Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2021, n. 24487

Rapporto di lavoro, Pubblico impiego, Passaggio ad altra
amministrazione, Domanda, Superiore inquadramento, Differenze retributive,
Esclusione

 

Rilevato che

 

1. con la sentenza impugnata la Corte d’appello di
Campobasso, decidendo sull’impugnazione proposta da F.C. nei confronti
dell’INPS, confermava la decisione del Tribunale di Isernia che aveva respinto
la domanda proposta dal C., dipendente dell’ESRAM (Ente Regionale Sviluppo Agricolo
Molise) dall’1.4.1992, con immissione in ruolo dal 22.9.1999, inquadrato nella
posizione giuridica ed economica D3 del c.c.n.l. Comparto Regioni-Autonomie
Locali, trasferito a domanda ex art. 30 d.lgs. n.  65 del 2001 nei ruoli dell’INPS, intesa ad
ottenere, in quanto proveniente dal livello D3 del c.c.n.l. Comparto
Regioni-Autonomie Locali (presso l’ESRAM), in luogo dell’attribuito
inquadramento nel livello C3 del c.c.n.l. Enti pubblici non economici il
superiore inquadramento in C4 del medesimo c.c.n.I.; riteneva la Corte
territoriale che il passaggio del C. presso l’INPS non avesse comportato alcun
detrimento sotto il profilo dell’inquadramento né alcuna perdita retributiva o
qualsivoglia danno; richiamava le pronunce di questa Corte (Cass. 13 settembre
2006, n. 19564 e Cass., Sez. Un., 12 gennaio 2011, n. 503) per evidenziare che,
in caso di passaggio tra PP.AA., al dipendente competeva soltanto l’esatto
inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro (non il medesimo
o equivalente inquadramento);

rilevava che, nella specie, il raffronto tra le
mansioni proprie della categoria D (di cui all’inquadramento del C. presso
l’ESRAM) e quelle della categoria C posizione economica C3 conferite presso
l’amministrazione di destinazione consentisse di ritenere corretto
l’inquadramento praticatogli;

faceva proprie le considerazioni espresse sul punto
dal Tribunale alle pagg. 7-11 della sentenza di prime cure e rimarcava che,
sebbene il C. avesse autonomia decisionale, tuttavia le sue determinazioni
erano sottoposte al vaglio degli organi apicali dell’amministrazione di
appartenenza ed egli non aveva mai ricoperto il ruolo di responsabile
dell’ufficio, all’epoca ricoperto da altro dipendente che il C. sostituiva in
caso di sua assenza;

riteneva che vi fosse una sostanziale corrispondenza
delle mansioni di inquadramento presso l’INPS rispetto a quelle possedute
dall’appellante nell’amministrazione di provenienza;

3. avverso la sentenza F. C. ha proposto ricorso per
cassazione affidato a due motivi;

4. l’INPS ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

1. il primo motivo del ricorso denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art.
3 dell’allegato A) del c.c.n.l. Comparto Regioni-Autonomie locali Personale non
dirigente in G.U. 81 del 24.4.1999 e dell’art. 13 ed allegato A) del c.c.n.l.
Comparto Enti pubblici non economici;

sostiene il ricorrente che in caso di mobilità
volontaria ex art. 30 del d.lgs. n. 165/2001, che realizza una ipotesi di
cessione del contratto, il dipendente ha diritto al corretto inquadramento e,
per il futuro, alla disciplina giuridica ed economica dell’amministrazione
cessionaria;

assume che, nella specie, il raffronto doveva essere
eseguito tra la declaratoria del livello D3 del c.c.n.l. Comparto Regioni
Autonomie Locali – posseduto dal ricorrente prima del passaggio all’INPS – e
quelle dei livelli C3 e C4 c.c.n.l. Comparto Enti Pubblici non economici;

2. il motivo è infondato;

3. si discute, nella specie, di mobilità volontaria ex
art. 30 del d.lgs. n. 165/2001 (nel testo temporalmente applicabile);

4. valorizzando la ratio dell’istituto e le finalità
perseguite dal legislatore questa Corte ha già affermato che: «dall’intervenuto
accoglimento della domanda di passaggio ad altra amministrazione in relazione
alla qualifica esposta nella domanda stessa, con inquadramento nella qualifica
corrispondente, non discende il diritto per il dipendente ad ottenere, in
ordine al rapporto di lavoro costituito su tale base, il superiore inquadramento
neppure in ragione della qualifica superiore acquisita, nelle more del
passaggio stesso, nell’Amministrazione di provenienza, atteso che il passaggio
è chiesto ed avviene proprio in ragione di una disponibilità creatasi
nell’organico dell’Amministrazione di destinazione, nella qualifica prevista;
la domanda di passaggio non può essere scissa dalla qualifica per cui è chiesta
in ragione delle disponibilità palesate dall’Amministrazione di destinazione,
né dall’atto di quest’ultima, che dà corso al passaggio, può essere scorporato
quanto relativo al trasferimento da quanto relativo alla qualifica per cui lo
stesso è effettuato, non sussistendo un diritto del dipendente al passaggio
indipendentemente dal posto in organico per cui è stato chiesto e disposto» (v.
Cass. 5 ottobre 2016, n. 19925 e negli stessi termini Cass. 2 gennaio 2017, n.
2);

5. per le medesime ragioni evidenziate nelle
richiamate pronunce, condivise dal Collegio, si deve escludere che il
dipendente la cui domanda di mobilità sia stata accolta in relazione ad una
specifica vacanza verificatasi nell’ente di destinazione ed abbia accettato la
valutazione espressa da quest’ultimo quanto alla corrispondenza fra aree e
profili professionali di inquadramento, possa poi contestare a passaggio già avvenuto
l’inquadramento riconosciutogli e pretendere di rimanere all’interno dell’ente
di destinazione con un diverso e superiore profilo professionale, percependo le
relative differenze retributive; ove ciò fosse consentito si finirebbe per
alterare il bilanciamento di interessi che il legislatore ha inteso realizzare
attraverso il meccanismo della mobilità e verrebbero mortificate proprio quelle
esigenze di efficienza, buon andamento e contenimento della spesa complessiva
che le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche mirano ad assicurare in attuazione dei principi
costituzionali di cui all’art. 97; l’amministrazione di destinazione, infatti,
si vedrebbe imposta un rapporto di lavoro relativo ad una posizione diversa da
quella vacante, per la quale aveva ritenuto di doversi avvalere della mobilità,
e ciò si risolverebbe in una violazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001
che, come già evidenziato, in tutte le versioni succedutesi nel tempo ha sempre
individuato nella vacanza del posto in organico una condizione imprescindibile
e necessaria per l’attivazione della procedura;

6. del resto, vanno considerate le peculiarità
proprie del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni
e dell’istituto del passaggio diretto che, come si è già detto, risponde anche
ad un interesse del lavoratore il quale è messo in condizione di conoscere il
posto che andrà a ricoprire nell’ente di destinazione ed il profilo di
inquadramento che gli verrà riconosciuto ed è libero di non accettare il
passaggio;

ove manifesti il proprio assenso, evidentemente
perché ritenga prevalenti interessi personali (proprio perché tali non
tipizzabili a priori) che rendono per lui più conveniente il passaggio, non
potrà poi revocare l’assenso dato e pretendere di rimanere all’interno
dell’ente di destinazione in una posizione diversa rispetto a quella oggetto
della procedura;

7. né si può sostenere che un inquadramento non
esattamente corrispondente a quello originario sarebbe consentito solo per i
passaggi attuati dopo l’entrata in vigore dell’art.1, comma 19, del d.l.
13.8.2011 n. 138 che ha modificato l’art. 2 bis dell’art. 30 prevedendo
espressamente la possibilità del trasferimento anche nell’ipotesi in cui la
vacanza sia presente in area diversa, purché venga assicurata la necessaria
neutralità finanziaria; il legislatore, infatti, ha solo reso esplicito un
principio già desumibile, per le ragioni dette, dalla disciplina previgente ed
ha rimarcato lo stretto ed indispensabile collegamento fra cessione e vacanza
nonché fra passaggio diretto e necessaria invarianza della spesa;

