Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimenti 20 luglio 2021

La Corte di Cassazione rafforza la riserva di legge dei
Consulenti del Lavoro

 

Premessa

Con sentenza 9 luglio
2021, n. 26294, la Corte suprema di Cassazione, sezione sesta penale, ha
affrontato la problematica inerente all’applicazione della L. 11 gennaio 1979, n. 12, art. 1,
comma 4, in materia di disciplina delle attività di consulenza del lavoro
svolta per i dipendenti delle imprese artigiane e piccole imprese e le
cooperative di dette imprese. L’art.
1, comma 4, appena menzionato prevede che “Le imprese considerate
artigiane ai sensi della legge 25 luglio 1956, n.
860, nonché le altre piccole Imprese, anche in forma cooperativa, possono
affidare l’esecuzione degli adempimenti di cui al primo comma a servizi o a
centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria.
Tali servizi possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro,
anche se dipendenti dalle già menzionate associazioni”.

In questo approfondimento vediamo nel dettaglio le
motivazioni espresse nella pronuncia della Cassazione e quali i riflessi sulla
riserva di legge dei Consulenti del Lavoro.

 

1. Analisi della sentenza della suprema corte

Nel caso di specie analizzato dalla sentenza 9 luglio 2021, n. 26294, l’imputato
aveva svolto le contestate attività di consulenza del lavoro come titolare di
un Centro Servizi costituito in forma di società in accomandita semplice,
facente capo a un’Associazione, che forniva servizi solo alle piccole imprese
associate, sia in quanto centro di assistenza fiscale (CAF imprese). Si precisa
che ogni società costituiva un’articolazione, diffusa su tutto il territorio
nazionale, della stessa associazione che è socia di maggioranza assoluta (70%)
di ciascuno di detti centri.

In sede di ricorso per Cassazione l’imputato, condannato
per il reato previsto dall’art. 348 c.p.
(esercizio abusivo di una professione) in primo grado dal tribunale di Bergamo
e, in secondo grado, dalla Corte d’Appello di Brescia, sosteneva che l’art. 1, comma 4, sopra
menzionato, in deroga all’esclusiva assegnazione ai professionisti iscritti
nell’albo dei Consulenti del Lavoro, e con riferimento alle sole piccole
imprese e imprese artigiane e alle loro cooperative, legittima l’affidamento
delle relative mansioni a servizi o a centri di assistenza fiscali (CAF)
istituiti dalle rispettive associazioni di categoria, prevedendo che tali
servizi possono, ma non necessariamente devono, essere svolti dalle predette
associazioni a mezzo di consulenti del lavoro anche se dipendenti delle
medesime associazioni.

La Suprema Corte annullava senza rinvio la sentenza
della Corte d’appello di Brescia “perché il fatto non sussiste”,
sulla base dei seguenti motivi.

Secondo la ricostruzione operata dai giudici di
merito, l’imputato aveva svolto le contestate attività di consulenza del lavoro
come titolare di un Centro Servizi costituito in forma di società in
accomandita semplice, facente capo all’associazione “omIssIs”che
fornisce servizi solo alle piccole imprese associate, sia in quanto centro di
assistenza fiscale (CAF imprese) abilitato con D.M. Finanze n. 164 del 1999, ex
art. 11, e sia in quanto centro di servizio di associazione di categoria L. n. 12 del 1979, ex art. 1,
comma 4.

Nella sentenza in commento si sottolinea che, dalla
lettura delle disposizioni appena richiamate, gli adempimenti previdenziali e
assistenziali dei lavoratori delle imprese associate, possano essere curati da
centri di servizio istituiti dall’associazione di categoria, senza che rilevi
la natura del rapporto di lavoro che intercorre tra i soggetti incaricati di
svolgere dette attività e le associazioni di categoria. La Suprema Corte
sottolinea che la L. n. 12 del
1979, art. 1, comma 4, prevede una deroga alla esclusiva attribuzione a
consulenti del lavoro iscritti al relativo albo, ammettendo che tali mansioni
con riguardo alle piccole imprese e alle imprese artigiane possano essere
gestite da parte delle cooperative cui aderiscono le predette categorie di
imprese che possono così delegare gli adempimenti in materia del lavoro a
proprie cooperative, le quali a loro volta possono avvalersi sia di consulenti
del lavoro e sia di altro personale comunque qualificato, selezionato sotto la
propria responsabilità e che opera sotto il controllo di dette associazioni.

