Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 settembre 2021, n. 25406

Rapporto di lavoro, Contratto a termine, Illegittimità,
Esigenze generiche e prive di specificazione

Fatti di causa

1. Con la sentenza n. 1072, pubblicata il 15 luglio
2015, la Corte d’appello di Messina, adita dal Consorzio Autostrade Siciliane,
in via principale, e da G.T., in via incidentale, ha così statuito: “…in
parziale riforma della decisione impugnata, condanna il CAS a corrispondere a
G.T. a titolo di risarcimento del danno per l’illegittimità dei contratti a
tempo determinato stipulati fino all’anno 2001, la somma di importo pari a tre
mensilità della retribuzione globale di fatto erogata alla cessazione del
contratto a termine intercorso nell’anno 2001, oltre interessi come per legge;
conferma nel resto l’impugnata sentenza e rigetta l’appello
incidentale…”.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che il termine
apposto ai contratti stipulati nella vigenza della I. n. 230 del 1962 era
illegittimo perché le “temporanee esigenze” non erano riconducibili a
nessuna delle ipotesi di cui all’art. 1 lettere da a) ad e) di tale legge e
che, di contro, i contratti a termine stipulati in epoca successiva all’entrata
in vigore del d.lgs. n. 368 del 2001, erano legittimi perché la specificazione
delle esigenze poste a fondamento della apposizione del termine di durata era
costituita dall’intesa, intervenuta con le OO.SS. aziendali, che aveva recepito
l’Accordo Nazionale del 20 luglio 2002, il quale aveva previsto la formazione
di una graduatoria unica per il reclutamento del personale dalla quale
attingere i lavoratori da assumere a termine con la qualifica di ATE (Agente
Tecnico Esattore) al fine di individuare annualmente una quota di personale cui
garantire un periodo annuale di lavoro a tempo indeterminato.

3. Essa, poi, ha affermato che la conversione dei
rapporti di lavoro sorti dai contratti a termini ritenuti illegittimi in
rapporti di lavoro a tempo indeterminato era impedita dal divieto imposto
dall’art. 36 c. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, disposizione conforme alla
clausola 5 dell’Accordo CES, UNICE, e CEEP, allegato alla Direttiva 1999/70/CE,
nella lettura datane dalla Corte di Giustizia, in caso di abusivo utilizzo di
una successione di contratti di lavoro a tempo determinato;

4. La Corte territoriale, richiamando i principi
affermati da questa Corte nella sentenza n. 27481 del 2014, ha ritenuto che il
risarcimento, in conformità ai canoni di adeguatezza, effettività,
proporzionalità e dissuasività, rispetto al ricorso abusivo alla stipulazione
di contratti a termine, era configurabile quale sanzione “ex lege” a
carico del datore di lavoro, e che per la sua liquidazione era utilizzabile, in
via tendenziale, il criterio indicato dall’art. 8 della legge 15 luglio 1966,
n. 604, e non il sistema indennitario omnicomprensivo previsto dalla L. n. 183
del 2010, art. 32, nè il criterio previsto dall’art. 18 dello Statuto dei
Lavoratori.

5. Sulla scorta di tale premessa e, tenuto conto
delle dimensioni e del numero dei dipendenti, del numero dei contratti ritenuti
illegittimi, dell’iter lavorativo del C. (sic) e della durata dei contratti e
del comportamento delle parti, la Corte territoriale ha liquidato il danno
nell’importo corrispondente a tre mensilità della retribuzione globale di fatto
percepita dal lavoratore all’atto della cessazione dell’ultimo dei contratti a
termine.

6. Avverso tale pronuncia G.T. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria. Il
Consorzio Autostrade Siciliane ha resistito con controricorso. Il P.M. ha
depositato memoria scritta, ai sensi dell’art. 23 c. 8 del d.l. 28 ottobre 2020
n. 137, come conv. nella I. 18 dicembre 2020 n. 176, e ha concluso per il
rigetto del primo motivo e per l’accoglimento del secondo e terzo motivo del
ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Sintesi dei motivi

7. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione
dell’art. 1 della I. n. 230 del 1962, dell’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001,
e la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. Contesta alla Corte territoriale di
non avere esaminato anche il secondo dei contratti stipulati da esso ricorrente
con il Consorzio nell’anno 2000 e di avere, invece, affermato la nullità
soltanto del primo dei contratti stipulati con il Consorzio e non anche del
secondo contratto, anch’esso stipulato nella vigenza della I. n. 230 del 1962.

