Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 settembre 2021, n. 25591

Contratti di somministrazione a termine, Nullità,
Illegittimità, Carenza di specificità delle esigenze organizzative

 

Rilevato che

 

Con sentenza del 25.3.14, il Tribunale di Palermo
rigettava le domande avanzate da G. G. e M.L.G. nei confronti della AST
(azienda siciliana trasporti) s.p.a. dirette ad ottenere la conversione dei
contratti di somministrazione a termine stipulati tra il gennaio 2008 ed il
maggio 2012 sul presupposto della nullità del termine ivi apposto dovuta a
carenza di specificità delle sottese esigenze organizzative.

Opponeva il Tribunale l’impossibilità della chiesta
trasformazione stante l’operatività del divieto pubblicistico di assunzione
sancito dall’art. 7 L.R. Sicilia 5/12/2006 n. 21, come affermato dalla medesima
Corte in precedenti pronunce.

Per la riforma della sentenza hanno agito i due
ricorrenti, che hanno reiterato le ragioni poste a base dell’iniziale domanda.

Resisteva l’AST s.p.a. chiedendo il rigetto del
gravame. Con sentenza depositata il 2 marzo 2016, la Corte d’appello di Palermo
rigettava le domande e confermava la sentenza impugnata.

Per la cassazione di tale sentenza propongono
ricorso i lavoratori, affidato a sei motivi, cui resiste l’AST s.p.a. con
controricorso.

 

Considerato che

 

A.- I ricorrenti hanno chiesto disapplicarsi il
divieto pubblicistico di assunzione a suo tempo dettato dalla disciplina
regionale specificamente diretta a regolare la trasformazione dell’AST da
azienda pubblica a società di diritto privato (art. 33 L.R. 26.3.02 n.2).

Contestavano, in particolare, la valenza ostativa
della successiva legislazione regionale (art. 7 L.R. 5.12.2006 n. 21) a tenore
della quale “Per l’attuazione e nei limiti del piano industriale dell’ Azienda
siciliana trasporti non si applica l’articolo 33, co. 2, della L.R. 26.3.02 n.
2. “2. Nel caso di assunzione di nuovo personale, l’Azienda siciliana
trasporti procede nel rispetto del proprio piano industriale e con procedure di
evidenza pubblica svolte dalla stessa azienda. “3. Al fine di garantire il
regolare esercizio dei servizi affidati, l’AST, nell’ambito del medesimo piano
industriale, procede, in sede di prima applicazione della presente legge, alla
trasformazione dei vigenti contratti di lavoro a tempo determinato in contratti
di lavoro a tempo indeterminato, in società di diritto privato”.

Secondo i ricorrenti proprio la specifica previsione
della conversione dei contratti a temine in essere configurava, a loro dire, la
dimostrazione del venir meno dell’opposto divieto.

Ribadivano poi che ogni diversa esegesi, favorevole
al permanere della normativa di blocco, risulterebbe incoerente con
l’interpretazione logico-sistematica della disciplina in materia e con la
conseguita natura privatistica della società di trasporto, oltre che
contraddetta dalla stessa strategia difensiva dell’AST, che non aveva mai
contestato che le assunzioni in parola fossero state concluse nel rispetto
delle condizioni e dei presupposti dettati dall’art. 7 cit.

Hanno invocato, pertanto, gli effetti commutativi
derivanti dalla violazione dell’art. 27 d.lgs n.276/2003 in ragione del quale
“Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e
delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d)
ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma
dell’articolo 414 del c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha
utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle
dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della
somministrazione”.