La sentenza, inoltre, richiama la giurisprudenza amministrativa
(Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta; sentenza n. 243 del
2 marzo 1999), secondo la quale è pacificamente ammesso che le piccole imprese
possano, ai sensi della L. 11 gennaio
1979, n. 12, art. 1, comma 4, affidare gli adempimenti in materia di
lavoro, previdenza ed assistenza sociale, anziché ai Consulenti del lavoro, ai
servizi istituiti dalle rispettive associazioni di categoria.

Quanto alle forme organizzative, la Cassazione
ribadisce che il D.M. n. 164 del
1999, art. 11, prevede che le cooperative di imprese e le relative
associazioni che abbiano istituito un Centro di assistenza fiscale (CAF),
possano per lo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale, avvalersi di
una società di servizi il cui capitale sociale sia posseduto, a maggioranza
assoluta, dalle associazioni o dalle organizzazioni che hanno costituito il CAF
o dalle organizzazioni territoriali di quelle che hanno costituito i CAF,
ovvero sia posseduto interamente dagli associati alle predette associazioni e
organizzazioni. Quindi, la sentenza stabilisce che è errato affermare che
l’associazione non potesse affidare le mansioni di assistenza dei datori di
lavoro a dei soggetti giuridicamente distinti, ma solo a propri dipendenti. Ciò
in quanto è la legge stessa che ammette che dette attività possano essere
svolte o da centri di servizi che sono gestiti direttamente dalle associazioni
con propri dipendenti o da società di servizio costituite per tale scopo dalle
stesse associazioni di categoria, senza che sia richiesto che i soggetti
adibiti a tali servizi siano Consulenti del lavoro, ossia soggetti iscritti
nell’albo di cui alla L. n. 12
del 1979, art. 8.

Secondo gli Ermellini, la necessità che dette
cooperative si avvalgano solo di propri dipendenti comporterebbe degli oneri
economici evidentemente non sopportabili, ove non si consentisse a queste di avvalersi
di forme organizzative differenti per regolare i rapporti con i predetti
operatori, fermo restando il solo limite della necessità di un controllo degli
operatori affidato alle cooperative stesse e la conseguente responsabilità per
la selezione di personale professionalmente competente.

Pertanto, alla luce della sentenza in commento
l’unico spazio per ravvisare il reato di esercizio abusivo della professione di
consulente del lavoro nella fattispecie descritta rimane quello ristretto alla
diversa casistica della utilizzazione di tale sistema operativo oltre l’ambito
delle piccole imprese e le imprese artigiane associate. Ed in linea con tale
orientamento va ricordato che la circolare
Ministero del Lavoro n. 20 del 21 agosto 2008 raccomanda agli ispettori del
lavoro di verificare che i Centri di Servizio svolgano la loro attività
esclusivamente per le imprese associate e iscritte.

 