8. Con il secondo motivo (erroneamente rubricato
come “III°”), la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n.
3 cod.proc.civ., la violazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, nel
testo vigente ratione temporis, nonché degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.
Assume l’erroneità dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata,
secondo cui i contratti stipulati nel periodo 1.10.2002 – 28.9.2009, erano
legittimi perché l’apposizione del termine trovava causa nella necessità di
copertura “delle esigenze di contratto a tempo determinato, al fine di
individuare annualmente una quota di personale cui garantire un periodo minimo
di lavoro a tempo determinato (verbale accordo 20.7.2002)”.

9. Al riguardo, sostiene che tale affermazione è
frutto di “refuso di altra pronuncia (“circostanza resa ancor più
evidente dal sovente richiamo in parte motiva a tale sig. C. quale
ricorrente”) e deduce che in atti non era stato prodotto nessun verbale di
accordo del 20.7.2002 e che, nell’atto di appello, il Consorzio, contumace nel
giudizio di primo grado, nulla aveva eccepito.

10. Addebita, quindi, alla Corte territoriale di
avere violato gli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. “per il mancato deposito
in atti del verbale sindacale richiamato e per la mancata formulazione di
alcuna eccezione sul punto” nonché di avere violato l’art. 1  del d.gs. n. 368 del 2001 perché la ragione
indicata nei contratti, generica e priva di specificazione, non consentiva il
controllo di veridicità e, inoltre, perché non era stata provata la ricorrenza
della esigenza che aveva giustificato l’apposizione della clausola di durata.

11. Sostiene che tutti gli undici contratti dedotti
in giudizio dovevano essere considerati illegittimi e che di tanto doveva
tenersi conto nella determinazione dei danni.

12. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., la violazione e falsa
applicazione degli artt. 115, 116, e 416 cod.proc.civ., degli artt. 2043, 2697,
2727, 2728, e 2729 cod.civ., dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art.
32 della I. n. 183 del 2010, dell’ad 1226 cod.civ., e omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

13. Precisato di non avere mai domandato la
conversione dei rapporti a termine in rapporto a tempo indeterminato, ma di
avere chiesto la liquidazione dei danni in misura equivalente a quella prevista
per i rapporti di lavoro di impiego privato, addebita alla Corte territoriale
di non avere motivato sulle ragioni del rigetto dell’appello incidentale,
vedente sul quantum della richiesta risarcitoria, e di non avere tenuto conto
della prova offerta in ordine allo stato di disoccupazione e delle persistenti
difficoltà di trovare una nuova occupazione in Sicilia. Inoltre, contesta la
congruità della misura del risarcimento del danno, richiama i principi di
effettività e di dissuasività affermati dalla Corte di Giustizia e asserisce
che il quantum del risarcimento liquidato dal giudice di primo grado (venti
mensilità dell’ultima retribuzione di fatto) è congruo.

14. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, ai
sensi dell’ad. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., la violazione e falsa
applicazione dell’art. 36 del d. Igs. n. 368 del 2001 e dell’art. 51 del d.lgs.
n. 165 del 2001 e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti. Sostiene che il “criterio tendenziale”
adottato dalla Corte d’appello (L. n. 604 del 1966, art. 8) è in contrasto con
l’ art. 51 del d.lgs n. 165 del 2001, che prevede, nella materia dell’impiego
pubblico privatizzato, l’applicazione della L. n. 300 del 1970 in ogni caso, e
sostiene che il criterio di liquidazione del danno è quello previsto dall’ art.
18 della I. n. 300 del 1970.

15. Deduce, inoltre, l’incongruità della misura del
danno liquidato dalla Corte territoriale perché quest’ultima non aveva tenuto
conto del numero dei contratti oggetto dedotti in giudizio (11), dell’arco
temporale nel quale essi erano stati stipulati (oltre 10 anni), delle
dimensioni del Consorzio e del comportamento complessivamente tenuto dalle
parti (mancato riscontro alla lettera di messa in mora, contumacia nel
Consorzio nel giudizio di primo grado, mancata produzione dei contratti).

