Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 luglio 2021, n. 21357

Rapporto di lavoro, Dirigente, Recesso anticipato,
Risarcimento del danno pensionistico, Mancato versamento dei contributi

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4251/2008,
passata in giudicato, aveva condannato la Confartigianato Imprese
Confederazione Generale italiana dell’Artigianato, A.N.R., al pagamento, in
favore di G.B., rivestente il ruolo di dirigente, della somma complessiva di €
590.215,14 a titolo di risarcimento del danno per il recesso anticipato della
datrice di lavoro dal rapporto di lavoro a tempo determinato intercorso tra le
stesse parti.

2. All’esito di successivi giudizi proposti dal B.,
oggetto di riunione – l’uno relativo alla richiesta di condanna del
Confartigianato al versamento dei contributi previdenziali calcolati sulla
somma sopra indicata, con ricalcolo della pensione da parte dell’INPS, e
l’altro proposto, in via subordinata rispetto alla domanda avanzata con il
primo, per la condanna al risarcimento del danno pensionistico derivato al
dirigente dal mancato versamento dei contributi relativamente alla somma sopra
indicata -, il Tribunale capitolino respingeva entrambe le domande, facendo
proprie le motivazioni della sentenza n. 2579/2013 emessa dalla Corte d’appello
di Roma, con cui era stata rigettata l’impugnazione dell’INPS con riferimento
alla cartella esattoriale emessa per somme a titolo di contributi pretese
dall’istituto nei confronti della medesima Confederazione, in ragione della
natura risarcitoria e non retributiva delle somme già riconosciute in favore
del B. dalla richiamata sentenza n. 4251/2008.

3. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del
11.12.2015, rilevato che sul capo della sentenza di primo grado di reiezione
della domanda principale del B. si era ormai formato il giudicato, in assenza
di ogni impugnazione, in accoglimento del gravame del predetto, avanzato
soltanto con riguardo alla domanda subordinata, ed in riforma per quanto di
ragione dell’impugnata decisione del Tribunale capitolino, condannava il
Confartigianato appellato al risarcimento del danno pensionistico derivato al
dirigente dal mancato versamento contributivo e previdenziale in relazione alla
somma di € 590.215,34 liquidata dal Tribunale di Roma con la sentenza n
4251/2008.

4. La Corte distrettuale osservava che era
meritevole di accoglimento l’appello proposto relativamente a tale domanda di
risarcimento del danno pensionistico, sulla quale non era intervenuta alcuna
pronuncia giudiziale suscettibile di passare in cosa giudicata, avuto riguardo
alla circostanza che, al momento della proposizione del ricorso relativo
all’impugnazione del recesso della Confederazione, non risultava che il B.
fosse già in pensione, di talché un eventuale danno di natura pensionistica non
si era ancora concretizzato.

5. Rilevava che, nell’ipotesi di accertamento
dell’illegittimità del recesso ante tempus, il recedente era obbligato al
risarcimento integrale del danno, da liquidarsi secondo le regole civilistiche
comuni di cui all’art. 1223 c.c., sicché il lavoratore aveva diritto anche al
risarcimento del danno pensionistico derivato dal mancato versamento
contributivo e previdenziale in relazione alla somma liquidata di € 590.215,14,
dovendo escludersi che il passaggio in giudicato della sentenza relativa al
recesso della Confederazione appellata avesse coperto anche tale profilo, per
essersi il danno pensionistico concretizzato, come già posto in evidenza,
solamente quando il B. era andato in pensione.

6. Di tale decisione ha domandato la cassazione il
Confartigianato, affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati con
memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui ha resistito il B.

7. L’INPS ha rilasciato procura speciale in calce
alla copia del ricorso notificato.

8. Per il Confartigianato si è costituito nuovo
difensore, in sostituzione del precedente deceduto, in forza di procura
speciale autenticata in sede notarile.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il Confartigianato
ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2114,
2115 e 2116 c.c., dell’art. 12 I. 153/69, sostenendo l’insussistenza
dell’obbligo contributivo sulle somme erogate a titolo risarcitorio, sulla base
del rilievo che la decisione impugnata sia in contrasto con l’art. 12, co. 4,
lett. c), della I. 153/1969, secondo cui non costituiscono imponibile
contributivo i proventi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento
danni, e rilevando come non sia configurabile un obbligo contributivo in
assenza della controprestazione, in relazione alla natura risarcitoria delle
somme riconosciute, non assoggettabili a contribuzione previdenziale.

