risultasse il versamento parziale e/o totale di
determinate somme.

Tanto premesso, evidenzia che, con il c.d. pacchetto
depenalizzazioni, sono state introdotte rilevanti novità riguardanti proprio
l’omesso versamento delle ritenute INPS previdenziali e assistenziali.

Infatti, l’articolo 3, comma 6, del decreto
legislativo 15 gennaio 2016 n. 8 recante “Disposizioni in materia di
depenalizzazione”, pubblicato in Gazzetta n. 17 del 22 gennaio 2016, in
attuazione della legge 28 aprile 2014, n. 67 riscriveva l’articolo 2, comma
1-bis, D.L. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni nella legge n. 638
del 1983, introducendo la soglia di Euro 10.000,00 annui ai fini della
rilevanza penale e del conseguente trattamento sanzionatorio.

Ne discende che, non essendo certo il superamento di
tale soglia per ciascuna annualità contestata, si rendeva necessario precisare
e distinguere gli effettivi importi erogati, in ragione della loro rilevanza
penale, dell’eventuale colpevolezza e, conseguentemente, anche ai fini di
trattamento sanzionatorio.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente invoca
l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto
ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale.

Sostiene che il motivo è articolato sulla base delle
statuizioni delle Sezioni Unite, riportate nella sentenza n. 13681 del 6 aprile
2016, secondo cui l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del
fatto, avendo natura sostanziale, è applicabile, per i fatti commessi prima
dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 28 del 2015, anche ai
procedimenti pendenti davanti alla Corte di Cassazione.

Alla stregua del principio generale fissato
dall’articolo 129 del codice di procedura penale, il ricorrente rileva che la
causa di non punibilità prevista dall’articolo 131- bis del codice penale sia
rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità, pure se non preventivamente
dedotta in sede di merito.

Osserva pertanto che tale fattispecie sia rilevabile
in qualsiasi fase e stato del giudizio, salva la eventuale formazione del
giudicato, idoneo ad escludere la qualificazione del fatto in termini di
particolare tenuità.

Nel caso di specie, la violazione dell’articolo 2,
comma 1 e 1-bis, D.L. n. 463 del 1983, sarebbe del tutto conciliante con i
limiti edittali richiesti ai fini dell’applicazione dell’istituto previsto
dall’articolo 131-bis del codice penale, dovendo ritenersi che il fatto nel suo
complesso possa essere considerato di particolare tenuità, stante lo stato
sostanzialmente d’incensuratezza dell’imputato e la circoscritta offesa.

3. Il Procuratore generale ha concluso per
l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, sul rilievo che la notifica del
decreto di citazione è stata correttamente eseguita al difensore ai sensi del
quarto comma dell’articolo 161 del codice di procedura penale, in quanto la
dichiarazione di domicilio si era rivelata inidonea e l’erronea emissione del
decreto di irreperibilità, in seguito a detta inidoneità, doveva ritenersi ininfluente.

Quanto al secondo motivo di ricorso, il Procuratore
generale ha osservato come esso ponga due distinte questioni.

La prima, sulla quale si pronunceranno nei prossimi
giorni le Sezioni unite, è quella se, in tema di reato continuato, il giudice,
nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e
stabilire la pena base per tale reato, debba anche calcolare l’aumento di pena
in modo distinto per ognuno dei reati satellite o possa determinarlo
unitariamente.

La seconda è quella dell’incidenza sulla sentenza
impugnata della riforma dell’articolo 2, comma 1-bis, D.L. n. 463 del 1983,
successiva alla sentenza stessa, che ha depenalizzato l’omesso versamento delle
ritenute, per un importo inferiore a euro 10.000 annui e che, in teoria, nel
caso di specie, dovrebbe portare la Corte ad eliminare la porzione di pena
inflitta per gli anni 2008 e 2009.

Queste due questioni poste all’attenzione della
Corte rendono, ad avviso del Procuratore generale, il motivo ammissibile e,
essendo nel frattempo maturato il termine di prescrizione del reato, ciò
determinerebbe l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

4. Il ricorrente, tramite il difensore, ha
presentato anche memoria con la quale, in merito al primo motivo, osserva come
manchi la prova in ordine alla dedotta impossibilità o inidoneità del domicilio
dichiarato ai fini della notifica.

Ne conseguirebbe la nullità della “vocatio in
ius”.

Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso,
condivide le conclusioni della Procura Generale in ordine alla richiesta di
annullamento senza rinvio della sentenza per prescrizione del reato.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

Il primo motivo è tuttavia inammissibile.

L’imputato aveva dichiarato il domicilio per le
notificazioni senza osservare l’onere di comunicare eventuali variazioni del
domicilio dichiarato.

Conseguentemente, la notificazione del decreto di
citazione è stata eseguita presso il domicilio dichiarato e, rivelatosi questo
inidoneo, presso il difensore (di fiducia: pag. 3 del motivo) come prevede
l’articolo 161, comma 4, del codice di procedura penale.

Peraltro, all’udienza del 27 marzo 2014, il
difensore dell’imputato nulla aveva eccepito in ordine alla regolarità della
notifica.

Il decreto di irreperibilità, erroneamente emesso,
non incide sul merito della questione sollevata, essendo stata la sua
emanazione ultronea.