Esame dei motivi

16. Il primo motivo è infondato.

17. Secondo l’orientamento consolidato di questa
Corte, condiviso dal Collegio, nell’ambito del processo del lavoro, il dispositivo
letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poiché
racchiude gli elementi del comando giudiziale, i quali non possono essere
mutati in sede di redazione della motivazione, e non è suscettibile di
interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicché le proposizioni
contenute in quest’ultima, contrastanti col dispositivo, devono considerarsi
come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un
pregiudizio giuridicamente apprezzabile ( Cass. 67211/2021, Cass. 10238/2019,
Cass. 23463/2015, Cass. 3024/2016, Cass. 23463/2015, Cass. 21885/2010).

18. Come già evidenziato nel p. n. 1 di questa
sentenza, la Corte territoriale nel dispositivo della sentenza ha dichiarato
l’illegittimità dei contratti a tempo determinato stipulati fino all’anno 2001.
Il ricorso alla forma plurale utilizzata quanto alla preposizione articolata,
al sostantivo ed al verbo (dei contratti…stipulati) e del tempo di
riferimento (fino all’anno 2001) non apre spazio ad alcun dubbio sul fatto che
la Corte territoriale ha dichiarato l’illegittimità di tutti (due) i contratti
stipulati fino all’anno 2001.

19. E che la Corte territoriale avesse ben chiaro
che il ricorrente nel ricorso aveva domandato la nullità dei termini apposti a
tutti (due) i contratti stipulati nel regime della I. n. 230 del 1962 emerge
anche dalle argomentazioni motivazionali spese sulla abusiva reiterazione dei
contratti a termine (sono stati richiamati la clausola 5 dell’Accordo quadro
allegato alla Direttiva 1999/70/CE e i principi affermati dalla Corte di
Giustizia, sentenza impugnata pg. 8, secondo capoverso, pg. 9, pg. 10) e dai
criteri adottati per la liquidazione del danno (nella sentenza impugnata si fa
cenno, anche “al numero dei contratti ritenuti illegittimi”, pg 11),
mentre il riferimento al “primo contratto, stipulato nel 1999…”
(pg. 7 primo rigo) è evidente frutto di mera disattenzione nella redazione
della sentenza, posto che nel secondo rigo, è utilizzata la forma verbale
“siano” (pg. 7 secondo rigo) in stretta connessione logica con
l’affermazione “non potendosi ricondurre ad alcuna di tali ipotesi le
temporanee esigenze, genericamente indicate nei contratti in questione …( pg.
6 penultimo e ultimo righi).

20. Il secondo motivo è inammissibile.

21. La censura di violazione dell’art. 1 del d.lgs.
n. 368 del 2001 non è riferibile al decisum perché la Corte territoriale non ha
affatto affermato che la disposizione contenuta nell’art. 1 del d.lgs. n. 368
del 2001 poteva essere derogata dall’Accordo Nazionale del 20 luglio 2002 ma ha
rinvenuto in questo le ragioni che avevano giustificato l’apposizione del
termine ai contratti stipulati tra il Consorzio e la ricorrente a partire
dall’anno 2002.

22. Va anche osservato che le censure, tra le quali
quelle che contestano la violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.,
risultano formulate in violazione dell’art. 366, c.1 n. 6, cod.proc.civ. Le
censure, infatti, sono fondate sul verbale di Accordo del 20 luglio 2002 e
sullo sviluppo processuale dei giudizi di merito (contumacia del Consorzio di
primo grado), senza riprodurre nel ricorso, quanto meno nelle parti salienti e
rilevanti, l’Accordo, i verbali delle udienze celebrate nel giudizio di primo
grado, gli scritti difensivi delle parti, atti di cui non viene individuata la
specifica sede di produzione processuale, impedendo, per tal via a questa
Corte, di renderne possibile l’esame ( Cass. Sez.Un. n.34469/2019).

23. Non è pertinente il richiamo operato nella
memoria difensiva depositato dalla ricorrente alla decisione di questa Corte n.
13418 del 2018, in quanto relativo a fattispecie nella quale non veniva in
discussione alcun profilo di inammissibilità delle censure, diversamente da
quanto accade nel caso in esame (cfr. p. n. 22 di questa sentenza).

24. Il terzo motivo e il quarto motivo devono essere
trattati congiuntamente in ragione della stretta connessione delle censure
formulate.

