Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 agosto 2021, n. 23613

Lavoratori agricoli a tempo determinato, Contribuzione,
Ricalcolo della retribuzione prevista per i contratti di riallineamento

Rilevato che

 

La Corte d’Appello di Lecce ha accolto l’appello
principale proposto dall’INPS e da S.C.C.I s.p.a. nei confronti di Agenzia
delle Entrate Riscossione e di I.C. ed ha dichiarato assorbito l’appello
incidentale proposto, quanto alla liquidazione delle spese, da quest’ultima
avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva accolto l’opposizione
avverso avvisi di addebito notificati alla C. ed aventi ad oggetto il pagamento
di differenze sull’importo dovuto per contributi dovuti per lavoratori
dipendenti, derivanti dal ricalcolo della retribuzione prevista per i contratti
di riallineamento in vigore nel 2006 e per la considerazione di un numero di
ore di lavoro maggiore rispetto a quello osservato dai lavoratori agricoli a
tempo determinato dipendenti da aziende del brindisino; il primo giudice aveva
dichiarato prescritta la pretesa dell’INPS individuando il dies a quo del
relativo termine nella data entro la quale i datori di lavoro avrebbero dovuto
inviare all’INPS i modelli DMAG; la Corte d’appello ha osservato che la
questione di fondo aveva formato oggetto di un vasto contenzioso per cui era
stata esperita una prassi tendente ad ottenere in via prioritaria i
pronunciamenti della Corte di cassazione;

sul punto ed a seguito di Cass. nn. 2432 e 3798 del
2019, le rappresentanze delle parti datoriali avevano invano cercato di
raggiungere un accordo con l’INPS;

ciò premesso, la Corte territoriale ha condiviso,
quanto all’individuazione del dies a quo della prescrizione, i principi
espressi dalla giurisprudenza di legittimità con le sentenze nn. 2432 e 3798
del 2019 e, per il resto, ha condiviso la tesi dell’INPS in merito alla
illegittimità delle modifiche apportate in sede di stipula ai contratti di
riallineamento al fine di mantenere i vantaggi contributivi previsti dall’art.
5, comma quinto, d.l. n. 510 del 1996;

quanto alle ore di lavoro sulle quali era stato
calcolato l’importo, infine, la Corte ha rilevato che esse erano inferiori a
quelle previste dal contratto di riallineamento perché parametrate ad un
salario giornaliero riferito a 5 ore di lavoro e non a 6,50, come previsto
dalla contrattazione provinciale di categoria;

nel caso di specie, inoltre, non si era in presenza
di contratti pari time formalmente stipulati, né le previsioni si riferivano ai
soli lavoratori a tempo indeterminato, come preteso dalle aziende agricole; la
Corte d’Appello ha poi dichiarato assorbito l’appello incidentale; avverso tale
sentenza, propone ricorso per cassazione I.C. sulla base di quattro motivi;
resiste l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore ex art. 380 bis
cod.proc.civ. è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza camerale non partecipata;

 

Considerato che

 

col primo motivo la ricorrente deduce la violazione
e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2935 c.c., art. 1, comma 6, d.l.
n. 2/2006 conv. in l. n. 81/2006, art. 6, comma 14, d.l. n. 536/1987 conv. in
l. n. 48/1988, art. 17 e 18 d.lgs. n. 241/1997 e art. 6, comma 1, d.lgs. n.
375/1993, posto che i giudici d’appello avevano fatto decorrere il termine di
prescrizione dalla data di scadenza del termine per effettuare il pagamento dei
contributi dichiarati, vertendosi invece in ipotesi di prescrizione del diverso
diritto ad accertare eventuali differenze contributive non dichiarate dal
contribuente; con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1,
commi 1 e 2 d.l. n. 388/1989, 7 l. n. 463/1983, 11 comma 1 d.l. n. 11/1997, 4
d.lgs. n. 146/1997, 5 l. n. 608/96 come modificato dall’art. 23 l. n. 196/1997,
1175, 1337 e 1318 c.c., 5, quinto comma, del decreto legge 1 ottobre 1996, n.
510, convertito dalla legge 28 novembre 1996, n. 608 e dell’art. 20 del decreto
legislativo n. 375 del 1993 ed art. 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la
sentenza impugnata ha ritenuto nulli e comunque inefficaci nei confronti
dell’INPS gli accordi di riallineamento e gradualità sottoscritti in Provincia
di Brindisi, rispettosi invece delle richiamate disposizioni di legge o aventi
efficacia di legge tra le parti;