2. Sul rafforzamento del sistema della “riserva
di legge”

Orbene, dall’analisi delle argomentazioni sopra
esposte si evince una linea di pensiero volta al totale riconoscimento del
ruolo del Consulente del lavoro La Suprema Corte, infatti, ribadisce con forza
il sistema di riserva declinato nella legge 12/1979,
asserendo che: “È bene ricordare che in linea di principio le mansioni di
amministrazione della busta paga, dei rapporti con enti previdenziali, ed in
genere della contrattualistica di lavoro, sono rimesse al datore di lavoro che
deve occuparsene personalmente o per mezzo di propri dipendenti e sotto la
propria responsabilità. Attesa la sempre maggiore complessità di detti
adempimenti, è stato opportunamente previsto in alternativa, L. n. 72 del 1979, ex art. 1
comma 1, che il datore di lavoro possa delegare tali incombenze ad un
consulente del lavoro abilitato, iscritto nel relativo albo professionale
nonché ad altre figure professionali (professionisti iscritti negli albi degli
avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e
periti commerciali)”. Rimangono, invero, alcune perplessità in merito a
due questioni interpretative, che, pur non avendo trovato riscontro nella
sentenza de qua, meritano di essere trattate nel presente commento. In
particolare, la sentenza sembra mostrare alcune lacune giuridiche sia nella
mancata verifica del requisito della rappresentatività sia nella omessa
considerazione delle interpretazioni di prassi sul ruolo del Consulente del
Lavoro nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 1, comma 4, della legge
1/1979.

 

3. Sulla verifica della reale rappresentatività e
della relativa responsabilità

L’aspetto critico, non affrontato dalla Suprema
Corte in sede di legittimità, anche perché non oggetto di rilievo in sede di
merito, risulta essere quello dell’individuazione della reale rappresentatività
delle associazioni di Categoria per poter costituire CAF e per ritenersi
accreditabili come intermediari.

Sul punto, giova richiamare il “Vademecum LUL
” punto – 37 , pubblicato dal Ministero del Lavoro nel 2008, secondo il
quale “le imprese artigiane e le altre piccole imprese, anche cooperative,
possono, a norma dell’art. 1,
comma 4, della legge n. 12/1979 delegare gli adempimenti di cui all’art. 1, comma 1, della
medesima legge a servizi o centri di assistenza fiscale costituiti dalle
rispettive associazioni di categoria e assistiti da almeno un consulente del
lavoro, con incarico professionale esterno o quale dipendente
dell’associazione. Tali servizi o centri di assistenza fiscale possono prestare
assistenza esclusivamente alle imprese associate ovvero associabili alla
associazione di categoria promotrice dei CAF o servizi medesimi per ambito di
attività. È di tutta evidenza che il requisito associativo deve risultare
coerente con la storia, la natura e il settore dell’impresa aderente, non
potendo esso risolversi in un mero espediente per aggirare le prerogative e le
riserve di tutela stabilite al riguardo dalla predetta legge n. 12/1979. Si deve in ogni caso trattare di
associazioni di categoria dotate di reale rappresentatività, così come
individuate dall’art. 32 del
Decreto Legislativo 9 luglio 1997 n. 241, e non di associazioni fittizie o
comunque non rappresentative costituite alfine di eludere la disciplina di cui
alla legge n. 12/1979. Rispetto a questi
fenomeni il Ministero del lavoro avvierà nei prossimi mesi, in parallelo con la
messa a regime del Libro Unico del lavoro, una campagna ispettiva mirata volta
a reprimere gli abusi.”

Ai fini della verifica della sussistenza del
requisito della rappresentatività, e, quindi, al fine di impedire il generarsi
di fenomeni elusivi del sistema della riserva di cui alla legge 12/1979, con la costituzione di associazioni
fittizie, l’art. 32 del D.Lgs. 9
luglio 1997 n. 241 prevede che:

“7. I centri di assistenza fiscale, di seguito
denominati “Centri”, possono essere costituiti dai seguenti soggetti:

a) associazioni sindacali di categoria fra
imprenditori, presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro,
istituite da almeno dieci anni;

b) associazioni sindacali di categoria fra
imprenditori, istituite da almeno dieci anni, diverse da quelle indicate nella
lettera a) se, con decreto del Ministero delle finanze, ne è riconosciuto lo
rilevanza nazionale con riferimento al numero degli associati, almeno pari al 5
per cento degli appartenenti alla stessa categoria, iscritti negli appositi
registri tenuti dalla camera di commercio, nonché all’esistenza di strutture
organizzate in almeno 30 province;

c) organizzazioni aderenti alle associazioni di cui
alle lettere a) e b), previa delega della propria associazione nazionale;

d) organizzazioni sindacali dei lavoratori
dipendenti e pensionati od organizzazioni territoriali da esse delegate, aventi
complessivamente almeno cinquantamila aderenti;

e) sostituti di cui all’articolo 23 del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni,
aventi complessivamente almeno cinquantamila dipendenti;

f) associazioni di lavoratori promotrici di istituti
di patronato riconosciuti ai sensi del decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, aventi
complessivamente almeno cinquantamila aderenti.”