25. Il terzo motivo è infondato perché la Corte
territoriale ha spiegato le ragioni del rigetto dell’appello incidentale
formulato dalla odierna ricorrente, correlato alla misura del risarcimento del
danno, ha liquidato il danno in via presuntiva perché ha ritenuto non
necessaria la allegazione e la prova del suo verificarsi (statuizione non
oggetto di ricorso incidentale da parte del Consorzio), ed ha tenuto conto
proprio dei criteri di cui la ricorrente lamenta la mancata applicazione, tra i
quali quello del numero dei contratti di cui era stata dichiarata la
illegittimità (stipulati prima dell’anno 2002).

26. Il quarto motivo è fondato.

27. Questa Corte ha affermato, a partire dalla
sentenza delle Sezioni Unite n. 5072 del 2016, che nel regime del lavoro
pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro
a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione, il dipendente che
abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego ha diritto,
fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo
determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art.
36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con
esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4
novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità
onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15
luglio 1966, n. 604, art. 8.

28. Nella richiamata sentenza è stato precisato, con
riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, che
nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze
di una pubblica amministrazione, il pregiudizio economico oggetto di
risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto,
esclusa per legge in modo legittimo sia secondo i parametri costituzionali che
secondo quelli comunitari.

29. E’ stato, inoltre, osservato che l’efficacia
dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella
direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che
consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine
di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno.

30. Rilevato che il pregiudizio è normalmente
correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le
Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una
disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento
predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere
della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni
ulteriori” (cfr.(cui hanno dato seguito, fra le tante, Cass. 4.3.2020 n.
6097, Cass. 23.6.2020 n. 12363, Cass. 8927 e 8885 del 2017 Cass. nn. 16095 e
23691 del 2016 ).

31. La Corte di giustizia, pronunziandosi sulla
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal
Tribunale di Trapani, con la ordinanza del 5 settembre 2016, partendo dai
principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, sopra richiamati, ha
osservato, sotto il profilo specifico del principio di effettività della misura
sanzionatoria, che: gli Stati membri non sono tenuti, alla luce della clausola
5 dell’accordo quadro, a prevedere la trasformazione in contratti a tempo
indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, sicchè non può
nemmeno essere loro imposto di concedere in assenza di ciò un’indennità
destinata a compensare la mancanza di una siffatta trasformazione del contratto
(sentenza Corte di Giustizia UE 7 marzo 2018 in causa C 494/2016, punto 47);
tenuto conto delle difficoltà inerenti alla dimostrazione  dell’esistenza di una perdita di opportunità,
il ricorso a presunzioni dirette a garantire ad un lavoratore che abbia
sofferto, a causa dell’uso abusivo di contratti a tempo determinato stipulati
in successione, una perdita di opportunità di lavoro, la possibilità di
cancellare le conseguenze di una siffatta violazione del diritto dell’Unione è
tale da soddisfare il principio di effettività (sentenza Corte di Giustizia UE
cit., punto 50);

32. Il giudice europeo ha, poi, confutato la tesi
secondo cui la indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32 debba essere liquidata
in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la
illegittimità del termine, in quanto la stessa non tiene conto del fatto che il
danno comunitario presunto, L. n. 183 del 2010, ex art. 32 nel settore
pubblico, non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di
lavoro, ma è quello conseguente all’abuso per l'”utilizzo di una
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, come
prevede la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE.
L’illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma
soltanto dal momento e per effetto della loro successione e pertanto il danno
presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo
fissato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 considerando nella liquidazione
dell’unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le
parti sotto il profilo della gravità della violazione (cfr. in tali termini,
Cass. 3.12.2018 n. 31175).

33. In conclusione, deve essere accolto il quarto
motivo di ricorso, devono essere rigettati il primo ed il terzo motivo di
ricorso e deve essere dichiarato inammissibile il secondo motivo.

34. La sentenza impugnata va dunque cassata in
ordine al motivo accolto e la causa rimessa, anche per la pronuncia sulle spese
del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catania, che
dovrà limitarsi a quantificare il danno conseguente all’abuso per
l'”utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato” attenendosi al seguente principio di diritto: “In
materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione
di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5,
del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di
effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12
dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il
ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi
riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della I. n.
183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile
come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo,
salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una
posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico,
atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile,
per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito”.

 

P.Q.M.

 

accoglie il quarto motivo del ricorso, rigetta il
primo ed il terzo e dichiara l’inammissibilità del secondo.

Cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo
accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Catania, anche quanto alle
spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 settembre 2021, n. 25406
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