1.1. Evidenzia come anche per le indennità liquidate
dal giudice a titolo di risarcimento danno pari alle 15 mensilità, in caso di
rinuncia alla reintegrazione, o anche per le 14 mensilità, nei casi previsti
dall’art. 8 I. 604/66, sia esclusa ogni contribuzione, in generale non essendo
prevista l’assoggettabilità a contribuzione di somme non aventi funzione
remunerativa, ed assume, in conformità a quanto già ritenuto dal giudice che
aveva annullato la cartella esattoriale con cui l’INPS aveva chiesto il
pagamento dei contributi – sia pure con sentenza non opponibile al B. rimasto
estraneo a quel giudizio -, che il danno pensionistico lamentato dal lavoratore
non sussista se i contributi previdenziali in favore dell’INPS non sono dovuti
da parte del datore di lavoro.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1227 e 2116 c.c. per
insussistenza dell’inadempimento e quindi della responsabilità datoriale per
assunto danno pensionistico.

Adduce che, per potersi parlare di danno
pensionistico, siano necessarie l’inadempienza contributiva e la perdita di una
prestazione altrimenti dovuta e sostiene che il mancato versamento dei
contributi non sia dipeso da un’omissione volontaria del datore di lavoro, ma
dall’esecuzione di una sentenza che ha statuito l’insussistenza dell’obbligazione
contributiva e che tale rilevante aspetto non sia stato considerato dalla Corte
capitolina, la quale ha omesso di valutare la mancanza dell’elemento soggettivo
della colpa, necessario per l’insorgere di una responsabilità contrattuale.

2.1. Evidenzia la diversità esistente rispetto
all’ipotesi della prescrizione dei contributi previdenziali, nella quale il
datore si avvantaggerebbe illegittimamente del decorso del tempo in danno del
lavoratore omettendo il versamento di contributi in origine dovuti, e richiama
la pronuncia della Corte di Cassazione n. 20827/2013 sull’operatività della
responsabilità dell’imprenditore quando le istituzioni di previdenza non
possano ricevere i contributi per essere il relativo credito estinto per
prescrizione.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della
violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2909 c.c., sostenendo
l’inammissibilità della domanda risarcitoria perché coperta dal giudicato, sul
rilievo che, se il danno pensionistico discende direttamente dall’illegittimo
recesso, a maggior ragione la relativa domanda risarcitoria deve considerarsi
preclusa dal giudicato, considerato che (Cass. 11148/99) l’autorità del
giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al
medesimo oggetto, in relazione a ragioni non dedotte ma deducibili nel giudizio
definito dal giudicato.

3.1. Sostiene che il B. avrebbe potuto proporre
domanda di condanna generica ex art. 278 c.p.c. per un eventuale danno da
omissione contributiva anche prima del raggiungimento dell’età pensionabile.

4. Con il quarto motivo, è dedotta l’omessa
motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c. in ordine ad un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, in relazione alla mancata prescrizione dei
contributi, che avrebbe comportato l’insussistenza in concreto di un danno
pensionistico.

5. Per ragioni di priorità logico-giuridica, occorre
esaminare il terzo motivo, con il quale si censura la decisione per avere il
giudice del gravame omesso di considerare la valenza preclusiva del giudicato
nei riguardi della domanda tesa ad ottenere il risarcimento da danno
pensionistico.

5.1. Tale censura é fondata.

5.2. Va premesso che l’esistenza del giudicato
esterno è, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti,
rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo anche
nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia
della sentenza impugnata, trattandosi di un elemento che può essere assimilato
agli elementi normativi astratti, essendo destinato a fissare la regola del
caso concreto; sicché, il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo
delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti,
conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso
interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente
nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la
stabilità della decisione (cfr. Cass. 26.6.2018 n. 16847; Cass. 15.5.2018 n.
11754).

