Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2021, n. 23729

Lavoro, Attività di promotore finanziario, Erogazione di un
contributo mensile ad integrazione delle provvigioni maturate nel mese di
competenza, Acconto, Carattere provvisiorio

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 8 giugno 2016, la Corte
d’Appello di Napoli, confermando la decisione di primo grado, ha respinto
l’impugnazione proposta da F.D. nei confronti della Banca F. S.p.A., avverso la
sentenza che aveva respinto l’opposizione da lui avanzata all’ingiunzione di
pagamento per la somma di euro 192,806,46 oltre accessori ed ha, altresì,
disatteso la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, condannandolo
alla rifusione delle spese di lite;

– in particolare, la Corte, seguendo il medesimo
iter motivazionale di primo grado, ha valorizzato il contenuto del negozio
intercorso fra le parti – circa l’attività di promotore finanziario del D. – e,
segnatamente, la clausola che prevedeva l’erogazione, in favore dell’opponente,
di un contributo mensile ad integrazione delle provvigioni maturate nel mese di
competenza, per un periodo di sessanta mesi;

– con riguardo a tale specifica pattuizione, il
giudice d’appello, condividendo l’assunto di primo grado, ha escluso la
configurabilita della somma considerata in termini di minimo garantito,
deducendo dalla definizione di “mero anticipo”, la chiara volontà
delle parti di considerare la relativa erogazione di carattere provvisorio e,
pertanto, come semplice acconto, suscettibile, a determinate condizioni, di
ripetizione;

– la Corte ha, poi, escluso il carattere vessatorio
della clausola e reputato corretta la valutazione del primo giudice circa
l’irrilevanza della prova addotta da parte opponente in ordine al difetto del
presupposto del mancato raggiungimento degli obiettivi – quale requisito per la
restituzione degli anticipi

– attesa la genericità della stessa;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso
F.D., affidandolo a sette motivi;

– resiste, con controricorso, la F. – I.S.P.P.B.
S.p.A.

 

Considerato che

 

– con il primo motivo di ricorso, si censura la
decisione impugnata ai sensi degli artt. 3, 24 e 111 comma 2 Cost.
per violazione del contraddittorio;

– con il secondo motivo si allega la violazione
dell’art. 1341 commi 1 e 2 cod. civ., e 1469 cod. civ.;

– con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 111 comma 1 Cost. e 426 cod. proc. civ. con riguardo alla ritenuta
tardività delle eccezioni concernenti la vessatorietà delle clausole;

– con il quarto motivo si allega la violazione degli
artt. 24 e 111
Cost., 2697 cod. civ., e 421 cod. proc. civ. in ordine alla mancata
acquisizione della prova richiesta;

– con il quinto motivo si denunzia la violazione
degli artt. 1218, 1456,
2697 cod. civ. e 412
cod. proc. civ.;

– con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5, cod. proc. civ., la
violazione dell’art. 429 cod. proc. civ. sempre
in relazione alla mancata ammissione della prova richiesta;

– con il settimo motivo si allega la violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., e dell’art. 416 comma 2 cod. proc. civ.;

– i primi tre motivi, da esaminarsi congiuntamente
per l’intima connessione, non possono trovare accoglimento;

– va preliminarmente rilevato che, come
definitivamente chiarito di recente dal Supremo Collegio (cfr., sul punto, S.U.
n. 25573 del 12/11/2020) la violazione delle norme costituzionali non può
essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il
contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali,
realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge,
deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità
costituzionale della norma applicata;

– quanto, poi, alla lamentata violazione dell’art. 1341 cod. civ., giova evidenziare che
consolidata è la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. n.
20461 del 28/09/2020) nell’affermare che, in tema di condizioni generali di
contratto, perché sussista l’obbligo della specifica approvazione per iscritto
di cui all’art. 1341, comma 2, c.c., non basta
che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contenuto del contratto in
modo che l’altra parte non possa che accettarlo o rifiutarlo nella sua
interezza, ma è altresì necessario che lo schema sia stato predisposto e le
condizioni generali siano state fissate, per servire ad una serie indefinita di
rapporti, sia dal punto di vista sostanziale, perché confezionate da un
contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità
indifferenziata di soggetti, sia dal punto di vista formale, in quanto
predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in
serie;

– il difetto, in fatto, di tale presupposto, come
accertato dal giudice di merito, con valutazione sottratta al sindacato di
legittimità, induce ad escludere, con tranquillante certezza, la
configurabilità della lesione lamentata;

– il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo
motivo, che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, non possono
essere accolti;

– giova preliminarmente rilevare, al riguardo, che
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma
1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’art. 54 co 1, lett. b), del DL 22
giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la
conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di
legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito
motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato
“in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi
in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdiziale;
motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione
perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità ( fra tante, Cass. n. 23940 del 2017);

– quanto alla lamentata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., va rilevato che, nel
giudizio di legittimità deve essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti
l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che
ne abbia data il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema
di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un
problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di
Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde
acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta;
nel secondo, invece, poiché l’interpretazione della domanda e la individuazione
del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come
tale, al giudice di merito e, in sede di legittimità va solo effettuato il
controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la
decisione impugnata (Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass.
21.12.2017 n. 30684);

– nel caso di specie, l’interpretazione della
originaria domanda sul punto è stata adeguatamente argomentata dalla Corte
territoriale che, conseguentemente, sempre con idonea motivazione, ha ritenuto
difettosa di prova l’argomentazione avanzata;

– occorre, anzi, sottolineare come tutte le censure
considerate, in realtà, nella sostanza, si traducano in doglianze concernenti
la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta, mirando ad ottenere
da questa Corte una rivisitazione del merito, inammissibile in sede di
legittimità;

– in particolare, le censure di parte ricorrente si
appuntano sul ragionamento probatorio, ampiamente argomentato dalla Corte la
quale ha escluso di poter giungere a valutazione diversa da quella del primo
giudice circa le richieste istruttorie atteso, ancor prima della genericità
delle prove articolate, lo stesso difetto di allegazione circa argomenti a
sostegno dell’addotto raggiungimento degli obiettivi che avrebbe inibito il
recupero delle somme corrisposte a titolo di anticipo;

– va premesso che, come hanno precisato le Sezioni
Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo sono
inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma
1, n. 6, c. p. c., le censure afferenti a domande di cui non vi sia
compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti
del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e
documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza
fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con
riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla
documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di
renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel
fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione
in sede di giudizio di legittimità;

– d’altra parte, è consolidato il principio secondo
cui i requisiti di contenuto- forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c. p. c., nn. 3, 4 e 6, devono
essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da
altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, impugnata indicando
precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in
giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o
indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale
fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il
contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018);

– nel caso di specie, parte ricorrente non indica in
alcun modo come fosse stata formulata l’originaria domanda né cerca di supplire
a tale omissione allegandone stralci, onde appare impossibile a questa Corte
stabilirne il tenore, allo scopo di poter valutare, senza incorrere in una
rivisitazione del merito, inammissibile in sede di legittimità, il contenuto
della stessa e la dedotta violazione interpretativa da parte della Corte
d’appello, con le conseguenze in termini di inammissibilità dell’impugnativa ad
essa riconnesse;

– va poi rilevato che, secondo quanto statuito
recentissimamente dalle Sezioni Unite, per la violazione delle disposizioni che
presiedono all’ammissione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in
contraddizione espressa o implicita con la prescrizione delle relative norme,
abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte
di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere
di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al
notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le
prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad
alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), ed inoltre
anche una violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.,
non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta
dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto
a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di
ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo
il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato
come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di
prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);

– nel caso di specie, del tutto generica appare la
stessa censura del percorso motivazionale di secondo grado anche in sede di
legittimità, talché la stessa non può che essere disattesa;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo,

– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis
dell’articolo 13 comma 1 quater del
d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi euro 6000,00 per compensi e 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2021, n. 23729
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