Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 settembre 2021, n. 25730

Rapporto di lavoro, Accordo integrativo, Riconoscimento ai
dipendenti destinatari del benefit aziendale, Efficacia retroattiva

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza n.
429 del 2014, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di
C.D.S. Centro Nord s.p.a. avverso la sentenza di
primo grado che, accogliendo l’opposizione a cartella esattoriale proposta
dalla società, aveva ritenuto che l’accordo integrativo siglato in via di
prassi aziendale il 21 novembre 2007, depositato presso l’INPS il successivo 22
novembre 2007, ed avente ad oggetto il riconoscimento ai dipendenti destinatari
del benefit aziendale dell’utilizzo di un autoveicolo ad uso promiscuo di un
premio maggiorato del 50% rispetto al corrispettivo pattuito destinato a
compensare i maggiori oneri contributivi e fiscali determinati dal detto
benefit, assumesse rilievo ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.l.
n. 318 del 1996 conv. in. L. n. 402/1996, anche in
relazione a periodi contributivi precedenti alla stipula dell’accordo;

ad avviso della Corte territoriale, considerato che
il testo di legge non impediva la possibilità che l’accordo assumesse valore
retroattivo, l’accordo integrativo sopra indicato aveva natura ricognitiva e di
interpretazione autentica rispetto alla prassi operante a partire dal 2001 in
ordine alla maggiorazione ivi prevista ed al carattere onnicomprensivo della
stessa con riguardo agli istituti diretti ed indiretti della retribuzione, non
rimanendo preclusa la possibilità, non presente nel caso di specie, per l’INPS
di denunciare eventuali situazioni elusive dell’obbligo contributivo attraverso
il richiamo al contratto in frode alla legge;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione l’Inps
sulla base di un motivo;

C.D.S. Centro Nord s.p.a.
è rimasta intimata ;

 

Considerato che

 

con l’unico motivo di ricorso, l’INPS deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, d.l.
n. 386/1996 conv. in I. n. 402/1996 in ragione del
fatto che la sentenza impugnata ha ritenuto di attribuire efficacia retroattiva
all’accordo integrativo stipulato il 21 novembre 2007, facendone retroagire gli
effetti sin dal 2002 e con ciò determinando la sottrazione alla contribuzione
degli emolumenti già corrisposti che invece era soggetta alla regola del
minimale contributivo; ritiene il ricorrente che la ratio della disposizione,
che impone l’obbligo di comunicazione agli enti di previdenza, sia quella di
mettere i medesimi enti nelle condizioni di conoscere la disciplina della
retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva e di adeguare di
conseguenza le pretese contributive;

il ricorso merita accoglimento.

la causa verte sulle regole attinenti alla
determinazione della retribuzione da assumere ai fini del calcolo dei
contributi previdenziali, dettate dalla legge n. 389/89 e dalla legge 402/96;

sulla questione, come riferisce il ricorrente,
questa Corte di cassazione si è pronunciata, negandola, in relazione alla
eventuale efficacia retroattiva della disposizione di legge di cui si discute (vd. Cass.
n. n. 2387/2004; Cass. n.  11847/2018);

in tale occasione si è affermato che sulla
interpretazione dell’art. 1 della legge 389/89, le Sezioni unite di questa
Corte, con sentenza n. 11199 del 29 luglio 2002, avevano affermato che
l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi
previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che sarebbe
dovuta, ai lavoratori di un determinato settore, in applicazione dei contratti
collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base
nazionale; si tratta del c.d. “minimale contributivo” secondo il
riferimento ad essi operato, con esclusiva incidenza sul rapporto
previdenziale, dall’art. 1 del DL 9 ottobre 1989 n. 338, convertito nella legge
7 dicembre 1989 n. 389, poi autenticamente interpretata dall’art. 2
venticinquesimo comma della legge n. 549 del 1995, nel senso che in caso di
pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la
retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi è quella
stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei
datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative della
categoria” (si tratta del c.d. contratto leader);

