Il datore di lavoro che chiede la restituzione di somme erogate per errore deve provare che si era trattato di un errore essenziale e riconoscibile.
Nota a Cass. 9 giugno 2021, n. 16088
Pamela Coti
Il datore di lavoro, per ottenere la restituzione di somme che ritiene di aver erogato al lavoratore per errore, deve provare non solo l’errore, ma anche il suo carattere essenziale e riconoscibile.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione (9 giugno 2021, n.16088, conf. ad App. Roma n. 2340/2019) con riferimento alla domanda riconvenzionale di una società volta ad ottenere dal lavoratore la restituzione di somme versate in eccedenza a titolo di ore di lavoro non rese e di indennità di trasferte mai svolte.
La Cassazione, d’intesa con i Giudici territoriali, richiamando Cass. n. 16489/2014, ha stabilito che, dal momento che le retribuzioni fissate dai contratti collettivi costituiscono quelle minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che sia impedito al datore di lavoro erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse determinate a seguito di contrattazione tra le parti o semplicemente da lui offerte al lavoratore, qualora si accerti che il compenso pattuito dalle parti era superiore a quello minimo previsto dal contratto collettivo, il lavoratore è tenuto a restituire tale eccedenza, soltanto, ove il datore richieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo. Inoltre, egli “non può limitarsi a provare che il suddetto contratto prevede, per le prestazioni svolte, retribuzioni inferiori, ma deve dimostrare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dell’altro contraente, ossia di un errore che presenti i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c.”. (v. anche Cass. Cass. n. 46/2017, n. 5552/2011, Cass. n. 4942/ 2000, Cass. n. 4499/1987).
Poiché nel caso in esame tali condizioni non sussistevano, la Cassazione ha rigettato il ricorso.