Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 agosto 2021, n. 30231

Infortunio, Violazione delle norme in materia di prevenzione
degli infortuni sul lavoro, Lesioni personali, Responsabilità

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 23/1/2017, la Corte
d’appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di
Belluno, esclusa la recidiva, ha rideterminato la pena inflitta a I.G. in
quella di mesi due di reclusione; ha confermato la sanzione inflitta all’ente
“I. G. s.n.c.”, determinata nella misura di euro 18.000,00.

2. Era contestato all’imputato, in qualità di
amministratore della soc. “I. G.”, di avere cagionato lesioni
personali al dipendente U.A., con violazione delle norme in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Il lavoratore, intento a tagliare un pannello di
polistirene estruso, con l’uso di una sega circolare, sprovvista di spingitoi,
entrava in contatto con la lama, riportando una “lesione complessa pollice
e indice della mano sinistra” che comportava una malattia superiore a
quaranta giorni.

La Corte di merito individuava nella violazione
dell’art. 37 d.l.vo 81/2008 profilo di colpa specifica da addebitarsi
all’imputato.

2. Ricorre per cassazione, nell’interesse
dell’imputato e dell’ente “I. G. s.n.c.”, il difensore di fiducia,
lamentando quanto segue.

2.1. Violazione degli artt. 27 Cost., 40 cod. pen. e
192 cod. proc. pen.; contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione. La difesa sostiene che i giudici dì merito siano incorsi in una
erronea individuazione dei responsabile del fatto. L’imputato I. G., nella sua
qualità di legale rappresentante o amministratore della società, non avrebbe
dovuto essere chiamato a rispondere delle violazioni ipotizzate, occupandosi
della gestione della sicurezza del dipendenti il fratello I.O.

La motivazione offerta sul punto dalla Corte di
merito sarebbe illogica e inconferente, non riflettendo le risultanze
istruttorie.

Sebbene I. G. fosse socio e legale rappresentante
della società, unitamente al fratello O., non poteva ritenersi responsabile
delle decisioni organizzative dell’impresa, tanto meno delle scelte che
riguardavano la sicurezza dei dipendenti: l’istruttoria dibattimentale avrebbe
reso evidente come il diretto superiore dell’infortunato, responsabile delle
decisioni organizzative dell’impresa, di fatto presente sul cantiere, non fosse
I. G. ma il fratello O..

Quest’ultimo, come risulta dalle testimonianze
assunte nel processo di primo grado, si occupava della gestione dei dipendenti
e della loro sicurezza (cfr. verbale udienze del 26/1/2015, pag. 33, teste O.
I.).

La circostanza emergerebbe anche dai documenti
acquisiti al giudizio (in particolare dalla dichiarazione datata 1/1/2006 –
depositata all’udienza del 26/1/2015 – con cui O. I. dichiarava di avere
assunto la funzione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione
della I. G. s.n.c. e dalla dichiarazione rilasciata dai dipendenti).

La Corte avrebbe errato nel ritenere che I. G.
fosse, di fatto, presente sul cantiere: ivi, al momento dell’accaduto, era
presente solo un altro fratello, I. A., come risulta dalla deposizione
testimoniale di quest’ultimo, da quella del lavoratore U. e dalla deposizione
dell’ispettore C..

L’organizzazione dell’impresa faceva capo a O. I.,
il quale non aveva solamente una funzione di P.SPP, in ausilio del G., ma aveva
anche pieni poteri decisionali e di spesa. Di conseguenza la posizione di
garanzia avrebbe dovuto essere individuata in capo ad I. O., essendosi questi
occupato in via esclusiva della formazione del lavoratore.

2.2 Violazione e falsa applicazione degli artt. 590
cod. pen., 40 e 41 cod.pen.; contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione.

In ordine allo stato manutentivo della sega
circolare, la Corte d’appello, nel rivalutare i fatti alla luce dei motivi di
gravame, diversamente dal primo giudice, 
ha ritenuto che non vi fossero elementi sufficienti per ritenere che le
condizioni della manutenzione del macchinario avessero avuto un’incidenza causale
sull’infortunio occorso.

In sentenza si ritiene, invece, che la mancata o
insufficiente formazione del lavoratore sia all’origine di quanto accaduto. Sul
punto la Corte territoriale afferma: “il dipendente, pur lavorando già da
tre mesi, non aveva un bagaglio esperienziale specifico formato nell’arco di
anni di osservazione ed apprendimento”; “la breve durata dello stage
non può avere consentito al lavoratore di assorbire con la dovuta coscienza e
profondità le nozioni di sicurezza minime in un settore, quale quello edile, in
cui il rischio di infortunio è permanente, per l’utilizzo di potenti macchinari
o l’esposizione a lavorazioni potenzialmente pericolose”.

