Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 settembre 2021, n. 23896

Infortunio sul lavoro, Determinazione del danno biologico,,
Regime ex art. 13 d.lgs. n. 38 del
2000, Natura delle tabelle ivi previste, Violazione

 

Rilevato in fatto

 

che, con sentenza depositata il 12.8.2015, la Corte
d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha liquidato
in misura pari al 12% la percentuale di danno reliquato in capo a F.P.  a seguito dell’infortunio occorsogli in data
6.12.2005;

che avverso tale pronuncia F.P. ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che l’INAIL ha resistito con controricorso;

 

Considerato in diritto

 

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art.
13, d.lgs. n. 38/2000, e del d.m. 12.7.2000, recante approvazione delle
tabelle per la determinazione del danno biologico, per avere il CTU di seconde
cure determinato nell’8% il danno relativo all’anchilosi al gomito in posizione
sfavorevole, nonostante che la voce n. 231 delle tabelle cit. lo quantificasse
in misura pari al 24%;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte
territoriale adeguatamente spiegato le ragioni dell’adesione alle risultanze
della CTU disposta in seconde cure in ordine alla quantificazione del danno;

che, con riguardo al primo motivo, è consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, nel regime di
liquidazione del danno da infortunio successivo all’entrata in vigore dell’art. 13, d.lgs. n. 38/2000, il d.m. 12.7.2000, recante approvazione delle tabelle
delle menomazioni, di indennizzo del danno biologico e dei coefficienti, ha
natura di norma regolamentare con rilevanza esterna, la cui violazione è
denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360,
comma 1°, n. 3, c.p.c. (così, tra le più recenti, Cass. nn. 13574 del 2014 e 990 del 2016);

che in tale decreto la percentuale di danno
conseguente a ciascuna infermità è indicata, a seconda dei casi, con un valore
unico ovvero in un intervallo di valori o ancora con locuzioni “superiore
a” ovvero “fino a”;

che, con riguardo all’anchilosi delle articolazioni,
le tabelle cit. distinguono, per quanto qui rileva, in relazione al fatto che
si tratti di “anchilosi completa dell’articolazione scapolo-omerale con
arto in posizione favorevole” (codice 223, con danno del

25%) oppure di “anchilosi del gomito in
posizione sfavorevole” (codice 231, con danno del 24%);

che, nel caso di specie, il CTU di seconde cure, pur
riferendo che l’odierno ricorrente patisce di una «limitazione funzionale
interessante il gomito destro, ove si apprezza la riduzione di circa 1/3 di
tutti i movimenti» e pur reputando di quantificare il danno residuo «in
analogia alla voce “anchilosi del gomito in posizione sfavorevole”»,
ha ritenuto di assegnare alla limitazione funzionale non già il valore
tabellato del 24%, bensì il valore dell’8%, «tenuto conto del fatto che la voce
di riferimento prevede una completa anchilosi (ossia l’abolizione di tutti i
movimenti), mentre nel caso specifico si rileva la riduzione di circa 1/3 […]
di tutti i movimenti globali del gomito» (così la relazione di CTU, per come
riportata a pag. 3 della sentenza impugnata);

che, facendo proprie tali risultanze, i giudici di
merito hanno violato il decreto ministeriale
12.7.2000, cit., non essendo possibile, in carenza di un’espressa
indicazione tabellare (come ad es. quella della voce n. 223, cit.), attribuire
rilievo, ai fini della quantificazione del danno, alla circostanza che
l’anchilosi del gomito in posizione sfavorevole non sia “completa”,
atteso che ciò equivarrebbe a contravvenire al principio ubi lex voluit dixit,
ubi noluit tacuit, che è canone ermeneutico rilevante nell’interpretazione
della volontà di legge (così, tra le tante, Cass. nn. 1867 del 1982, 1248 del
1984, 5085 del 1991, 20898 del 2007);

che, diversamente da quanto prospettato
dall’Istituto controricorrente, deve ritenersi che l’adeguamento della stima
percentuale del danno alla realtà del caso clinico in tanto sia possibile in
quanto le tabelle espressamente lo consentano, individuando la percentuale in
relazione ad un intervallo di valori o facendo uso di locuzioni similari che
lascino all’interprete un margine di discrezionalità valutativa, non anche
quando esse la determinino in un valore unico e senza circostanziarla con
perifrasi o aggettivi (quali ad es. “fino a” o “superiore
a” o “completa”) che tale valutazione rendano possibile;

che, pertanto, assorbito il secondo motivo, la
sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di
Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di
Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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