con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la
violazione degli artt. 10, 14, 27, 30 40 e 45 c.c.n.l. per gli operai agricoli
e florovivaisti 6 luglio 2006, art. 3 e 16 d.lgs. n. 66/2003, delle direttive
comunitarie n. 93/104 c.c. e n. 2000/34/CE, d.m. 28.12.1995 art 5, comma 4,
d.l. n. 510/96 e dell’art. 115 c.p.c. nella parte in cui era stato riconosciuto
il diritto dell’INPS a calcolare la contribuzione sulla base del salario
giornaliero riferito a 6,50 ore piuttosto che a quello effettivamente svolto in
azienda pari a 5 ore giornaliere;

con il quarto motivo si denuncia la violazione
dell’art. 39 Cost., art. 1 d.l. n. 2/2006, art. 20 d.lgs. n. 375/93, art. 1 l.
n. 389/89, art. 5, quarto comma, d.l. n. 510/96, art. 28 c.c.n.l. 10.7.2002,
art. 28 c.c.n.l. 6.7.2006, art. 19 C.P.L. della Provincia di Brindisi del
20.9.2004, della delibera CIPE n. 42/2000, nella parte in cui la sentenza aveva
ritenuto la ricorrente decaduta dal diritto agli sgravi ed alle agevolazioni
fiscali previsti per le aziende operanti in zone svantaggiate a causa di una
insussistente erroneità del calcolo della contribuzione dovuta; il primo
motivo, relative alla individuazione del dies a quo del termine di prescrizione
dell’obbligo contributivo in esame, è infondato dovendosi dare continuità alle
ordinanze di questa Corte di cassazione nn. 2432 e 3798 del 2019, né rileva,
per l’inconsistenza dell’argomento, la differenziazione suggerita dalla
ricorrente tra obbligo contributivo derivante da dichiarazioni del datore di
lavoro ed obbligo contributivo in caso di mancata dichiarazione giacché l’obbligazione
rimane quella contributiva soggetta alla medesima disciplina della
prescrizione; questa Corte ha affermato che in tema di contributi agricoli, il
termine di prescrizione non decorre dalla data di presentazione delle denunzie
periodiche della manodopera da parte del datore, ma dalla scadenza del termine
fissato per legge per il pagamento degli stessi, dal momento che, per il
“favor debitoris” costituente la “ratio” di tali
previsioni, l’INPS non può esigere il pagamento prima della scadenza e, di
conseguenza, non può decorrere la prescrizione, secondo il criterio generale di
cui all’art. 2935 c.c.;

il secondo motivo, che complessivamente contesta la
decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il
programma di riallineamento contributivo del 2004 per ritenuta contrarietà al
disposto dell’art. 5, comma 5, del d.l. n. 510/1996, convertito nella legge n.
608/1996, è infondato;

questa Corte di cassazione ( vd. Cass. n. 25367 del
2019 e numerose altre conformi) ha ritenuto che;

l’articolo 5 del d.l. n.510 del 1996, convertito,
con modificazioni, in legge n. 608 del 1996, ha introdotto, al dichiarato fine
di sospendere «la condizione di corresponsione dell’ammontare retributivo di
cui all’articolo 6, comma 9, lettere a), b) e c), del decreto legge 9 ottobre
1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n.
389», l’istituto del riallineamento retributivo, più correttamente, l’adesione
del datore di lavoro all’accordo di riallineamento retributivo con la
previsione del graduale riallineamento dei trattamenti economici dei lavoratori
ai livelli previsti nei corrispondenti contratti collettivi nazionali di
lavoro; si è riconosciuto, ai predetti accordi, validità pari a quella
attribuita ai contratti collettivi nazionali di lavoro di riferimento, quale
requisito per l’applicazione, a favore delle imprese, di tutte le normative
nazionali e comunitarie. Sempre il richiamato articolo 5, al comma 3, secondo
periodo, prevedendo, quanto agli sgravi contributivi, che «l’applicazione nel
tempo dell’accordo provinciale comporta la sanatoria anche per i periodi
pregressi per le pendenze contributive ed a titolo di fiscalizzazione di leggi
speciali in materia e di sanzioni a ciascuna di esse relative ovvero di sgravi
contributivi, per le imprese di cui al comma 1», rivela l’intento del
legislatore di consentire al datore di lavoro, che aderisca all’accordo
provinciale di riallineamento, di fruire dei benefici contributivi e della
fiscalizzazione degli oneri sociali limitatamente ai lavoratori già dipendenti
del datore di lavoro al recepimento dell’accordo provinciale incentivandolo con
il graduale recepimento della contrattazione collettiva (al più tardi, entro
trentasei mesi dal recepimento dell’accordo provinciale) e con lo sgravio
contributivo quale conseguenza del dichiarato fine sospensivo richiamato
nell’incipit del più volte richiamato articolo 5; il quinto comma dell’art. 5
del d.l. n. 510/1996, convertito dalla legge n. 608/1996 testualmente recita
quanto segue: “E’ ammessa una sola variazione ai programmi di
riallineamento contributivo, compresi quelli già stipulati, limitatamente ai
tempi ed alle percentuali fissati dagli accordi provinciali, purché tale
modifica sia oggettivamente giustificata da intervenuti rilevanti eventi non
prevedibili e che incidano sostanzialmente sulle valutazioni effettuate al
momento della stipulazione dell’accordo territoriale, ed a condizione che
l’intesa di aggiustamento sia sottoscritta dalle medesime parti che hanno
stipulato il primitivo accordo”;

