Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 agosto 2021, n. 23528

Rapporto di lavoro, trasferimento di ramo d’azienda,
Differenze tra quanto avrebbe percepito per effetto del passaggio alle sue
dipendenze e quanto ricevuto a titolo di CIGS, Risarcimento danno
professionale

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Bologna, in riforma della
decisione di primo grado, ha dichiarato improcedibili le domande azionate da
C.G. nei confronti delle società G.A. spa e E. spa, entrambe dichiarate fallite
nel corso del procedimento;

2. la Corte territoriale ha premesso che la G. aveva
convenuto in giudizio la G.A. spa per far accertare che tra la S.T.I. spa in
concordato preventivo (suo datore di lavoro), e la G.A. spa era intervenuto un
trasferimento di ramo d’azienda; che l’accordo sindacale del 20.2.12, concluso
ai sensi dell’art. 47 I. n. 428 del 1990, era nullo, illegittimo o inefficace;
che ella aveva diritto alla prosecuzione del rapporto alle dipendenze della
G.A. spa; che quest’ultima doveva essere condannata a corrisponderle le
differenze tra quanto avrebbe percepito per effetto del passaggio alle sue
dipendenze e quanto ricevuto a titolo di CIGS, e a risarcirle il danno
professionale;

3. la Corte di merito ha dato atto che nelle more
della interruzione del processo a causa del fallimento della G.A. spa, il ramo
di azienda già affittato alla G.A. spa era stato ceduto a E. spa e che quindi
il procedimento era stato riassunto anche nei confronti di quest’ultima, a sua
volta poi dichiarata fallita;

4. ha ritenuto che le domande proposte, di
accertamento del diritto della lavoratrice alla prosecuzione del rapporto di
lavoro alle dipendenze delle cessionarie, G.A. spa e poi E. spa, fossero
strumentali alla condanna delle parti convenute al pagamento delle differenze
retributive ed appartenessero quindi alla cognizione del giudice fallimentare;

5. avverso la sentenza C.G. ha proposto ricorso per
cassazione affidato ad un unico motivo; il Fallimento G.A. spa e il Fallimento
E. spa non hanno svolto difese;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’art. 380 bis c.p.c.

 

Considerato che

 

7. con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c, violazione e falsa applicazione dell’art.
52 L.F.;

8. si censura la statuizione di improcedibilità
adottata dalla Corte di merito in relazione alla domanda della ricorrente in
primo grado, volta a far accertare: la cessione di ramo d’azienda,
rappresentato dall’unità produttiva di lavorazione assegni e altri servizi di
back office bancario a cui la stessa era addetta, dalla S.T.I. spa alla G.A. I.
spa (poi divenuta G.A. spa), la nullità ed inefficacia dell’accordo sindacale
limitativo del passaggio dei lavoratori ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., il
diritto della predetta alla prosecuzione del rapporto di lavoro, senza
soluzione di continuità, alle dipendenze della G.A. spa e, a seguito della
seconda cessione in favore di E. spa, alle dipendenze di quest’ultima; si
assume che la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive non
potesse mutare la natura delle precedenti domande, attinenti all’accertamento
della costituzione e continuità del rapporto di lavoro;

9. il ricorso è fondato;

10. la questione posta dal ricorso in esame attiene
alla individuazione del rito applicabile, del lavoro oppure fallimentare, alla
domanda di accertamento della cessione di ramo di azienda e del diritto della
lavoratrice alla prosecuzione del rapporto di lavoro in capo alla cessionaria,
con condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni alla professionalità e
al pagamento di differenze retributive, nel caso in cui intervenga, nelle more
del giudizio, il fallimento della cessionaria medesima;

11. il discrimine tra la sfera di cognizione del
giudice del lavoro e del giudice fallimentare è stato tracciato da questa
Corte, con orientamento ormai consolidato, sulla base delle rispettive speciali
prerogative: del giudice del lavoro, quale giudice del rapporto e quindi delle
controversie aventi ad oggetto lo status del lavoratore, essenzialmente
radicato nei principi affermati dagli artt. 4, 35, 36 e 37 Cost., in
riferimento al diritto ad una legittima e regolare instaurazione, vigenza e
cessazione del rapporto e alla sua corretta qualificazione e qualità. E ciò per
effetto dell’esercizio di azioni sia di accertamento mero, come in particolare
di esistenza del rapporto di lavoro (Cass. 30 marzo 1994, n. 3151; Cass. 18
agosto 1999, n. 8708; Cass. 18 giugno 2004, n. 11439) o di riconoscimento della
qualifica della prestazione (Cass. 20 agosto 2009, n. 18557; Cass. 6 ottobre
2017, n. 23418), ovvero di azioni costitutive, principalmente di impugnazione
del licenziamento (Cass. 2 febbraio 2010, n. 2411), anche quando comprensive della
domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass, 3 marzo
2003, n. 3129; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4051; Cass. 25 febbraio 2009, n.
4547; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308), pure qualora conseguente
all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di
ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte
cedente, in caso di fallimento della cessionaria (Cass. 23 gennaio 2018, n.
1646); del giudice fallimentare, quale giudice del concorso, nel senso
dell’accertamento e della qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal
rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso (anche
eventualmente in conseguenza di domande di accertamento o costitutive in
funzione strumentale: Cass. 20 agosto 2013, n. 19271) e con effetti
esclusivamente endoconcorsuali, a norma dell’art. 96, ult. comma I. fall.,
ovvero destinate comunque ad incidere sulla procedura concorsuale e che
pertanto devono essere esaminate nell’ambito di quest’ultima per assicurarne
l’unità e per garantire la parità tra i creditori (v. Cass. n. 7990 del 2018:
n. 16443 del 2018; n. 24363 del 2017);