8. orbene, nella specie si evince dallo stesso
ricorso che la domanda di mobilità volontaria era stata proposta dal C. per
ricoprire un posto vacante in organico presso l’INPS (e cioè un posto di
livello C3), ciò ai sensi di quanto previsto dall’art. 16, comma 1, della I. n.
246/2006 che ha modificato l’art. 30 del d.lgs. n. 165/2001 prevedendo che:
“Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante
cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa
qualifica in servizio presso altre 
amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento
è disposto previo consenso dell’amministrazione di appartenenza”;

9. già questo rende infondata la pretesa di vedersi
attribuito l’inquadramento in C4;

10. si aggiunga che il ragionamento della Corte
territoriale è comunque corretto là dove ha individuato il discrimine
qualificante tra il livello C3 ed il livello C4 del c.c.n.l. Compatto Enti
pubblici non economici normativo 1998- 2001, economico 1998-1999 nella
responsabilità in ordine alla conduzione di strutture organizzative, nella
gestione delle risorse e nell’autonomia decisionale intesa quale capacità di
assumere decisioni anche in situazioni di criticità, non riscontrabili nella
categoria D del c.c.n.l. 31/3/1999 Comparto Regioni Autonomie locali, di
originaria appartenenza del C. (contraddistinta certamente da una elevata
complessità delle questioni da affrontare e da conoscenze plurispecialistiche,
ma non anche da quella responsabilità di ufficio, diversa ed ulteriore dalla
semplice responsabilità di risultato e da quella autonomia decisionale
caratterizzanti il superiore livello rivendicato);

11. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ.,
dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.;
censura la sentenza impugnata per aver richiamato la motivazione della sentenza
in modo del tutto laconico e senza esprimere le ragioni della conferma di tale
pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti;

12. il motivo presenta profili di inammissibilità ed
è comunque infondato; non sono, infatti, trascritti la sentenza di primo grado
ed i motivi di impugnazione posti a sostegno dei rilievi;

in ogni caso il giudice d’appello, non si è limitato
a fare proprie le argomentazioni del primo giudice, ma ha espresso in modo
chiaro le ragioni della conferma della pronuncia richiamando anche
l’orientamento di questa Corte (Cass. 13 settembre 2006, n. 19564; Cass., Sez.
Un., 12 gennaio 2011, n. 503) e, sulla base di esso, ha evidenziato che:
«l’inquadramento della mobilità volontaria tra pp.aa. nell’ambito dell’istituto
della cessione del contratto determina l’abbandono della prospettiva, prima
vigente, del passaggio di carriera, di talché il fatto di svolgere mansioni
superiori con un determinato inquadramento in base all’ordinamento vigente
nell’amministrazione di provenienza non comporta per il dipendente il diritto
al conseguimento del medesimo o equivalente inquadramento nell’amministrazione
di destinazione, cui compete soltanto l’esatto inquadramento e la concreta
disciplina del rapporto»;

ha, altresì, aggiunto che dall’istruttoria espletata
in primo grado era emerso che, sebbene il C. avesse autonomia decisionale,
tuttavia le sue determinazioni erano sottoposte al vaglio degli organi apicali
dell’amministrazione di appartenenza e che il predetto, nell’ambito dell’ESRAM,
non aveva mai ricoperto il ruolo di responsabile dell’ufficio;

le suddette argomentazioni consentono di escludere
che vi sia stata una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato,
emergendo, al contrario, una effettiva valutazione, da parte del giudice di
appello, della infondatezza dei motivi del gravame, con un intellegibile
aggancio alla singola fattispecie portata alla sua cognizione (v. ex multis,
Cass. 5 agosto 2019, n. 20883; Cass. 5 novembre 2018, n. 28139; Cass. 19 luglio
2017, n. 14786);

13. da tanto consegue che il ricorso deve essere
respinto;

14. la regolamentazione delle spese nei confronti
dell’INPS segue la soccombenza;

15. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla I. n. 228/2012, deve darsi atto, ai
fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza
delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del
contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali
oltre accessori dì legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1 bis, dello stesso
articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2021, n. 24487
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