5.3. La Corte distrettuale ha richiamato, a
fondamento del decisum, pronuncia di questa Corte 28.3.1997 n. 2822, ai sensi
della quale, “nel contratto di formazione e lavoro il recesso “ante
tempus” – che è consentito solo in presenza di una giusta causa, ai sensi
dell’art. 2119 cod. civ. – è illegittimo per violazione del termine
contrattuale e obbliga il recedente al risarcimento integrale del danno, da
liquidarsi secondo le regole comuni di cui all’art. 1223 cod. civ., sicché il
lavoratore ha diritto alla retribuzione fino alla scadenza del termine, oltre
al risarcimento del danno derivante dalla mancata formazione e dai minori
versamenti contributivi previdenziali, con detrazione – ove il datore di lavoro
ne fornisca la prova – di quei guadagni che il lavoratore abbia eventualmente
conseguito da un’occupazione successiva al licenziamento o avrebbe potuto
conseguire se non fosse stato negligente nel reperire altra occupazione”.
Ha, poi, richiamato Cass. 24335/2013, che ribadisce i principi precedentemente
affermati secondo cui, in caso di non giustificato recesso ante tempus del
datore di lavoro dal rapporto di lavoro dirigenziale a tempo determinato, il
risarcimento del danno dovuto al lavoratore va commisurato all’entità dei
compensi retributivi che lo stesso avrebbe maturato dalla data del recesso sino
alla prevista scadenza del contratto (con richiamo a Cass. I luglio 2004 n.
12092; Cass. I giugno 2005 n. 11692).

5.4. Risulta, secondo questo Collegio, non
supportato dal contenuto delle decisioni richiamate l’affermazione, pure
contenuta nella sentenza impugnata (cfr. pag 4 della sentenza), secondo cui
“solamente nel momento in cui il B. è andato in pensione, si è
concretizzato il danno pensionistico per cui è causa”, ciò che ha condotto
la Corte distrettuale ad escludere il formarsi del giudicato.

5.5. Proprio dalla pronuncia n. 2822/97 sopra
richiamata è dato, invero, desumere che il danno del quale il lavoratore
illegittimamente estromesso ante tempus richieda il risarcimento da parte del
datore di lavoro assume una connotazione unitaria con riguardo a tutte le
componenti che ne costituiscono il titolo, ivi compreso il danno discendente
dalla minore contribuzione conseguibile, pregiudizio già conosciuto in virtù
dell’accertata illegittimità dell’ intervenuto recesso illegittimo che non dia
luogo, come nel caso esaminato, a reintegrazione nel posto di lavoro, e che si
differenzia dal danno normalmente connesso all’omissione contributiva in corso
di rapporto lavorativo.

5.6. Al riguardo si veda, da ultimo, quanto argomentato
da Cass. 30.10.2018 n. 27660 con riferimento alle distinte forme di tutela del
lavoratore in ipotesi di omissioni contributive prima della maturazione della
prescrizione dell’obbligo contributivo, dopo la maturazione della prescrizione
dei contributi omessi e con riguardo all’esperibilità dell’azione risarcitoria
nel momento in cui il danno (costituito dalla perdita totale o parziale della
prestazione previdenziale) si determina, ossia nel momento in cui avrebbe
potuto essere attivato (per esserne maturati i requisiti) ovvero è stato
attivato il trattamento previdenziale rispettivamente perso, ovvero goduto in
misura inferiore al dovuto.

5.7. Nella specie la peculiarità della fattispecie
si sostanzia nel fatto che la pronuncia passata in giudicato (sentenza del
Tribunale di Roma n. 4251/2008), che ha riconosciuto in favore del B. la somma
complessiva di € 590.215,14 a titolo di risarcimento del danno per il recesso
anticipato della datrice di lavoro dal contratto di lavoro a tempo determinato
intercorso tra le stesse parti, richiamando le retribuzioni solo quale
parametro della quantificazione, deve ritenersi preclusiva di ogni ulteriore
azione risarcitoria discendente dal medesimo titolo.