La Corte di merito ha ritenuto invece sussistente,
anche a prescindere dalla L. 6.8.08 n.133 (di conversione del d.l. 25.6.08
n.112) e della natura di società in house della AST (citando al riguardo Cass.
n. 705919 e Cass. n.1819019), un divieto di assunzione senza concorso o
procedure di evidenza pubblica in base alla LRS n.22, legittimamente emanata
ai sensi dell’art.14, lett.P), dello Statuto Regionale sull’ordinamento degli
enti della Regione e, non per ultimo, in base all’art. 97 Cost., come più volte
sottolineato dalla C.Cost. (C.Cost. n. 292006, e già C.Cost. n. 46693).
Osservava al riguardo che tale disciplina prevale su quella di cui all’art. 27 d.lgs n. 2763. B.- Ciò
premesso si osserva che i lavoratori propongono i seguenti motivi di ricorso:

1.- Con primo motivo denunciano, ex art. 360 co.1
n.3 c.p.c., la violazione dell’art. 33 della legge regionale Sicilia 26.3.02
n.2 ed art. 7 della legge regionale Sicilia 5.12.06 n. 21.

Lamentano che la legislazione siciliana vigente al
momento della stipula dei contratti oggetto di causa (anni 2008 -2012) non
prevedeva alcun divieto di effettuare assunzioni per l’AST s.p.a.

Il motivo è evidentemente infondato stante
l’esistenza delle leggi regionali ora menzionate e correttamente interpretate
dalla Corte palermitana.

2.- Con secondo motivo i ricorrente denunciano, ex
art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione degli artt. 112, 414 e 416 c.p.c.,
oltre all’art. 2697 c.c.

Lamentano che il mancato rispetto del piano
industriale e la mancata adozione di procedure di evidenzia pubblica attengono
non ad elementi costitutivi della domanda di conversione del contratto nullo
relativamente al termine in esso apposto, ma ad elementi ostativi del diritto
con conseguente onere di allegazione e di prova in capo al datore di lavoro.

Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte sub
1) e comunque infondato alla luce del chiaro disposto normativo regionale, e
dei principi più volte enunciati in materia da questa Corte (cfr., ex aliis,
Cass. n.705019, Cass. n.1819019, Cass. n. 2437519, Cass. n. 2562520).

3.- Con terzo motivo i ricorrenti denunciano, ex
art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione del d.lgs n.1651 (artt.1, 35 e 36);
nonché della LRS n. 10/2000 (artt. 1 e 23); oltre che degli artt. 1418 e 1419
c.c.

Deducono che al momento della stipula del primo
contratto l’AST aveva natura giuridica privata (società per azioni) ed in
quanto tale era sottratta alla applicazione della normativa speciale istitutiva
del divieto di conversione dei contratti a termine nulli prevista dagli artt.
1, 35 e 36 del d.lgs n. 1651 e dagli artt. 1 e 23 della LRS n. 102000.

Il motivo è infondato posto che il divieto di
assunzione (o “conversione” di contratti di lavoro a termine nulli) nei
confronti di società a totale partecipazione pubblica (in house) deriva dalle
norme costituzionali (come più volte chiarito dal Giudice delle leggi, cfr.
pronunce citate sub 4) e dalle stesse LRS precedenti le assunzioni de quibus.

4.- Con quarto motivo i ricorrenti denunciano la
violazione dell’art. 33 della LRS n.22; dell’art.7 LRS n.216; del d.lgs n.
1651, artt.1,35 e 36; della LRS n. 10/2000 artt. 1 e 23 (che estesero alla
Regione Sicilia H il d.lgs n.2993 e s.m.); degli artt. 1418 e 1419 e 2325
c.c.; art. 27 d.lgs n. 2763, sotto diverso aspetto (in relazione all’art. 360
punto 3 c.p.c.). L’AST s.p.a. nel periodo successivo al gennaio 2006 era una
società di capitali, forma societaria ad oggi esistente, e come tale era
soggetta quanto ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti alle norme generali
di diritto privato operanti in Italia; inoltre dalla detenzione del capitale
sociale da parte della Regione Siciliana, non poteva desumersi la
disapplicazione dell’art. 27 del d.lgs n.2763 in materia di conversione dei
contratti di somministrazione irregolari come illegittimamente operato dalla
Corte di merito. Il motivo è infondato: il divieto si applica in base ai
principi costituzionali, in primis l’art. 97 Cost. (cfr. C. Cost. sentenze n. 189
del 2007, n. 267 del 2010, n. 299 del 2011, n. 62 del 2012; n. 227 del 2013, n.
310 n. 211 e n. 134 del 2014, tra le altre) ed alle LRS n.22 e n.216 sopra
esaminate.