la legge determina quindi un imponibile
“minimo” da sottoporre a contribuzione, al di sotto del quale non è
possibile scendere, ancorché la retribuzione dovuta ed erogata al lavoratore
sia inferiore, perché parte datoriale non è astretta all’applicazione della
contrattazione collettiva; è pertanto quest’ultima che funge da parametro per
la determinazione dell’obbligo contributivo minimo e per scelta legislativa
questo parametro viene ritenuto il più idoneo ad adempiere alla funzione di
tutela assicurativa, nonché a garantire l’equilibrio finanziario della
gestione. La retribuzione contributiva è stata quindi ancorata ad una nozione
di retribuzione “virtuale”, poiché la retribuzione stabilita dal
contratto collettivo non è sempre e necessariamente quella dovuta al
dipendente, quest’ultima infatti ben può essere legittimamente inferiore nel
caso appunto in cui non sia obbligatoria l’applicazione della contrattazione
collettiva di diritto comune; si è dunque posto un limite minimo
“incomprimibile” di retribuzione valevole esclusivamente ai fini
previdenziali, al di sotto del quale non si può scendere, con la precisazione
che resta ferma la piena operatività degli accordi collettivi diversi da quelli
stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale
(ad es. gli accordi aziendali), ovvero gli accordi individuali, quando
determinino una retribuzione superiore al minimale; con la successiva legge
402/96 il legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia, recando
precisazioni sulla interpretazione della contrattazione collettiva che, come si
è detto, è stata elevata dalla legge 389/89 a rango di parametro per la
determinazione della retribuzione valevole per il calcolo dei contributi;

con tale legge dei 1996, ha affermato la
giurisprudenza di questa Corte sopra citata, si è inteso evitare che si
addivenga ad una interpretazione della normativa contrattuale in contrasto con
la volontà espressa dalle parti stipulanti, ammettendo, entro certi limiti, che
(ai fini della determinazione della retribuzione contributiva) vengano
conglobati o anche esclusi, dagli istituti retributivi diretti o indiretti,
emolumenti istituiti dalla contrattazione collettiva;

si è poi specificato che questa norma opera nel
medesimo ambito già tracciato dall’art. 1 della legge 389/89, ossia sulla
definizione della retribuzione da prendere in considerazione per la
determinazione dei contributi, ma non si tratta sicuramente di una disposizione
di interpretazione autentica della norma del 1989, non essendovi alcuna traccia
in tal senso nella legge; neppure alla medesima può essere attribuita efficacia
retroattiva, nel senso che le regole ivi poste per determinare la retribuzione
valida ai fini previdenziali dovrebbero applicarsi anche ai contributi da
versare anteriormente alla sua entrata in vigore;

è vero, infatti, che il comma 2 dell’art. 3 della
legge del 1996 prevede il deposito “anche” dei contratti e accordi
stipulati alla data di entrata in vigore del DL 318/96, ma detti accordi
saranno passibili di applicazione solo in relazione ai contributi da versare
“dopo” l’entrata in vigore della legge, non potendosi determinare i
contributi sulla base di una disposizione che non era vigente al momento di
maturazione dell’obbligo;

in sostanza, dalla giurisprudenza sopra ricordata si
evince che la possibilità per l’autonomia negoziale collettiva di incidere
sulla determinazione del minimo imponibile fissato dalla legge n. 389/1989 non
può spingersi oltre il limite della proiezione sui periodi contributivi
successivi rispetto al momento in cui la stessa legge n. 402/1996 ( che tale
possibilità ha introdotto) è entrata in vigore;

ciò in quanto il principio del minimo imponibile è
espressione della natura indisponibile dell’obbligazione contributiva che, come
è noto, ha natura parafiscale di carattere pubblicistico;

pertanto, è il carattere della indisponibilità
dell’obbligazione contributiva ad impedire che all’autonomia negoziale
collettiva si possa consentire di modificare l’oggetto dell’obbligazione
contributiva fissato dall’art. 1 I. n. 389/1989 per periodi precedenti alla
sottoscrizione dei medesimi; a conferma di ciò deve, inoltre, ricordarsi che
l’efficacia della contrattazione collettiva di cui si discute è legata
all’osservanza dell’obbligo di deposito degli accordi presso l’ufficio
provinciale del lavoro e presso le sedi competenti degli enti previdenziali;

si tratta di una condizione necessaria a rendere
concreta la conoscenza dei loro contenuti proprio in quanto possano essere
effettuati dagli enti preposti i necessari controlli e gli adeguamenti delle
pretese contributive, che, come è noto, devono muoversi su un piano di massima
certezza;

lasciare che le parti del rapporto di lavoro possano
incidere con propri atti negoziali sulla certezza dei rapporti contributivi
contrasterebbe con tale  basilare
principio del sistema contributivo, per cui va escluso che gli accordi
collettivi indicati dall’art. 3, comma 2, di. n. 318/1996 conv.
in I. n. 402/1996 possano avere efficacia retroattiva, disciplinando per
periodi antecedenti alla loro sottoscrizione obbligazioni, modalità e tempi di
adempimenti in riferimento alle clausole sulla non computabilità nella base di
calcolo di istituti contrattuali e gli emolumenti erogati a vario titolo ovvero
sulla loro quantificazione comprensiva della incidenza sugli istituti diretti
ed indiretti;

il motivo di ricorso va quindi accolto e la sentenza
impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa
composizione che esaminerà la fattispecie alla luce del principio enunciato al
punto che precede e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di
Venezia in diversa composizione.

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