5.8. Ciò in relazione al principio per cui
l’autorità del giudicato copre il dedotto e il deducibile, e cioè non solo le
ragioni giuridiche fatte valere in giudizio (giudicato esplicito) ma anche
tutte le altre – proponibili sia in via di azione che di eccezione – le quali,
sebbene non dedotte specificamente si caratterizzano per la loro comune
inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente svolte (giudicato
implicito): deve, pertanto, ritenersi preclusa una seconda pronuncia in
relazione a diversa voce di credito che fosse stata già azionabile in precedente
giudizio (cfr., ex aliis, Cass. 26.2.2019 n. 5486, Cass. Cass. 30.10.2017 n. 25745, Cass. 23.2.2016 n.
3488, Cass. 30.6.2009 n. 15343).

5.9. Né potrebbe essere utilmente richiamata ai fini
voluti dal lavoratore Cass. 6.4.2012 n. 5881, secondo cui il giudicato
esplicito sulla domanda di risarcimento da mancata retribuzione non preclude al
lavoratore la domanda di risarcimento da mancata contribuzione, essendo il caso
in tale pronuncia scrutinato relativo a domande che, pur unificate da una
comune istanza risarcitoria, sono dirette al conseguimento di beni giuridici
distinti e si fondano su fatti costitutivi autonomi: la indicata pronuncia è,
invero, riferita alla diversa ipotesi di violazione dell’obbligazione
retributiva connessa alla continuità giuridica del rapporto di lavoro, in
relazione alla quale la mancata contribuzione si fonda sulla violazione
dell’obbligazione previdenziale conseguente all’esistenza del rapporto di
lavoro, come evidenziato nella parte argomentativa. In siffatta fattispecie si ritiene,
invero, che, anche a ritenere che le domande in prosieguo di tempo proposte
siano unificate da una comune istanza risarcitoria, le stesse restino,
comunque, del tutto differenziate quanto ai relativi fatti giustificativi ed
impongano, pertanto, distinti accertamenti fattuali e giuridici, dovendo
accertarsi anche il verificarsi della prescrizione dei contributi, ostativa
all’azione nei confronti del datore di lavoro per la regolarizzazione della
contribuzione.

6. Alla stregua delle esposte considerazioni e dell’
ulteriore rilievo secondo cui i proventi e le indennità conseguite, anche in
forma assicurativa, a titolo di risarcimento danni non hanno natura retributiva
e funzione remunerativa, ma hanno, a differenza dell’ipotesi da ultimo
richiamata, una funzione di mero reintegro patrimoniale delle perdite subite
dal lavoratore, il cui rapporto di lavoro non è più in essere, deve trovare
accoglimento il terzo motivo, cui consegue che tutti gli altri motivi non
debbano essere oggetto di specifico esame, rimanendo assorbiti.

7. Non essendo necessario procedere ad ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art
384, 2° comma, seconda parte, c.p.c., nel senso della inammissibilità della
domanda del B. per preclusione nascente da precedente giudicato sulla domanda
originaria relativa al risarcimento del danno discendente dall’ anticipato
recesso del datore dal rapporto di lavoro a termine instaurato con il
dirigente.

8. Le spese di lite relative ai gradi di merito
vanno diversamente regolate e cedono, per la integrale soccombenza del
controricorrente, a carico di quest’ultimo, nella misura che può essere
individuata ragionevolmente in quella già determinata nella sentenza impugnata,
sia pure disponendone il pagamento da parte del dirigente in favore del
Confartigianato ricorrente.

9. Sussistono i presupposti per compensare le spese
di tutti i gradi del giudizio con l’INPS, atteso che l’istituto non è stato
destinatario di alcuna richiesta di condanna da parte del B.

10. All’accoglimento del ricorso consegue
l’insussistenza delle condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo, assorbiti gli altri, cassa
la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito,
dichiara l’inammissibilità della originaria domanda relativa al danno
pensionistico e condanna B.G. al pagamento delle spese di lite, liquidate, per
il primo grado in euro 5000,00, per il secondo grado in euro 6500,00 e, per il
presente giudizio di legittimità, in euro 200,00 per esborsi, euro 5250,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso delle spese
generali in misura del 15% per i gradi di merito e per il giudizio di
cassazione.

Compensa le spese nei confronti dell’INPS per i
gradi di merito e per il presente giudizio di legittimità.

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