Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 settembre 2021, n. 24025

Infortunio, Rendita per malattia professionale, Diritto,
Riconoscimento

 

Con sentenza del 9.6.15 la corte d’appello di Bari,
in riforma della sentenza del 14.2.11 del tribunale della stessa sede, ha
rigettato la domanda del sig. N. di riconoscimento del diritto a rendita per
malattia professionale (già riconosciuta invece in primo grado nella misura di
invalidità dell’11%).

In particolare, sulla base di c.t.u. in appello, la
corte territoriale ha rilevato che la soglia di indennizzabilità si era
perfezionata oltre il termine ex articolo 83 co. 8 t.u.i.l.m.p.,
con conseguente estinzione del diritto a rendita.

Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore per un
motivo, cui resiste l’Inail con controricorso.

Con unico motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione degli articoli 115 e 116
c.p.c. e 83 t.u.i.l.m.p.
nonché vizio di motivazione, per non avere il c.t.u. basato la valutazione su
dato strumentale (spirometria) che solo poteva giustificare la diversa
decorrenza e per avere applicato l’articolo 83 sebbene la
rendita non stata costituita.

Il ricorso è infondato.

A parte ogni considerazione circa la violazione da
parte del ricorrente del principio di autosufficienza (essendo riportate in
ricorso le conclusioni, ma non il giudizio del consulente: tra le tante, Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 16368 del 17/07/2014, Rv. 632050 – 01), il motivo è
infondato.

Il ctu ha concluso che il grado di inabilità
permanente ascrivibile alla tecnopatia era dell’8% fino al 2010 e dell’11% dal
gennaio 2011, oltre il termine ex 83 co. 8 t.u.i.l.m.p.

La sentenza impugnata ha avallato le dette
conclusioni.

Nel ritenere il termine in questione applicabile
alla fattispecie, la corte teritoriale si è attenuta al principio stabilito da
questa Corte (Cass. Sez. L, Sentenza n. 2457 del 05/03/1998, Rv. 513388 – 01),
secondo cui il termine di complessivi dieci anni dalla data dell’infortunio per
l’esercizio del diritto al decorso della rendita INAIL – previsto dall’art. 83, comma ottavo, d.P.R. 30
giugno 1965 n. 1124 per l’ipotesi in cui le condizioni del lavoratore
infortunato, guarito senza postumi di invalidità permanente ovvero con postumi
che non raggiungono il minimo indennizzabile, si aggravino in conseguenza
dell’infortunio in misura da raggiungere l’indennizzabilità – non preclude la
proposizione della domanda di costituzione di rendita oltre il decennio dalla
data dell’infortunio ove venga rispettato il termine triennale fissato dall’art. 112 dello stesso
d.P.R., sempreché il lamentato aggravamento si sia verificato entro il decennio
dalla data suddetta, atteso che tale termine segna l’ambito temporale della
copertura assicurativa per il principio della stabilizzazione dei postumi che,
se successivi al termine stesso, perdono, in base alla presunzione assoluta
posta dal citato ottavo comma dell’art. 83, la possibilità di
collegarsi con l’infortunio sul lavoro, per cui l’avvenuto decorso del termine
decennale impedisce, sul piano sostanziale, la stessa insorgenza del diritto
alla rendita.

Il motivo è per il resto infondato, in ragione dei
limiti del controllo in sede di legittimità, in quanto le censure proposte dal
ricorrente impingono nelle valutazioni di merito riservate al giudice di
appello.

In particolare, circa l’adesione della corte
territoriale alla consulenza in appello piuttosto che a quella di primo grado,
si è già affermato che, qualora il giudice di appello, esaminando i risultati
di due successive consulenze tecniche di ufficio, fra loro contrastanti,
aderisca al parere del secondo consulente respingendo quello del primo, la
motivazione della sentenza è sufficiente, anche se tale adesione non sia
specificamente giustificata, ove il parere cui è prestata adesione fornisca gli
elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico
seguito e, su un piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno
contrario (Cass. Sez. L, Sentenza n. 14775 del 2008; 15 maggio 2004 n. 9300,
Cass. 16 giugno 2006 n. 13940).

Infine, deve rilevarsi (con Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1652 del 03/02/2012,
Rv. 620903 – 01) che, nel giudizio in materia d’invalidità il vizio,
denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione
alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di
palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va
indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le
predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta
diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero
dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del
convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza
della richiesta prestazione. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis cod.proc.civ.).

Nella specie, il dato strumentale invocato dal
ricorrente -non essendo stato effettato il relativo esame in passato- non era
disponibile, ma ciò non esclude che la valutazione medica poteva basarsi sul
altri elementi idonei a giustificare la diversa decorrenza della patologia e
l’eventuale stato invalidante ad essa connesso.

Il ricorso deve dunque essere rigettato.

Le spese sono irripetibili ex art. 152 att. c.p.c..

Sussistono invece i requisiti processuali per il
raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Spese irripetibili.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13.

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