12. così delimitato il rispettivo ambito di
cognizione del giudice del lavoro e del giudice fallimentare, si è sottolineata
la diversità di causa petendi e di petitum tra le domande riguardanti il
rapporto, di spettanza del primo e le domande di ammissione al passivo, di
spettanza ¡invece del secondo (Cass. 3 marzo 2003, n. 3129). Si è infatti
osservato che, sotto il profilo della causa petendi, nelle prime rileva un
interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno
dell’impresa, sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per
la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla
realizzazione della par condicio (Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 29
settembre 2016, n. 19308; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2975; Cass. 16 ottobre
2017, n. 24363); nelle seconde rileva invece solo la strumentalità
dell’accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul
patrimonio del fallito. Sotto il profilo del petitum, la distinzione è posta
tra domande del lavoratore miranti a pronunce di mero accertamento oppure
costitutive, rientranti nella cognizione del giudice del lavoro oppure domande
dirette alla realizzazione di diritti di credito a contenuto patrimoniale,
anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione
strumentale, appartenenti alla cognizione del giudice fallimentare (Cass. 20 agosto
2013, n. 19271; Cass. 16 ottobre 2017, n. 24363; n. 16443 del 2018 in motiv.);

13. alla luce dei principi esposti, deve esaminarsi
la domanda avanzata dalla lavoratrice nel presente procedimento e volta
all’accertamento dell’avvenuto trasferimento di ramo di azienda e del proprio
diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle
cessionarie che si sono succedute nonché alla condanna per differenze
retributive;

14. tali domande comportano l’accertamento della
vigenza e della continuità dell’unico rapporto di lavoro, proseguito per
effetto della disciplina dell’art. 2112 c.c. alle dipendenze di un diverso
datore di lavoro (cessionario), in sostituzione del precedente (cedente), e
senza necessità di consenso del lavoratore ceduto;

15. la domanda involge la persistente vigenza del
rapporto, nella immutazione degli elementi oggettivi e nella modifica parziale
degli elementi soggettivi (datoriali), che non è meramente strumentale alla
pronuncia di una sentenza di condanna patrimoniale (nella specie pari alla
differenza tra la retribuzione spettante alla lavoratrice nel caso di
prosecuzione del rapporto ex art. 2112 c.c. e l’importo ricevuto a titolo di
cassa integrazione), ma che involge lo status della lavoratrice, nel senso
sopra definito, quindi la sua condizione di dipendente di una determinata
società datoriale, in continuità col precedente rapporto di lavoro in essere
con la cedente e previo accertamento di nullità, illegittimità o inefficacia
dell’accordo sindacale ostativo all’operare degli effetti di cui all’art. 2112
c.c.;

16. sulla falsariga di quanto già statuito da questa
S.C., deve quindi affermarsi la cognizione del giudice del lavoro in relazione
a domande, come quella in esame, di accertamento della cessione di ramo di
azienda e della continuità del rapporto di lavoro in capo alla cessionaria,
secondo l’art. 2112 c.c., in quanto atte a rivelare un interesse della
lavoratrice al riconoscimento e alla tutela della propria posizione all’interno
dell’impresa in procedura concorsuale, sia in funzione di una possibile ripresa
dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali (nella specie
per la domanda di risarcimento del danno professionale) e previdenziali,
estranei alla realizzazione della par condicio (Cass. 29 marzo 2011, n. 7129;
Cass. 29 settembre 2016, n. 19308; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2975; Cass. 16
ottobre 2017, n. 24363; Cass. n. 16443 del 2018);

17. per le considerazioni svolte, accolto il motivo
di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima
Corte d’appello, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese
del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di
Bologna, in diversa composizione.

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