5.- Col quinto motivo i ricorrenti denunciano la
violazione della Carta Costituzionale: art. 117 lett. l), ed art. 41; art.14
lett. p) del Regio Decreto Legislativo n. 455/1946 (in relazione all’art.360,
co.1, n.3 c.p.c.). Sostengono che la Regione Sicilia non ha potestà legislativa
in materia di imposizione di limiti e/o blocchi nelle assunzioni da parte di
soggetti di diritto privato.

Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha
infatti ampiamente e correttamente motivato in senso contrario, basandosi
peraltro sui limiti costituzionali derivanti dall’art. 97 Cost., cui anche la
Regione Sicilia è evidentemente soggetta.

6) col sesto motivo denuncia la violazione
dell’art.36 del d.lgs 1651 così come interpretato da codesta Corte a Sezioni
Unite con la sentenza n. 507216, sul c.d. danno comunitario (per illegittime
plurime assunzioni a termine da parte della p.a.); art.112 c.p.c. (in relazione
all’art. 360 n.3 c.p.c.). Evidenzia
che la Corte d’appello di Palermo illegittimamente non decideva sulla richiesta
risarcitoria avanzata e non scrutinava i motivi di ricorso e di appello (cfr II
motivo di appello pag. 13 e 14), spiegati in merito alla nullità dei termini
apposti a tutti i contratti di somministrazione de quibus.

Si critica la statuizione con la quale giudice del
gravame ha denegato riconoscimento al risarcimento del danno comunitario
ritenendo la domanda non ritualmente proposta in primo grado; si osserva in
contrario, che la domanda risarcitoria era da reputare implicita nella istanza
di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo
indeterminato e comunque sin dal ricorso introduttivo, era stata formulata
istanza di condanna della società al risarcimento del danno pari alle
retribuzioni non percepite per i periodi non lavorati e dalla data di scadenza
dell’ultimo contratto fino alla effettiva ripresa del servizio; in ogni caso si
argomenta che l’indennità forfetizzata ed onnicomprensiva per i danni causati
da nullità del termine di cui all’art.32 c.5 I. n.183/2010 si applica d’ufficio
anche riguardo al rapporto intercorso con una pubblica amministrazione nella quantificazione
del risarcimento del danno ex art.36 c.5 d. Igs. n.165/2001.

Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento,
nei termini che seguono.

Va infatti rimarcato, in via di premessa, che,
secondo l’insegnamento di questa Corte al quale va data continuità, in tema
d’interpretazione  della domanda, il
giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa
alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate;
da ciò consegue che è necessario, a questo fine, tener conto anche delle
domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in
modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della pretesa secondo criteri
logici che permettano di rilevare l’effettiva volontà della parte in relazione
alle finalità concretamente perseguite dalla stessa (vedi Cass. n.1963011).

Nell’ottica descritta è stato congruamente affermato
che il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del
contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è
tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le
domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al
contenuto sostanziale della pretesa fatta valere (petitum sostanziale), sì come
desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte
istante; in particolare, il giudice non potendo prescindere dal considerare che
anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in
rapporto di connessione con il “petitum” e la “causa
petendi” (vedi Cass.n.301210); in tale prospettiva non può, allora,
sottacersi, che la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria non sia
conforme a diritto, non tanto per la prospettata violazione del principio di
continenza, quanto per l’omessa applicazione dei summenzionati principi in tema
di interpretazione della domanda;