l’art.116, c. 1-7, della legge 23 dicembre 2000, n.
388, pur mantenendo fermo l’intero quadro normativo vigente in materia, ha
integrato gli effetti della contrattazione da riallineamento sotto l’aspetto
contributivo, prevedendo uno sgravio sulla retribuzione dovuta nella misura
dell’art. 5, comma 4°, della legge 608/1996; per tal motivo, la riapertura dei
termini operata dalla norma è stata limitata alla sola possibilità di
recepimento dei contratti già stipulati e non alla stipula ex novo di nuovi
accordi provinciali di riallineamento; inoltre, in ossequio al dettato della
Commissione Europea, la legittimità dell’aiuto statale alle imprese riposa
sulla limitazione nel tempo;

così il comma 2 dell’art. 5 della legge 608/96 aveva
concesso 12 mesi di tempo per stipulare gli accordi territoriali e quelli
aziendali di recepimento da depositare presso gli Uffici Provinciali del lavoro
e presso le sedi dell’INPS;

si è, quindi, avuta l’esplicita previsione
normativa, introdotta solo con l’art. 116 della legge 23 dicembre 2000, n.388,
dello sgravio contributivo concesso ai datori di lavoro che abbiano aderito ad
un accordo di riallineamento entro un anno dalla decisione della Commissione
delle Comunità europee;

si è cosi stabilita una disciplina per favorire
l’emersione del lavoro irregolare rivolta ai datori di lavoro che abbiano
aderito ad un accordo già stipulati, limitatamente ai tempi ed alle percentuali
fissati dagli accordi provinciali, purché tale modifica sia oggettivamente
giustificata da intervenuti rilevanti eventi non prevedibili e che incidano
sostanzialmente sulle valutazioni effettuate al momento della stipulazione
dell’accordo territoriale, ed a condizione che l’intesa di aggiustamento sia
sottoscritta dalle medesime parti che hanno stipulato il primitivo
accordo”;

l’art.116, c. 1-7, della legge 23 dicembre 2000, n.
388, pur mantenendo fermo l’intero quadro normativo vigente in materia, ha
integrato gli effetti della contrattazione da riallineamento sotto l’aspetto
contributivo, prevedendo uno sgravio sulla retribuzione dovuta nella misura
dell’art. 5, comma 4°, della legge 608/1996; per tal motivo, la riapertura dei
termini operata dalla norma è stata limitata alla sola possibilità di
recepimento dei contratti già stipulati e non alla stipula ex novo di nuovi
accordi provinciali di riallineamento; inoltre, in ossequio al dettato della
Commissione Europea, la legittimità dell’aiuto statale alle imprese riposa
sulla limitazione nel tempo;

così il comma 2 dell’art. 5 della legge 608/96 aveva
concesso 12 mesi di tempo per stipulare gli accordi territoriali e quelli
aziendali di recepimento da depositare presso gli Uffici Provinciali del lavoro
e presso le sedi dell’INPS;

si è, quindi, avuta l’esplicita previsione
normativa, introdotta solo con l’art.116 della legge 23 dicembre 2000, n.388,
dello sgravio contributivo concesso ai datori di lavoro che abbiano aderito ad
un accordo di riallineamento entro un anno dalla decisione della Commissione
delle Comunità europee;

si è così stabilita una disciplina per favorire
l’emersione del lavoro irregolare rivolta ai datori di lavoro che abbiano
aderito ad un accordo di riallineamento nel termine annuale dalla decisione
della Commissione delle Comunità europee, per la durata del programma di
riallineamento, e comunque per non più di cinque anni, con condizioni, anche
temporali, e requisiti per fruire dello sgravio contributivo;

