Il termine perentorio per contestazione dell’addebito al pubblico dipendente che abbia svolto illegittimamente l’attività di avvocato per conto proprio decorre dall’avvenuta comunicazione o conoscenza della notizia di infrazione da parte dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari e non dalla pubblicazione di sentenze in cui compaia il suo nome come difensore.
Nota a Cass. 7 luglio 2021, n. 19310
Sonia Gioia
In materia di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio per la formulazione dell’incolpazione, assume esclusivamente rilievo l’avvenuta comunicazione o acquisizione da parte dell’Ufficio per i Procedimenti disciplinari (c.d. UPD) di una notizia di infrazione che consenta allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, secondo la regolare alternanza tra contestazione dell’addebito, svolgimento dell’istruttoria e irrogazione della sanzione.
Sicché, laddove al pubblico dipendente sia contestato l’esercizio, senza autorizzazione datoriale, della professione forense per conto proprio, in favore di soggetti non appartenenti all’amministrazione di riferimento, il termine decadenziale non può decorrere dalla pubblicazione di sentenze che riportino il suo nome come difensore, in quanto ciò che rileva è la conoscenza dell’illecito disciplinare da parte degli organi titolari del potere sanzionatorio e non la generica possibilità di una sua ricostruzione sulla base di mirate indagini su atti pubblici.
Lo ha rilevato la Corte di Cassazione (7 luglio 2021, n. 19310, conforme ad App. Roma n. 3008/2019) in relazione ad una fattispecie concernente un avvocato, dirigente responsabile dell’avvocatura comunale, che lamentava l’illegittimità della procedura disciplinare per mancato rispetto del termine iniziale, all’esito della quale era stato licenziato per aver svolto, senza autorizzazione dell’ente pubblico datore di lavoro, attività libero professionale per conto proprio, attraverso il patrocinio di varie cause di soggetti estranei all’amministrazione di appartenenza.
Nello specifico, secondo la Corte distrettuale, il termine decadenziale di 40 giorni per la formulazione dell’addebito, ai sensi dell’art. 55 bis, co. 4, D.LGS. 30 marzo 2001, n. 165, c.d. T. U. del Pubblico Impiego (nel testo, applicabile ratione temporis, antecedente alla L. 25 maggio 2017, n. 75, c.d. Riforma Madia), doveva decorrere, non dal momento in cui erano state pubblicate sentenze che riportavano il nome del dipendente come difensore né da quando l’associazione sindacale aveva denunciato la condotta illecita al Sindaco e al Segretario comunale, ma allorché gli atti concernenti la notizia di infrazione erano stati trasmessi alla responsabile della struttura ove il lavoratore era impiegato.
Al riguardo, la Cassazione ha ribadito che, ai fini della contestazione del fatto, è necessaria una notizia “circostanziata” dell’illecito, ossia una conoscenza certa, da parte dei titolari dell’azione disciplinare, di tutti gli elementi costitutivi dello stesso, che consenta, cioè, di formulare l’incolpazione in maniera puntuale e precisa, senza richiedere ulteriori accertamenti fattuali (Cass. n. 22075/2018, annotata in q. sito da G.I. VIGLIOTTI). Ciò, allo scopo di consentire al dipendente di comprendere l’accusa e approntare un’adeguata difesa.
Ne consegue che “ciò che rileva per il decorso del termine decadenziale per la contestazione è la trasmissione o conoscenza della notizia di infrazione rispetto all’UPD e non la percezione di essa da parte di altri organi della P.A. di riferimento come anche, ove si parli di un Comune, da parte del Sindaco o del Segretario comunale”.
Né, a tal fine, assume rilievo la pubblicazione di sentenze da cui risulti lo svolgimento da parte del pubblico dipendente di attività giudiziale e stragiudiziale per conto proprio, in assenza di autorizzazione datoriale, in quanto, pur essendo le sentenze atti pubblici, in teoria consultabili da qualsiasi persona che abbia interesse a farlo, è “evidente” che da tale possibilità non si possa dedurre che chiunque, e quindi anche l’Amministrazione di appartenenza, abbia conoscenza del contenuto di tali pronunce e dei difensori coinvolti.
Nel caso di specie, la Corte, nel respingere le doglianze del prestatore, ha ritenuto “palesemente tempestiva” la contestazione in quanto effettuata nel termine perentorio di 40 giorni dalla trasmissione della notizia dell’infrazione all’UPD, precisando che la mera esistenza di sentenze pubbliche che riportino il nome del dipendente come difensore “non rende nota a tutti l’attività svolta dal medesimo, che resta semmai solo potenzialmente ricostruibile sulla base di esse” e, pertanto, è inidonea a comportare la decorrenza del termine decadenziale per l’avvio della procedura disciplinare.