L’eccezione è pertanto manifestamente infondata.

2. Il secondo motivo è fondato per quanto di
ragione.

Le sentenze di primo e di secondo grado sono state
emesse anteriormente all’entrata in vigore del decreto legislativo 15 gennaio
2016 n. 8 recante “Disposizioni in materia di depenalizzazione”,
pubblicato in Gazzetta n. 17 del 22 gennaio 2016, in attuazione della legge 28
aprile 2014, n. 67 che, con l’articolo 3, comma 6, ha modificato l’articolo 2,
comma 1-bis, D.L. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni nella legge n.
638 del 1983, introducendo la soglia di Euro 10.000,00 annui ai fini della
configurazione del reato di omesso versamento all’Inps delle ritenute
previdenziali e assistenziali.

Risulta dagli atti che gli omessi versamenti delle
somme per le annualità 2008 e 2009 – ivi compreso l’ulteriore omesso versamento
di alcuni ratei ricompresi nel decreto penale di condanna, per l’anno 2008, e
avvinti dal vincolo della continuazione con il reato di omesso versamento dei
contributi per l’anno 2010 – non sono più previsti dalla legge come reato, a
seguito dell’entrata in vigore del richiamato decreto legislativo 15 gennaio
2016 n. 8 recante “Disposizioni in materia di depenalizzazione”, non
avendo raggiunto la soglia annuale di euro 10.000.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere
annullata senza rinvio perché i fatti relativi alle annualità 2008 e 2009 non
sono più previsti dalla legge come reato.

3. Quanto invece al reato di cui alla annualità del
2010, che supera la soglia di punibilità di euro 10.000, la Corte di merito,
conformemente al giudice di primo grado, ha applicato la norma penale in vigore
anteriormente alla modifica intervenuta con l’articolo 3, comma 6, del decreto
legislativo n. 8 del 2016 in ordine alla configurazione strutturale del reato
di omesso versamento all’Inps dei contributi assistenziali e previdenziali.

Conseguentemente i giudici di merito avevano
ritenuto configurato il reato in relazione all’omesso versamento mensile delle
ritenute operate dal datore di lavoro e non in relazione al raggiungimento
della soglia di euro 10.000.

Siccome non è possibile individuare la pena
stabilita per il reato base, applicata in virtù della previgente disciplina, e
siccome non è possibile individuare (per le residue annualità del 2010) e
scorporare (per le annualità 2008 e 2009 in ordine ai fatti di non sono
previsti dalla legge come reato) la pena stabilita per i reati satellite, la
sentenza impugnata andrebbe annullata con rinvio per la rideterminazione della
pena in ordine all’annualità 2010, per la quale, poi, il giudice di rinvio
dovrebbe anche stabilire se la disciplina sopravvenuta sia più favorevole al
reo rispetto alla previgente disciplina applicata dai giudici di merito.

Nondimeno, in relazione all’annualità 2010, il reato
è prescritto, sia che si abbia riguardo alla disciplina previgente alla legge
n. 8 del 2016 e sia a quella attuale, in quanto, alla data della presente
pronuncia, il relativo capo della sentenza (quanto all’annualità 2010) non ha
acquistato, per effetto dell’impugnazione proposta dall’imputato, autorità di
cosa giudicata, dovendo ancora essere risolto il punto concernente l’aspetto
della quantificazione della pena, con la conseguenza che ciò non esime il
giudice del gravame dal compito di rilevare, nel rispetto dell’articolo 129 del
codice di procedura penale, eventuali cause di estinzione del reato (Sez. 3, n.
6983 del 18/12/2007, dep. 2008, Mimi, Rv. 239274 – 01; Sez. U, n. 1 del
19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 – 01).

Essendo perciò in corso il giudizio di impugnazione
e non essendosi formata la preclusione, sul punto concernente l’affermazione
della responsabilità, prima dell’intervento delle cause estintive del reato,
queste ultime vanno dichiarate.

La sentenza impugnata va pertanto annullata senza
rinvio, anche con riferimento ai fatti relativi all’annualità 2010, perché
estinti per intervenuta prescrizione.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la
Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata vada annullata senza rinvio
perché i fatti relativi alle annualità 2008 e 2009 non sono più previsti dalla
legge come reato e quelli relativi all’annualità 2010 sono estinti per
prescrizione.

Deve essere disposta la trasmissione degli atti
all’Inps di Bergamo in quanto, al momento di entrata in vigore della legge n. 8
del 2016, i reati (in relazione a tutte le annualità ossia al 2008, al 2009 e
al 2010) non risultavano prescritti.

5. Il terzo motivo è assorbito stante la prevalenza
della causa estintiva della prescrizione su quella della particolare tenuità
del fatto, per quanto riguarda l’annualità 2010 (Sez. 3, n. 27055 del
26/05/2015, Sorbara, Rv. 263885 – 01), e stante la più favorevole formula di
proscioglimento, quanto alle annualità 2008 e 2009.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché i
fatti relativi alle annualità 2008 e 2009 non sono più previsti dalla legge
come reato e quelli relativi alla annualità 2010 sono estinti per prescrizione.

Dispone trasmettersi gli atti all’ufficio Inps di
Bergamo.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2021, n. 26582
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: