Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 settembre 2021, n. 25027

Tributi, IRPEF, Rapporto di lavoro, Dimissioni anticipate
per comportamenti umilianti e ritorsivi, Accordo transattivo, Tassabilità dei
risarcimenti

 

Rilevato che

 

1. M.C. e la società C. Holding s.p.a. convenivano
un accordo transattivo, confluito nel verbale di conciliazione, sottoscritto in
data in data 8 marzo 2007, con il quale M.C. riceveva la somma di € 500.000,00
a titolo di transazione della controversia azionata nei confronti società C.
Holding s.p.a., volta ad ottenere il pagamento delle somme dovutegli a titolo
di danno emergente e lucro cessante per la cessazione illegittima (dimissioni
anticipate per comportamenti umilianti e ritorsivi a carico del lavoratore) del
rapporto di lavoro.

In particolare, dalla narrativa della sentenza
impugnata risulta che la pretesa da cui originava l’accordo transattivo,
riguardava varie voci –  quali, euro
436.446,60 a titolo d’indennità sostitutiva di preavviso; euro 130.000, a
titolo di “quality bonus” per l’anno 2003; euro 96.719,11 a titolo di
TFR; euro 15.000 a titolo di compenso per le cariche sociali per l’anno 2003- e
che l’Ufficio, sul presupposto che le somme ricevute transazione fossero
riconducibili esclusivamente ai danni consistenti nella perdita di redditi,
emetteva avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione l’importo
erogato in sede di transazione, applicando l’imposta sostitutiva con aliquota
al 42,79%, utilizzata per la determinazione dell’imposta relativa al TFR (a
tassazione separata ex art. 17, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986), oltre
sanzioni di pari importo.

2. Il contribuente proponeva ricorso, rilevando il
difetto di motivazione dell’avviso, nonché l’illegittimità del recupero a
tassazione sia perché le somme non erano assoggettabili a tassazione separata,
in quanto costituenti solo risarcimento del “danno emergente”, sia
perché le sanzioni non erano applicabili per la sussistenza di cause di non
punibilità.

3. La Commissione tributaria provinciale adita
rigettava il ricorso.

4. La Commissione tributaria regionale, con la
sentenza in epigrafe, respingeva l’appello proposto dal contribuente ritenendo che
vi fosse una “sostanziale difformità” tra l’oggetto della transazione
e le domande proposte in giudizio e che non era possibile distinguere – anche
per carenza di prova sul punto – la somma percepita a titolo di
“risarcimento puro” da quella relativa gli emolumenti non percepiti,
sicché riteneva legittima l’imputazione operata dall’Ufficio al risarcimento
dei danni di natura economica derivanti dallo scioglimento del contratto di
lavoro (cosiddetto lucro cessante) per perdita di redditi.

5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il contribuente, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle
entrate. Il contribuente ha presentato memoria ex art. 380-bis 1 cod. proc.
civ.

 

Considerato che

 

1. La produzione documentale allegata alla memoria
di parte ricorrente (verbale di conciliazione dell’08/03/2007) è inammissibile,
in quanto, anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis- 1 cod. proc. civ. (introdotto
dall’art. IL bis del d.l. n. 168 del 2016, convertito con modificazioni dalla
I. n. 196 del 2016) è preclusa la produzione di “altri” documenti
fuori dei limiti fissati dall’art. 372 cod. proc. civ. (cfr. Cass., 18/04/2019
n. 10183).

2. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente
si duole, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
dell’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, che è
stato oggetto di discussione tra le parti e cioè che: «il sig. L. nel ricorso
introduttivo del processo del lavoro, aveva specificamente richiesto che la
società C. Holding spa fosse condannata risarcimento del danno emergente subito
(danno biologico, morale e all’immagine)». Il ricorrente rileva che tale fatto
era stato dedotto nel ricorso del giudice del lavoro, di cui localizza le difese
(pagg. 17-21 del ricorso di primo grado), quantificandosi la richiesta di
risarcimento del danno morale, biologico e all’immagine, in euro 1.320.687,72 e
che la stessa questione era stata sottoposta all’esame del giudice di secondo
grado (pagine 13 e 19 dell’atto di appello); assume, pertanto, che, se il
giudice di secondo grado avesse esaminato tale fatto, avrebbe qualificato la
somma di € 500.000,00, di cui all’accordo transattivo, come risarcimento del
“danno emergente” non tassabile.