Il ragionamento non risulterebbe validamente
supportato. Dalle risultanze Istruttorie è emerso che il lavoratore U. aveva
frequentato un corso di formazione sulla “sicurezza e salute sul lavoro in
edilizia” presso il Comitato Paritetico Edile per la formazione e la
sicurezza della Provincia di Bolzano. Si tratta di un corso specifico, rivolto
a tutti i lavoratori del comparto dell’edilizia, nell’ambito del quale
l’impiego della sega circolare era stata oggetto di attività di formativa.
Nella sua deposizione testimoniale, il consulente nominato dalla difesa, dott.
F., ha dichiarato che tra le norme d’impiego nell’uso della sega circolare è
raccomandato di non rimuovere mai schegge o altre parti che si siano staccate
davanti alle linee di taglio e che ai corsi viene spiegato ai lavoratori che
non bisogna inserire le mani nelle macchine in movimento.

Il consulente ha poi chiarito come la sega circolare
non sia stata annoverata tra le macchine per le quali è prevista una specifica
abilitazione per il conduttore o il manovratore.

Il lavoratore aveva svolto un corso teorico ed aveva
anche ricevuto un addestramento pratico in cantiere, avendo già utilizzato la
sega circolare prima dell’incidente, come dichiarato dai vari testi e dalla
stessa persona offesa.

Per quanto riguarda la qualità del materiale al cui
taglio era stato addetto U., la Corte ometterebbe di considerare quanto
indicato dal consulente nella relazione tecnica: il pannello di
“Styrodur” è costituito da materiale morbido al taglio, difficilmente
in grado di provocare un contraccolpo nella fase di lavorazione. Sarebbe quindi
errata la considerazione della Corte di merito in base alla quale si
tratterebbe di un materiale fragile. Che il lavoratore si fosse infortunato al
termine dei taglio è inoltre una deduzione che non troverebbe conforto in atti,
essendo smentita dalla circostanza che la lesione è avvenuta tra l’indice e il
pollice.

La Corte di merito (pag. 9 della motivazione) non
nega la componente di imperizia presente nella condotta del lavoratore, ma
ritiene egualmente che il dipendente non avrebbe dovuto essere incaricato di
effettuare il lavoro di taglio (“Tale profilo avrebbe richiesto
particolare attenzione da parte del datore di lavoro tanto più che fu lo stesso
imputato, secondo quanto afferma la persona offesa, ad assegnargli il compito
specifico di tagliare lo Styrodur”). Il passaggio da ultimo richiamato
risulterebbe erroneo: nel verbale d’udienza del 26/01/2015, a pag. 23, dalle
parole della persona offesa emerge che era stato I. A. ad assegnare il compito
di eseguire il taglio. Proprio le caratteristiche del materiale dei pannelli
(tenero e morbido) consentivano l’affidamento del lavoro all’operaio. Il
consulente dott. F., nella propria relazione, ha evidenziato come l’infortunato
già da tre mesi operasse all’interno dei cantieri, pertanto aveva acquisito una
certa esperienza nell’utilizzare il macchinario. Nessun rimprovero in punto di
formazione e informazione poteva essere mosso al datore di lavoro I. G.. La
stessa circostanza che il lavoratore U. avesse precedente esperienza lavorativa
come cuoco, o aiuto cuoco, avrebbe dovuto escludere il profilo di
responsabilità addebitato, avendo il lavoratore una pregressa esperienza con
l’affettatrice, macchinario simile a quello adoperato per il taglio del
pannello.

La Corte d’appello non avrebbe adeguatamente
considerato il comportamento imprudente del lavoratore, idoneo ad interrompere,
per la sua abnormità, il nesso causale tra la condotta attribuita all’imputato
e l’evento lesivo.

2.3 Violazione e falsa applicazione dell’art.
25-septies, comma 3, d.l.vo 231/01; contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione. La Corte motiva la conferma della sentenza di primo grado in
ragione dell’inadeguata preparazione professionale del dipendente, sostenendo
che ha comportato un risparmio per l’ente, il quale non deve sostenere costi
aggiuntivi per i corsi e per le giornate di lavoro perse.