i ricorrenti avevano infatti proposto domanda
risarcitoria, da parametrare all’ammontare delle retribuzioni rivendicate dalla
scadenza dell’ultimo contratto sino alla riammissione in servizio;

si tratta di domanda che non si discosta dal
paradigma di riferimento del cd. danno comunitario, come definito dalla
giurisprudenza di questa Corte secondo cui in materia di pubblico impiego
privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la
misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001,
va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato
dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché,
mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il
licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di
cui all’art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con
valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”,
determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio
sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato
rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità
forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola
l’onere probatorio del danno subito.» (Cass. S.U. 15/3/2016 n. 5072);

poiché la conversione è impedita dall’art.36 del d.lgs.
n. 165/2001, attuativo del precetto costituzionale dettato dall’art. 97 Cost.,
il danno risarcibile, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni
imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della
P.A, consiste di norma nella perdita di chances di un’occupazione alternativa
migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art.
1223 c.c.; peraltro, poiché la prova di detto danno non sempre è agevole, è
necessario fare ricorso ad un’interpretazione orientata alla compatibilità
comunitaria, che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia richiede
un’adeguata reazione dell’ordinamento volta ad assicurare effettività alla
tutela del lavoratore, sì che quest’ultimo non sia gravato da un onere probatorio
difficile da assolvere;

si tratta di principi che hanno rinvenuto ulteriore
conforto nelle più recenti decisioni della Corte di Lussemburgo che, chiamata a
pronunciare sulla conformità al diritto dell’Unione, dell’art.36 del d.lgs.
n.165/2001, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha
evidenziato che «la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel
senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona
il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore
pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il
versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la
mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la
concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima
retribuzione di  detto lavoratore,
accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento
integrale del danno» anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni
(Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C – 494/16 Santoro);

i richiamati principi trovano una applicazione
generalizzata, anche nei casi in cui la conversione non possa operare in
presenza di una norma di legge speciale che, anche a prescindere
dall’applicabilità della disciplina dettata dal d.lgs. n.165/2001, impedisca,
direttamente o indirettamente, la conversione (cfr. Cass. nn. 5229 e 6413 del
2017; Cass. n. 23945/2018; Cass. 12876/2010), in quanto il divieto
discende  sempre dalla natura
sostanzialmente pubblica del datore; le norme di diritto interno vanno dunque,
e conclusivamente, interpretate in modo da assicurare il rispetto dell’art. 97
Cost., ma  salvaguardando al contempo il
canone di effettività della tutela, come affermato dalla CGUE nell’ordinanza 12
dicembre 2013, in C-50/13 e ribadito nelle successive pronunce, senza
trascurare che il sistema di tutele così definito dalle disposizioni richiamate
risponde al principio – di recente ribadito da questa Corte – alla cui stregua
l’abusiva reiterazione, nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, di
contratti a termine con il medesimo lavoratore in quanto produttiva di una
situazione di incertezza sulla stabilità occupazionale, definito danno cd. da
precarizzazione, lede la dignità della persona, quale diritto inviolabile, di
cui è proiezione anche il diritto al lavoro in quanto tale, riconosciuto nel
diritto interno dagli artt. 2 e 4 Cost, e nel diritto eurounitario dagli artt.
1 e 15 della cd. Carta di Nizza (cfr., ex aliis, Cass. n. 381521, Cass. n.
44621, Cass. n.1099920, Cass. n.347919, Cass. n.99219).

In definitiva, alla luce delle argomentazioni sinora
esposte, detto ultimo motivo deve essere accolto, con rinvio alla Corte
designata in parte dispositiva la quale, nello scrutinare la vicenda delibata,
si atterrà ai principi innanzi enunciati, provvedendo anche al governo delle
spese inerenti al presente giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

rigetta i primi cinque motivi di ricorso ed
accoglie, nei termini di cui in motivazione, il sesto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alla
censura accolta e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte
d’appello di Palermo in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 settembre 2021, n. 25591
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