2.1. Col secondo motivo di ricorso censura la
sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione delle norme che
disciplinano la transazione e segnatamente dell’articolo 1965 cod. civ., in
relazione all’articolo 360, prima comma, n. 3, cod. proc. civ., là dove i secondi
giudici non hanno considerato che con la transazione le parti, oltre a porre
fine ad una lite già cominciata, possono in concreto prevenire una lite futura,
avente ad oggetto l’ulteriore domanda per il risarcimento del danno biologico e
dell’immagine.

2.3. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente
deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla nullità dell’avviso
di accertamento per difetto di motivazione, in violazione dell’articolo 42 del
d.p.r. n. 600 del 73, dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, dell’art.
112 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360, primo comma, n.4, cod. pro.
civ., nonostante la relativa questione fosse stata posta sia col ricorso
introduttivo che con l’atto di appello. Esso è infondato.

2.4. Col quarto, denuncia la nullità della sentenza
per omessa pronuncia sull’illegittimità del provvedimento di irrogazione delle
sanzioni, per la sussistenza di cause di non punibilità, in relazione
all’art.6, commi 1 e 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e art. 10, I. 27 luglio
2000 n. 212, nonché dell’articolo 112, cod. proc. cui., in relazione
all’articolo 360, primo comma, n.4, cod. pro. civ..

3. Secondo l’ordine logico delle questioni, va
esaminato prioritariamente il terzo motivo di ricorso, in quanto afferente ad
un vizio di nullità dell’avviso di accertamento.

3.1. Per integrare gli estremi del vizio di omessa
pronuncia è necessario la totale pretermissione del provvedimento che si palesa
indispensabile alla soluzione del caso concreto, sicché tale vizio non ricorre
quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla
parte, ne comporti il rigetto (implicito) o la non esaminabilità pur in assenza
di una specifica argomentazione (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 29191 del
06/12/2017). In tal senso è stato chiarito, con argomenti condivisi, che la
logica della decisione giudiziaria conosce sia il rigetto implicito che la
motivazione implicita, per cui, in sostanza, una decisione c’è effettivamente
(e dunque non è omessa) quando essa sia ricavabile dall’affermazione
incompatibile, ed è, dunque, è implicita in quest’ultima (così, Cass.,
26/07/2019, n. 17066). Nel caso in esame, pur non essendovi un’esplicita
argomentazione, il rigetto dell’appello nel merito ha implicitamente comportato
il rigetto della questione di nullità dell’accertamento per carenza di
motivazione, rendendo la relativa censura infondata.

4. Il primo motivo di ricorso – con il quale il
ricorrente deduce che la CTR non avrebbe considerato il fatto, rilevante e
controverso, della richiesta del L., avanzata sin dal ricorso introduttivo al
giudice del lavoro, alla condanna della società C. Holding s.p.a. al
risarcimento del “danno emergente”, nelle diverse componenti di danno
biologico, morale e all’immagine, derivante dal trattamento denigratorio
riservato dalla C. Holding alla sua persona – è inammissibile alla stregua dei
principi di diritto affermati da questa Corte (Cass., 22/12/2016, n. 26774;
Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437; Cass.Sez.
U., 21/09/2018, n. 22430; Cass. 03/11/2020 n. 24395) secondo cui: «Nell’ipotesi
di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c.
(applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv.,
con modif., dalla I. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con
ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione
dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare
l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo
riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle
sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di
fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della
sentenza di rigetto , dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro
diverse.» (così, Cass., 22/12/2016, n. 26774, cit.).

4.1. Nel caso in esame, posto che il giudizio
d’appello è iniziato nel 2014 e che le censure di cui al primo mezzo sono
inammissibili poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto
(c.d. “doppia conforme”), si fondano sulle medesime ragioni di fatto
e che, del resto, parte ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario,
neanche con la memoria depositata ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ., se non
riportando (a pag. 10 del ricorso), in modo del tutto generico e del tutto
slegato dal necessario raffronto tra le due decisioni, un piccolo stralcio
della motivazione di prime cure, il mezzo è inammissibile.

5. Anche il secondo motivo di ricorso – le cui
censure sono state riprese ed enfatizzate nella memoria del contribuente
presentata ex art. 380 bis cod. proc. civ. – è inammissibile. Con esso il
ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 cod. civ.
– per aver i secondi giudici ritenuto la difformità tra l’oggetto della
transazione e le domande poste in giudizio nonostante la transazione possa
anche prevenire una lite futura oltre che a regolare una lite già cominciata –
senza censurare la violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale
applicate dalla CTR, ma limitandosi a rilevare che il giudice di appello
avrebbe dovuto dare all’accordo transattivo una diversa interpretazione con
riguardo alle liti future da prevenire.

5.1. Costituisce ius receptum (ex multis, tra le più
recenti, cfr. Cass., 09/02/2021, n. 3115; Cass. 11/02/2021, n. 3590; Cass.,
05/12/2017, n. 29111) che l’attività con la quale il giudice del merito
ricostruisce l’accordo negoziale, volta ad interpretare la volontà delle parti,
ossia ad individuare gli effetti da esse avuti di mira, consiste in un
accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità; viceversa,
l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità,
come vizio di legge, solo nel caso di violazione delle regole legali di
ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 cod. civ., violazione che non può
ricavarsi dal semplice rilievo – come fa il ricorrente – che il giudice di
merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici
interpretazioni del testo negoziale, ma, che invece, deve riguardare rilievi
afferenti ad una errata applicazione dei criteri ermeneutici indicati dalla
legge.

6. Il quarto motivo di ricorso – con il quale il
ricorrente deduce l’omessa la pronuncia sull’illegittimità del provvedimento di
irrogazione delle sanzioni, per la sussistenza di cause di non punibilità per
aver fatto affidamento sulle indicazioni contenute nella risoluzione n. 106/E
del 2009 (v. pag. 29 e pag. 31 del ricorso) – è infondato per carenza della
decisività della questione.

6.1. Ed invero, la parte che impugna una sentenza
con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha
l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di
inammissibilità per genericità del motivo, di specificare non solo in quale
atto difensivo o verbale di udienza l’abbia formulata, per consentire al
giudice di verificarne la ritualità e tempestività, ma anche quali ragioni
abbia specificatamente formulate a sostegno di essa. Ciò in quanto, pur configurando
la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., un error in procedendo, per il
quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”,
non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il diretto esame degli atti
processuali è sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della
decisività della questione (ex plurimis, cfr., Cass., Sez. 5, 16/04/2003 n.
6055; Sez. 3, 31/01/2006, n. 2140).

6.2. Nella specie, alcuna decisività, assume l’
“aver fatto il ricorrente affidamento sulle indicazioni contenute nella
risoluzione n. 106/E del 2009” (pag. 31 del ricorso) e ciò in quanto, il
contenuto di tale Risoluzione, esclude qualsiasi incertezza normativa
oggettiva.

6.3. Questa Corte ha ripetutamente affermato, con
argomenti condivisi, che sussiste l’incertezza normativa oggettiva, causa di
esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, ai
sensi dell’art. 10 della I. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del
1992, allorquando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su
contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria; è stato soggiunto che
tale incertezza non deve essere riferita ad un generico contribuente, né a quei
contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione
normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico
soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la
ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr., Cass., 01/02/2019, n.
3108).

6.4. Nella specie, non sussiste il contrasto
paventato tra la prassi amministrativa (Risoluzione n. 106/E) e l’orientamento
giurisprudenziale qui condiviso, considerato che anche la Risoluzione n. 106/E
del 2009, cui il contribuente assume di aver fatto affidamento incolpevole,
afferma la tassabilità dei risarcimenti tesi a riparare, con funzione
sostitutiva o integrativa, un pregiudizio collegato al reddito. A maggiore
chiarezza, si riporta un passo della motivazione della Risoluzione
amministrativa in questione, ove è chiaramente specificato che, ai sensi
dell’articolo 6, comma 2, t.u.i.r., «devono, quindi, essere ricondotte a
tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, sempreché le stesse
abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente;
sono in sostanza imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati
guadagni (lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto che le
percepisce. Diversamente, non assumono rilevanza reddituale le indennità
risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero
al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio (danno
emergente)». Vieppiù„ a conferma della soluzione indicata (imponibilità delle
somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni – lucro cessante – sia
presenti che futuri), la Risoluzione richiama la giurisprudenza di questa Corte
e specificamente la sentenza di questa Sezione n. 12789 del 03/09/2003, secondo
cui: «Non configurando l’art. 2087 cod. civ. un’ipotesi di responsabilità
oggettiva – in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla
violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o
suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento – ai fini
dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, incombe al
lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta,
un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure
di allegare la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e
l’altro, senza che occorra, in mancanza di qualsivoglia disposizione in tal
senso, anche la indicazione delle norme antinfortunistiche violate o delle
misure non adottate, mentre, quando il lavoratore abbia provato quelle
circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato
tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno».

7. In conclusione, il ricorso deve essere
interamente rigettato.

8. Le spese di giudizio seguono la soccombenza del
ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
lite in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate in complessivi euro
5.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis,
dello stesso, articolo 13, se dovuto.

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