La motivazione sarebbe palesemente illogica atteso
che, come già detto in precedenza, dall’istruttoria dibattimentale è emerso che
al lavoratore è stata fornita la preparazione teorica prevista per legge ed è
stato dimostrato l’addestramento pratico sul luogo di lavoro.

2.4 Contraddittorietà e illogicità della motivazione
in punto determinazione della sanzione amministrativa

La motivazione della Corte di merito, la quale non
ha ridotto la sanzione fino alla metà, come previsto dall’art. 12, comma 2,
divo 231/2001, sarebbe illogica e contraddittoria. Si sostiene che la massima
riduzione non sarebbe riconoscibile in quanto il risarcimento, garantito
dall’assicurazione, non ha comportato un diretto esborso da parte della
società. Rileva la difesa che il medesimo risarcimento è stato tenuto in debita
considerazione dalla Corte al fine di stabilire l’entità della pena inflitta
all’imputato, con riconoscimento della circostanza di cui all’art. 62, comma 5,
cod.pen.

Non si comprenderebbe la ragione per cui la
circostanza del risarcimento possa essere tenuta in considerazione per
l’imputato, ma non per l’ente. Vero è che il risarcimento non ha comportato un
esborso “diretto” da parte della società, tuttavia ha senz’altro
comportato un esborso “indiretto”, atteso che la polizza assicurativa
a tal fine stipulata rappresenta un costo specifico che l’ente sostiene
periodicamente, suscettibile di lievitare in caso di sinistri.

3. Con motivi aggiunti, la difesa ha dedotto:
violazione del principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la
sentenza ex artt. 521, 522, 178 cod.proc.pen., violazione del principio del
contraddittorio ex art. 111 della Costituzione, nella parte in cui la sentenza
della Corte d’Appello afferma che l’interesse dell’ente sarebbe rappresentato
dal risparmio dei costi per la formazione del dipendente infortunato. Pone in
rilievo che il Giudice di primo grado non aveva fatto cenno a tale
argomentazione. Con l’introduzione di tale nuovo elemento, su cui non si era
formato il contraddittorio, la torte di merito sarebbe incorsa in una
violazione del principio del diritto di difesa.

In ogni caso dalla compiuta istruttoria sarebbe
emersa la circostanza dell’avvenuta formazione del lavoratore.

 

Considerato in diritto

 

1. I ricorsi in favore dell’imputato e dell’ente
devono essere dichiarati inammissibili.

2. I motivi proposti risultano manifestamente
infondati.

Con riferimento alla posizione dell’imputato si
osserva quanto segue.

Il ricorrente riveste la qualifica di legale
rappresentante della “I. G. s.n.c.”, datore di lavoro
dell’infortunato.

In plurime pronunce questa Corte ha affermato che
dalla qualità datoriale discende una serie di obblighi fondamentali, tra i
quali deve annoverarsi la previsione dei rischi a cui risulta esposto il
lavoratore nell’espletamento delle sue mansioni. Alla previsione del rischio è
strettamente collegato l’obbligo di formare e informare il lavoratore, secondo
quanto stabilito dall’art. 37 d.lgs. 81/08, e di vigilare perché siano attuate
le misure previste ai fini della tutela della sua incolumità

E’ quindi pacifico che il datore di lavoro debba
rispondere dell’infortunio occorso al dipendente ove la mancata formazione sia
causalmente collegata al verificarsi dell’evento.

3. Tutto ciò premesso) la Corte di merito ha
correttamente posto in evidenza come l’infortunio occorso al lavoratore sia
stato conseguenza della sua inesperienza, dovuta alla lacunosa formazione
professionale ricevuta in relazione al compito affidatogli in azienda di
tagliare un pannello di polistirene espanso con una sega circolare.

Nel descrivere le modalità di accadimento del fatto
la Corte di merito evidenzia che Il lavoratore ha avvicinato la mano alla lama
per impedire che le vibrazioni determinate durante le fasi di taglio potessero
danneggiare il materiale [“Quando un pannello di Styrodur è soggetto al
tipo di lavorazione alla quale la persona offesa lo stava sottoponendo (taglio
con sega circolare) la leggerezza del pannello, unita alla sua rigidità,
provoca una caratteristica tendenza alla vibrazione del pezzo. A sua volta, in
considerazione della fragilità del materiale, la vibrazione comporta il rischio
di spezzare il pezzo in lavorazione. Ed è proprio per impedire la vibrazione
del pezzo (e diminuire quindi il rischio di frattura dello stesso) che il
lavoratore tende ad avvicinare la mano al punto ove la vibrazione ha origine
(il punto di presa della lama sul pezzo). Ciò è avvenuto nel caso di specie,
con l’operaio (inesperto e non specificamente istruito) che ha progressivamente
avvicinato la mano alla lama senza realizzare il pericolo incombente e fino a
provocarsi la lesione”).

