Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 settembre 2021, n. 23788

Pagamento della contribuzione non versata dalla appaltatrice,
Opposizione a decreto ingiuntivo, Insussistenza della pretesa azionata in via
monitoria dall’INPS

 

Rilevato che

 

La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza n.
432/2019, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di K.
s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto, per intervenuta
decadenza ex art. 29 secondo comma, d.lvo. 276/2003 in cui sarebbe incorsa
l’Istituto, l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla società in
ragione della insussistenza della pretesa azionata in via monitoria dall’INPS
al fine di ottenere dalla K. s.p.a., quale obbligata ex art. 29 d.lgv. n. 276/2003, il
pagamento della contribuzione non versata dalla appaltatrice I. s.r.l.;
l’opponente aveva invocato sia il beneficio della preventiva escussione della
detta appaltatrice, che, a sua volta, aveva subappaltato i lavori alla Società
Cooperativa AR Service, che l’intervenuta decadenza di cui all’art. 29, secondo comma, d.lgv.
276/2003, nonché l’insussistenza del debito contributivo;

ad avviso della sentenza impugnata, la sentenza di
primo grado andava confermata essendo conforme ad alcuni precedenti resi dalla
stessa Corte d’appello cui faceva rinvio;

avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INPS
sulla base di due motivi cui resiste K. s.p.a. con controricorso e successiva
memoria;

la proposta del relatore ex art. 380 bis cod.proc.civ. è stata comunicata alle
parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non
partecipata;

 

Considerato che

 

Va disattesa l’eccezione di inammisibilità del
ricorso, sollevata dalla controricorrente con la memoria ex art. 380 bis c.p.c., in quanto non è configurabile
la dedotta violazione dell’art. 348 ter c.p.c.,
commi 4 e 5 che presuppone l’ipotesi c.d. “doppia conforme”
applicabile unicamente quando la sentenza di appello che conferma la decisione
di primo grado è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di
fatto, poste a base della decisione impugnata, e non quando si denunci come
nella specie la violazione di legge;

col primo motivo del ricorso è dedotta, ai sensi
dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione
e/o falsa applicazione del D.Lgs.
n. 276 del 2003, art. 29, come modificato dal D.Lgs. n. 251 del 2004, art. 6,
commi 1 e 2; dalla L. n. 296 del
2006, art. 1, comma 911; dal D.L.
n. 5 del 2012, art. 21, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 35 del 2012 e dalla L. n. 92 del 2012, art. 4, comma
31; si sostiene che l’art. 29
cit. debba essere interpretato nel senso di limitare la decadenza dal diritto
di agire nei confronti del committente quale responsabile solidale, ai soli lavoratori;
ciò in base al tenore della norma che non contiene alcun riferimento agli enti
previdenziali; costoro quando agiscono per ottenere il versamento dei
contributi esercitano un potere da cui non possono decadere, a meno che la
funzione a cui quel potere è connesso non venga sottratta ai medesimi; si
osserva come, decorso il termine di decadenza di cui all’art. 29 cit., i lavoratori
possono ancora agire nei confronti del committente per il pagamento delle
retribuzioni ai sensi dell’art. 1676 c.c., ma
non hanno alcuna azione nei confronti del committente per il pagamento dei
contributi. Se si esclude, come preteso, l’applicabilità agli enti
previdenziali della decadenza introdotta dall’art. 29 cit., questi ultimi
possono agire per il recupero dei contributi nei confronti del committente, nel
termine di prescrizione, in tal modo realizzandosi una tutela pressoché analoga
delle retribuzioni e della contribuzione; col secondo motivo di ricorso,
formulato per l’ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo, l’INPS ha
censurato la sentenza d’appello, ai sensi dell’art.
360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29,
come modificato dal D.Lgs. n. 251
del 2004, art. 6, commi 1 e 2; dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma
911; dal D.L. n. 5 del 2012,
art. 21, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 35 del 2012 e dalla L. n. 92 del 2012, art. 4, comma
31; nonché degli artt. 2964, 2966 e 2967 c.c.;
ha sostenuto come la sentenza impugnata avesse erroneamente dichiarato la
decadenza nonostante il compimento da parte dell’Istituto di un atto impeditivo
della decadenza medesima, rappresentato dalla notifica al committente del
verbale ispettivo; ha rilevato come l’art. 29 cit. non specifichi in
alcun modo gli atti da compiere per esercitare il diritto nei confronti del
committente ed impedire il verificarsi della decadenza e che da tale silenzio
possa inferirsi l’idoneità, a fini impeditivi della decadenza, degli atti sia
giudiziali e sia stragiudiziali; nel caso di specie, il verbale ispettivo era
stato notificato al committente prima del decorso di due anni dalla conclusione
dell’appalto; il primo motivo di ricorso è fondato, alla luce dei precedenti di
questa Corte, a cui si intende dare continuità (Cass.
n. 18004 del 2019; n. 22110 del 2019; n. 26459 del 2019; n. 470 del 2021), e che hanno
affermato, in analogia all’orientamento formatosi nel vigore della L. n. 1369 del 1960, il principio secondo cui
“il termine di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29,
comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali,
soggetti alla sola prescrizione”;

nei citati precedenti si è considerato che
l’obbligazione contributiva non si confonde con l’obbligo retributivo, posto
che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha da tempo consolidato il
principio secondo il quale il rapporto di lavoro e quello previdenziale, per
quanto tra loro connessi, rimangono del tutto diversi (vd., ex multis, Cass. n. 5353 del 2004; Cass. nn. 15979, 6673 del
2003); l’obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo
all’INPS, è distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva (Cass. 8662 del
2019), essa (Cass. n. 13650 del 2019) ha
natura indisponibile e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore
spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (cd.
“minimale contributivo”);

dunque, può affermarsi che la finalità di
finanziamento della gestione assicurativa previdenziale pone una relazione
immanente e necessaria tra la “retribuzione” dovuta secondo i
parametri della legge previdenziale e la pretesa impositiva dell’ente preposto
alla realizzazione della tutela previdenziale;

proprio dalla peculiarità dell’oggetto
dell’obbligazione contributiva, che coincide con il concetto di “minimale
contributivo” strutturato dalla legge in modo imperativo, discende la
considerazione di rilevo sistematico che fa ritenere non coerente con tale assetto
l’interpretazione che comporterebbe la possibilità, addirittura prevista
implicitamente dalla legge come effetto fisiologico, che alla corresponsione di
una retribuzione – a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal
lavoratore – non possa seguire il soddisfacimento anche dall’obbligo
contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria
pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto;

si spezzerebbe, in altri termini e senza alcuna
plausibile ragione logica e giuridica apprezzabile, il nesso stretto tra
retribuzione dovuta (in ipotesi addirittura effettivamente erogata) ed
adempimento dell’obbligo contributivo, con ciò procurandosi un vulnus nella
protezione assicurativa del lavoratore che, invece, l’art. 29 cit. ha voluto
potenziare;

il secondo motivo, alla luce delle considerazioni
esposte, resta assorbito;

in definitiva, accolto il primo motivo e dichiarato
assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata, quanto al motivo
accolto, e rinviata alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione,
che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara
assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione,
anche per le spese del giudizio di legittimità.

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