Il vincolo di subordinazione di un rapporto di lavoro giornalistico si desume dalla permanente disponibilità del lavoratore a soddisfare le esigenze aziendali, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, e ad eseguire le direttive impartite dal datore di lavoro.

Nota a Cass. 14 luglio 2021, n. 20099

Sonia Gioia

In materia di lavoro giornalistico, a fini dell’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, risulta “determinante che il giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell’editore, anche nell’intervallo fra una prestazione e l’altra, per evaderne le richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive ed istruzioni e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia”.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (14 luglio 2021, n. 20099), in linea con la pronuncia di merito (App. Roma n. 5253/2016), che aveva dichiarato la natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato dalla società datrice (RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a.) con una giornalista, con qualifica di redattrice di rubriche di informazione estera, formalmente impiegata con più contratti di collaborazione libero professionale.

Al riguardo, l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto a quello autonomo è l’assoggettamento del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, la cui sussistenza deve essere accertata o esclusa mediante il ricorso agli elementi che il giudice deve concretamente individuare dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dalle modalità di svolgimento del rapporto.

In ambito giornalistico, il vincolo di subordinazione risulta attenuato per la natura prettamente intellettuale della prestazione e per il margine di autonomia che caratterizza l’attività stessa, con la conseguenza che, per l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di impiego ai sensi dell’art. 2094 c.c., assumono rilievo decisivo:

  • la stabile inserzione del lavoratore nell’impresa determinata dall’ampiezza delle prestazioni e dall’intensità della collaborazione, “intendendo per stabilità il risultato di un patto in forza del quale il datore di lavoro possa fare affidamento sulla permanenza della disponibilità senza doverla contattare volta per volta”;
  • la messa a disposizione del lavoratore delle proprie energie lavorative tra una prestazione e l’altra “in funzione di richieste variabili”, diversamente da quanto accade nel lavoro autonomo in cui è configurabile “una fornitura scaglionata nel tempo”, pur se predeterminata, di più opere e servizi in base ad un unico contratto, “con l’avvertenza che può influire nella distinzione anche il dato quantitativo relativo all’entità degli interventi del committente in corso d’opera” (v., fra le tante, Cass. n. 7044/2019; Cass. n. 22785/2013; Cass. n. 5079/2009).

La subordinazione, pertanto,  non è esclusa dalla circostanza che il giornalista goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato di lavoro o alla continua permanenza sul luogo di impiego né dal fatto che la retribuzione sia commisurata in base alle singole prestazioni, in quanto ciò che rileva è che il prestatore sia sempre disponibile a soddisfare le esigenze aziendali, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, e ad eseguire le direttive impartite dal datore di lavoro (Cass. n. 8068/2009; Cass. n. 5645/2009).

In attuazione di tali principi, la Cassazione ha ritenuto immune da errori la pronuncia di merito che aveva ritenuto provato il vincolo di subordinazione dal momento che la lavoratrice svolgeva le proprie mansioni, consistite in interviste, nella cura di rubriche e di speciali e nella raccolta di dati ed informazioni per la realizzazione di servizi, “sulla base delle indicazioni del caporedattore” e nel rispetto delle cadenze temporali connesse alla programmazione aziendale.

Lavoro giornalistico e subordinazione
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