Dalla descrizione delle modalità di accadimento
dell’infortunio è stata logicamente desunta la causa di esso, riconducibile ad
una inadeguata e Insufficiente formazione del lavoratore. Si legge in
motivazione che il dipendente, pur lavorando da tre mesi in I. s.n.c., non
aveva un bagaglio d’esperienza specifico, avendo solamente beneficiato di un
corso di formazione di otto ore sulle mansioni di operaio edile: anche
ammettendo che gli fossero state somministrate nozioni di sicurezza riguardanti
il tipo di macchina con cui si infortunò, la brevità della durata dello stage
non gli aveva permesso di acquisire una conoscenza esaustiva ai fini
dell’utilizzo in sicurezza del macchinario.

Si tratta di adeguata motivazione, non censurabile
in questa sede, suscettibile di rendere conto in maniera puntuale delle ragioni
dei decisum. A tali argomentazioni la difesa contrappone una diversa
ricostruzione della vicenda, asserendo la esaustività del corso frequentato
dalla persona offesa ai fini della sua formazione e prospettando una diversa
ricostruzione della dinamica dell’infortunio.

E’ d’uopo rilevare come alla Corte di Cessazione non
spetti il compito di provvedere ad una diversa lettura dei dati processuali o
ad una diversa Interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di
legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati processuali. In virtù di principi consolidati, nel momento del controllo
delta motivazione, la Corte di cessazione non è tenuta a stabilire se la
decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né a
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento [cfr. Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003,
dep. 06/02/2004, Rv. 229369 – 01: “Nel momento del controllo della
motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di
merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento: ciò in quanto l’art. 606, comma primo, lett. e) del cod. proc.
pen. non consente alla Corte di una diversa lettura dei dati processuali o una
diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di
legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati processuali. (In senso conforme anche Cass., Sez. V, 13 maggio 2003,
Pagano ed altri, non massimata)].

4. Come ha osservato la Corte di merito la qualifica
di RSSP in capo ad I. O., fratello dell’imputato, non può costituire ragione di
esonero da responsabilità per il datare di lavoro.

Secondo costante orientamento della giurisprudenza
di legittimità in materia, il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione svolge una funzione di consulenza in materia antinfortunistica del
datore di lavoro, coadiuvandolo nella individuazione dei rischi, nelle
soluzioni tecniche da adottare per impedire il verificarsi di infortuni
collegati a tali rischi, nella pratica di formazione e informazione del
lavoratore [cfr. Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017, Rv. 270286 – 01: “La
mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non
costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il
datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di
violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro. (In motivazione, la Corte ha precisato che il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione svolge un ruolo di consulente in materia
antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere
decisionale)”, conforme a Sez. 4, n. 50605 del 05/04/2013, Rv. 258125 –
01: “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di
vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la
nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha
una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di
lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella
scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di
formazione dei dipendenti”).

Occorre quindi ribadire che la designazione del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è rquiparabile ad una
delega di funzioni: ove si concretizzi un rischio prevedibile non considerato
ed ove l’evento sia causalmente collegato all’omessa o incompleta formazione
del lavoratore, dell’infortunio dovrà comunque rispondere il datore di lavoro.

5. Le doglianze attinenti alle modalità di
verificazione dell’infortunio sono palesemente versate in fatto.

I motivi di ricorso investono la ricostruzione della
dinamica dell’incidente sotto diversi profili.

La difesa esprime considerazioni che attengono ad
aspetti di merito, proponendo un’alternativa ricostruzione della vicenda. Si
legge in ricorso che le caratteristiche del materiale legittimavano
l’affidamento del compito al nuovo assunto; che il taglio del materiale era
operazione semplice; che la ferita riportata dal lavoratore, per le sue
caratteristiche, era indicativa del fatto che l’infortunio fosse avvenuto
all’inizio dell’operazione di taglio, diversamente da quanto ritenuto dai
giudici di merito.

Attraverso tali argomentazioni la difesa approda
alla conclusione che l’incidente si verificò per un comportamento imperito e
imprudente dell’infortunato, ascrivibile alta categoria dei comportamenti
abnormi, suscettibili di incidere sul legame causale.