Orbene, l’art.
32, riportato, acquista rilievo nel caso de quo, in quanto la sentenza in
commento stabilisce che II controllo della società di servizio è assicurato
attraverso la previsione che il socio di maggioranza sia la stessa cooperativa
che ha istituito il CAF. Mentre la responsabilità del CAF-società di capitale,
che si avvale delle società di servizio dislocate sul territorio, deriva
direttamente dalla normativa di legge (D.M. n. 164 del 1999, ex art. 1,
comma 2) e prescinde dall’entità del capitale sociale della società di servizi,
che potendo essere anche una società di persone non assume rilievo ai fini
della garanzia patrimoniale che grava in via diretta sul Caf, che, invece, in
quanto costituito in forma di società di capitale è soggetto alla normativa più
rigorosa posta a tutela della garanzia patrimoniale per i debiti societari.

A conferma della indispensabile verifica della c.d.
responsabilità, giova ricordare anche l’art. 11 del Decreto del Ministero
delle Finanze n. 164 del 31 maggio 1999, richiamato in sentenza, il quale
in riferimento all’attività dei Centri prevede:

“1. Per lo svolgimento dell’attività di
assistenza fiscale, il CAF può avvalersi di una società di servizi il cui
capitale sociale sia posseduto, a maggioranza assoluta, dalle associazioni o
dalle organizzazioni che hanno costituito il CAF o dalle organizzazioni
territoriali di quelle che hanno costituito i CAF, ovvero sia posseduto
interamente dagli associati alle predette associazioni e organizzazioni.

2. Le attività di cui al comma 1, sono effettuate
comunque sotto il diretto controllo del CAF che ne assume la responsabilità.

3.  I
CAF-imprese prestano l’attività di assistenza fiscale a favore delle imprese
associate alle organizzazioni che hanno costituito i CAF stessi, nonché a
favore dei soci di società di persone, dei partecipanti all’impresa familiare e
del coniuge partecipante all’azienda coniugale.”

La già menzionata responsabilità viene estesa dalla
Suprema Corte anche “sul controllo degli operatori affidati alle
cooperative stesse per la selezione di personale professionalmente
competente”.

Tali condizioni pongono particolari attenzioni sulla
costituzione e sul controllo delle società costituite da parte di associazioni
e CAF.

In particolare, giova sottolineare che in capo
all’associazione proprietaria della società di servizi gravi l’obbligo di
garantire che i servizi medesimi siano svolti da soggetti qualificati. Tale
obbligo può realizzarsi unicamente osservando le seguenti modalità:

a) svolgendo l’attività con lavoratori dipendenti
qualificati (altre forme di lavoro delineerebbero una fattispecie di
“sfruttamento”);

b) in ossequio al principio di professionalità
specifica, organizzando il servizio e la relativa attività per il tramite di
consulenti del lavoro, dipendenti o professionisti, relativamente ai quali,
come ribadisce la sentenza in commento, sussiste una presunzione di competenza
assoluta.

In buona sostanza, la qualità del servizio non potrà
trovare realizzazione in un contesto di dequalificazione dei soggetti
incaricati allo svolgimento del servizio medesimo o di sfruttamento del lavoro
irregolare.

 

4. Sulla presenza del consulente del lavoro

In riferimento alla presenza del Consulente del
Lavoro nei già menzionati organismi, la sentenza in commento rileva che
“dopo la sentenza della Cassazione (riferendosi alla n. 367/2013 della
Sesta Sezione penale), sono stati sollecitati chiarimenti interpretativi al
Ministero del Lavoro (rimasti senza risposta)”.

Invero tale interpretazione il Ministero l’aveva già
fornita da tempo con la circolare n. 65 del
27/05/1986: “È da far presente che la corretta interpretazione della legge
è nel senso che l’espletamento dei servizi di consulenza affidati alle
associazioni di categoria delle piccole imprese e di quelle artigiane deve far
comunque capo a soggetti che siano consulenti del lavoro, dipendenti o meno
delle associazioni medesime: ossia soggetti che siano iscritti nell’albo di cui
all’art. 8 della legge n.
12/1979”.

Tale tesi veniva avvalorata e confermata anche nella
risposta n. 37 del Vademecum del LUL del 2008, già sopra riportata.

È anche opportuno richiamare la circolare Inps n. 100 del 27 aprile 1990: “A tal
proposito va chiarito se il legislatore, con l’espressione “i servizi
possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro”, abbia
inteso escludere del tutto la possibilità di svolgere l’attività di consulenza
a mezzo solo di propri dipendenti, sia pure particolarmente qualificati, ovvero
abbia inteso dare una facoltà alternativa all’espletamento diretto
dell’attività in parola. In merito, non può che richiamarsi la circolare ministeriale n. 65/86 del 27 maggio 1986;
con la stessa il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha ritenuto
che “l’espletamento dei servizi di consulenza affidati alle associazioni
di categoria delle piccole imprese e di quelle artigiane deve far comunque capo
a soggetti che siano consulenti del lavoro, dipendenti o meno delle
associazioni medesime: ossia soggetti che siano iscritti nell’albo di cui all’art. 8 della legge n. 12/1979”.

Una interpretazione che avvalora l’assunto secondo
cui il termine “possono”, si debba riferire all’assistenza anche come
Consulente del lavoro dipendente dell’associazione e non solo, quindi, nella
qualità di Consulente del lavoro professionista esterno.

 

5. Sui limiti di operatività

La Suprema Corte conferma quanto già disciplinato
dalla normativa vigente in tema di assistenza e cioè che essa può essere
prestata esclusivamente alle imprese associate, ovvero associabili, all’ente di
categoria promotrice dei CAF o servizi medesimi per ambito di attività.
Risalta, inoltre, l’esclusività di tale assistenza alle sole imprese artigiane
e alle piccole imprese. Sul punto, si ritiene che la definizione corretta di
piccole imprese anche in forma cooperativa, debba essere quella contenuta nella
Raccomandazione n. 2003/361 della Commissione Europea del 6/05/2003 (si veda
anche decreto ministeriale Attività Produttive 18
aprile 2005), la quale individua tali imprese in quelle con meno di 50
occupati e che abbiano un fatturato o un totale di bilancio annuo non superiore
ai 10 milioni di euro.

 

6. Conclusioni

Il sistema della riserva di cui all’art. 1 della legge 12/79 trova
nella sentenza in commento un ulteriore e forte riconoscimento
giurisprudenziale.

Il comma 4 dell’art. 1 della legge 12/79
menzionato rimane circoscritto in un ambito di residualità derogatoria.

Tuttavia, sembra opportuno ritornare sulle considerazioni
espresse al paragrafo n. 4 e cioè sulla mancata menzione in sentenza —
probabilmente anche a causa di una carenza di acquisizione agli atti in sede
istruttoria — degli indirizzi di prassi, sopra riportati, circa
l’interpretazione da attribuire al termine “possono” di cui al citato
comma 4. Tale interpretazione, in linea con la struttura dell’intera
declinazione della legge n. 12/1979, conferma
l’assunto secondo cui l’espletamento dei servizi di consulenza affidati alle
associazioni di categoria delle piccole imprese e di quelle artigiane deve fare
comunque capo a soggetti che siano consulenti del lavoro, dipendenti o meno
delle associazioni medesime: ossia soggetti che siano iscritti nell’albo di cui
all’art. 8 della legge n.
12/1979.

Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimenti 20 luglio 2021
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