la citata Decisione della Commissione Europea in
materia di aiuto di Stato n. 236/A/2000, contenente misure a favore della regolarizzazione
dell’economia sommersa, è del 17.10.2000, per cui il termine ultimo di un anno
di cui all’art. 116, comma 1, della legge n. 388/2000 per il recepimento, da
parte delle imprese, dei contratti di riallineamento, regolati ai sensi e alle
condizioni dell’art. 5 del decreto- legge 10 ottobre 1996, n. 510, scadeva il
17.10.2001; nel caso di specie, la società ricorrente si duole che la Corte di
merito abbia ritenuto che l’accordo di riallineamento, di cui all’art. 19 del
contratto provinciale di lavoro 20 settembre 2004, integrasse una seconda
modifica dell’originario accordo, non consentita ai sensi dell’art. 5 d.l.
n.510 del 1996, e assume che l’art. 5 della legge n.608 del 1996 non prevedeva,
invece, alcuna limitazione all’arco temporale entro il quale dovesse
concludersi il programma di riallineamento, né alcuna indicazione temporale per
la stipula di un accordo di rimodulazione, rimesso alla disponibilità e
discrezionalità delle contrapposte parti contrattuali con la conseguenza, per
l’ente previdenziale, di dover prendere semplicemente atto della volontà delle
parti contrattuali, di prolungare o reiterare, anche dopo il 2003, l’esperienza
della gradualità retributiva, in ossequio alle previsioni del contratto
collettivo nazionale all’epoca vigente, e di considerare tale retribuzione come
base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, purché
rispettosa dei minimali contributivi, come stabilito dall’art. 23 I.n.196 del
1997;

la parte ricorrente, nell’illustrare il motivo, non
nega che il dettato normativo ammetta una sola variazione ai tempi e alle
percentuali fissate dagli accordi provinciali (art.5, co.5, d.l. n.510 del
1996) ma argomenta nel senso che quel dettato non impedisca sospensioni e
successive riattivazioni purché giustificate e provenienti dalle stesse parti
contrattuali, come nella specie la clausola di cui all’art. 19 contratto
provinciale di lavoro del 2004 costituente, per esplicita volontà delle parti
contrattuali, non un nuovo accordo sebbene un’estensione dell’accordo di
gradualità salariale già previsto dal contratto provinciale di lavoro scaduto
il 31 dicembre 2003 e oggetto di sospensione applicativa in data 12 marzo 2002.
Assume, per finire, che gli incrementi salariali previsti dal predetto accordo
erano stati sospesi con successivi verbali, ed accordi, delle medesime
organizzazioni sindacali firmatarie del contratto provinciale; il motivo, in
definitiva, non intacca la corretta ricostruzione posta in essere dalla Corte
territoriale che ha ben chiarito, in conformità con la giurisprudenza di questa
Corte sopra richiamata, che la variazione, pur di qualunque forgia e contenuto,
poteva intervenire non più di una volta; il che rende il mezzo d’impugnazione
anche carente quanto a specificità in quanto non tiene conto della ratio
sottesa alla sentenza impugnata, sostanzialmente incentrata sulla
indisponibilità del minimale contributivo previsto dalla speciale disciplina
del riallineamento;

il terzo motivo, con il quale si intende incrinare
la sentenza impugnata sotto l’ulteriore profilo della incidenza sul detto
minimale dell’orario di lavoro previsto dal contratto collettivo di lavoro, è
inammissibile in quanto non si confronta con la sentenza impugnata che ha
correttamente affermato il principio secondo il quale il richiamo all’orario
ordinario di lavoro indicato dal contratto collettivo ai fini del calcolo del
minimale contributivo costituisce un parametro legale indisponibile; la
sentenza ha, quindi, ritenuto che l’orario di lavoro su cui si parametra il
minimale contributivo per quanto sopra detto è di 39 ore mensili e la
disciplina dei <<minimi salariali di area>> non tollera decrementi
retributivi neanche derivanti da riduzioni di orario di lavoro pattuiti tra le
parti del rapporto di lavoro, mentre, nel caso di specie, si pretende,
attraverso la riduzione in termini d’orario, di incidere sul calcolo della
contribuzione senza neanche allegare la concreta sussistenza di contratti part
time e basando l’assunto su di una interpretazione delle previsioni del
c.c.n.l. del 6.7.2006 ( riportati ed allegati solo per stralci) che implica
l’applicazione di disposizioni transitorie applicabili a concrete e
storicamente realizzate situazioni cui non vi è traccia nella sentenza
impugnata;

anche il quarto motivo, con il quale ci si duole del
mancato riconoscimento del diritto agli sgravi è da rigettare; da quanto sin
qui esposto, risulta evidente che la ricorrente non ha dimostrato di aver
maturato il diritto a fruire delle agevolazioni fondate sul rispetto del piano
di riallineamento, dunque, non può riconoscersi il relative diritto, in
applicazione del principio secondo il quale, in ogni caso, il diritto agli
sgravi o alle agevolazioni è soggetto all’onere probatorio a carico di chi
intende beneficiarne (sulla regola generale in ordine all’onere probatorio
delle circostanze eccettuative dell’onere contributivo ordinariamente previsto,
v., fra le tante, Cass. 3 maggio 2018, n.10519);

al rigetto del ricorso segue la condanna al
pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo in favore solo dell’INPS,
non avendo l’Agenzia delle Entrate Riscossione svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, nei confronti
solo dell’INPS, in Euro 3000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi,
spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 agosto 2021, n. 23613
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