Ebbene, a fronte delle ricordate censure, appare
opportuno nuovamente ribadire che compito di questa Corte non è quello di
ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di
verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare l’incompiutezza
strutturale della motivazione della Corte di merito, la sua manifesta illogicità,
l’incoerenza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori
di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con
il senso della realtà o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra
loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di
rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver
assunto dati inconciliabili con “atti dei processo”, specificamente
indicati dal ricorrente, dotati autonomamente di forza esplicativa tale da
disarticolare l’intero ragionamento svolto in sentenza (Cass. Sez. 2, n. 13994
del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Gess. Sez. 1, n. 20370 del
20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006,
Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, Imp.
Moschetti ed altri, Rv. 234989).

Le contraddizioni lamentate dalla difesa e
l’asserito travisamento delle emergenze processuali, peraltro sostenuti
attraverso un frammentario richiamo alle testimonianze acquisite, non si
riconoscono all’interno dell’apparato giustificativo della sentenza, le cui
argomentazioni sono prive di aporie logiche e sorrette da spiegazioni che
trovano fondamento in richiami pertinenti (si veda la parte della sentenza in
cui i giudici addivengono alla ricostruzione dell’infortunio attraverso il
puntuale richiamo alla deposizione resa dell’ispettore C.).

 Infine, il
prospettato comportamento esorbitante del lavoratore non è evocato a proposito.
L’abnormità del comportamento del lavoratore, può apprezzarsi solo in presenza
di condotte connotate de assoluta imprevedibilità o ingovernabílità da parte di
chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto si è efficacemente
sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una
condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque
nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del
lavoratore dagli standards di prudenza, diligenza e perizia costituisce
evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi
dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria
del “comportamento abnorme”, serve piuttosto ad evidenziare la
necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari – interne o esterne
al processo di lavoro – suscettibili di collocare la condotta dell’infortunato
al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso [cfr. Sez.
4, Sentenza n. 15194 del 13/12/2017, dep. 05/04/2018, Rv. 273247 – 01:”In
tema di infortuni sul lavoro, qualora l’evento sia riconducibile alla
violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e
sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato
elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante
dall’area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto
l’inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della
stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende
dall’inerzia del datore di lavoro”; da ultimo Sez. 4, n. 8163 del
13/02/2020, Rv. 278603 – 01: “Il datore di lavoro che non adempie agli
obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati
risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza
del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere
condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della
inadempienza degli obblighi formativi, né l’adempimento di tali obblighi è
surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore. (Nella specie,
la Corte ha ritenuto immune da censure il riconoscimento della responsabilità
del datore di lavoro per la morte di un lavoratore, ascrivibile al non corretto
uso di un macchinario dovuto all’omessa adeguata formazione sui rischi del suo
funzionamento)].

E’ significativo ribadire quanto già affermato nelle
massime richiamate: in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori,
l’attività di formazione del lavoratore non è esclusa dal personale bagaglio di
conoscenze del lavoratore, formatosi per effetto di pregresse esperienze
lavorative o per il trasferimento di conoscenze che comunemente si realizza
nella collaborazione tra lavoratori. Questo tipo di apprendimento non può avere
un valore surrogatorio delle attività di informazione e di formazione
legislativamente previste.

Ne consegue che la prova dell’assolvimento degli
obblighi di informazione e di formazione del lavoratore non può ritenersi
raggiunta attraverso la considerazione della circostanza che l’infortunato
sapesse come fare funzionare una sega elettrica, avendo adoperato in passato
una macchina affettatrice. La carenza, invero, non può essere colmata dalle conoscenze
personali e l’imperizia del lavoratore, come pure l’imprudenza o la negligenza,
non sono suscettibili d’interrompere il nesso causale tra condotta addebitata
al datore di lavoro ed evento.

6. Non si individuano le criticità segnalate dal
difensore in punto di responsabilità dell’ente e di determinazione della
sanzione applicata (motivi terzo e quarto di ricorso).

Il rilievo difensivo, riguardante l’assenza del
presupposto del vantaggio per la configurazione della responsabilità dell’ente
(art. 5, comma 1, d.lgs. 231/2001), è tutto incentrato sulla negazione della
violazione addebitata all’imputato (“nel caso che ci occupa non è stata
fornita alcuna prova che la I. G. s.n.c. avesse un interesse o conseguito un
vantaggio da un qualsivoglia comportamento di violazione delle norme
prevenzionistiche, atteso che la ditta ha osservato tutte le prescrizioni
legislative in vigore”).

Si tratta di affermazioni puramente avversative che
collidono con la ricostruzione offerta in motivazione dalla Corte di merito e
con quanto logicamente argomentato in sentenza in relazione alla carenza di
formazione somministrata al lavoratore.

Data per acquisita la esistenza della violazione
addebitata all’imputato, le ragioni espresse dalla Corte di merito, poste a
fondamento del ritenuto vantaggio per la società, sono del tutto congrue
[“In ordine alla responsabilità dell’ente (punti 4 e 5 dell’appello),
affermata la responsabilità del datore di lavoro, è sufficiente osservare che i
profili critici afferiscono innanzi tutto (per il datore di lavoro) alla
mancata fornitura di un’adeguata preparazione professionale e (per l’impresa).
Ciò significa, praticamente, che vi è un risparmio dell’ente, che non deve
sostenere costi aggiuntivi per i corsi e per le relative giornate di lavoro
“perdute” (ovviamente il termine è usato solo in senso improprio), con la
conseguenza di immettere nell’attività produttiva lavoratori non adeguatamente
formati ed allettati delle possibili insidie che il luogo di lavoro può sempre
presentare”].

Il fatto che l’argomento del risparmio dei costi sia
stato introdotto nella  motivazione
espressa in grado di appello non si traduce in una violazione del principio del
contraddittorio e del diritto di difesa, poiché il giudice di appello ha il
potere di integrare la motivazione del primo giudice (Sez. 6, n. 30059 del
05/06/2014, Rv. 262397 – 01).

Peraltro la doglianza ha carattere di novità
rispetto ai motivi di ricorso originari (Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020 Rv.
280294 – 01: «In materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di
presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi
principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore
esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono
ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di
carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si
intenda allargare l’ambito del predetto “petitum”,  introducendo censure non tempestivamente
formalizzate entro i termini per l’impugnazione»).

6.1 La difesa si duole della mancata riduzione della
sanzione inflitta all’ente nella misura massima della metà, siccome previsto
dall’art. 12, comma 2, d.lgs, 231/2001.

La Corte di merito ha ritenuto che la società non
fosse meritevole di beneficiare della massima riduzione, mettendo in rilievo la
gravità del fatto, il risparmio conseguito dall’ente in conseguenza dell’omessa
formazione del dipendente ed il mancato diretto esborso di somme a titolo
risarcitorio, essendo stato il risarcimento riconosciuto dalla società
assicuratrice.

La motivazione non soffre dei vizi lamentati dalla
difesa: la giustificazione offerta dalla Corte di merito non riguarda il solo
aspetto del risarcimento, ma anche í più generali profili della gravità delle
critidtà osservate nella gestione della sicurezza dei lavoratori e del
risparmio conseguito dall’ente.

Ai sensi dell’art. 11 d.lgs. 231/01, nella
determinazione della sanzione da applicare all’ente, il giudice deve tenere
conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché
dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per
prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

Il successivo art. 12 prevede, al comma 2, che la
sanzione pecuniaria sia diminuita da un terzo alla metà se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’ente abbia
provveduto a risarcire integralmente il danno e ad eliminare le conseguenze
dannose o pericolose del reato ovvero si sia adoperato efficacemente in tal
senso.

E’ evidente come, nella ricorrenza delle condizioni
imposte nella norma da ultimo citata, l’entità della diminuzione della sanzione
pecuniaria sia rimessa al prudente apprezzamento del giudice, il quale, nel
compiere la valutazione farà uso di un potere discrezionale entro i parametri
indicati dall’art. 11 d.igs. 231/01. Ebbene, tale valutazione sfugge al
sindacato di legittimità ove non sia espressione di manifesta illogicità.

Non sono comparabili gli istituti previsti dall’art.
62, comma 1, n. 6 cod. pen. e dall’art. 12 d.lgs. 231/01. La prima è
un’attenuante comune destinata ad incidere sul trattamento sanzionatorio
riservato all’imputato, la seconda è un’attenuante che riguarda l’ente. Il
sistema introdotto con il d.lgs. 231/01 ha disegnato un trattamento dedicato
all’illecito della persona giuridica, avente proprie connotazioni peculiari,
pertanto il collegamento prospettato dalla difesa è del tutto inconferente.

6. La inammissibilità dei ricorso esclude che possa
farsi luogo per l’imputato alla declaratoria di estinzione del reato per
prescrizione (Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 – 01:
“L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.”).

7. Consegue alla declaratoria d’inammissibilità dei
ricorsi la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali,
nonché, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di
euro 3000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi
assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 agosto 2021, n. 30231
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: