Secondo la Cassazione, la proponibilità di due diverse iniziative giudiziarie contro lo stesso atto datoriale di recesso è condizionata alla sussistenza di un interesse oggettivo del ricorrente al frazionamento della tutela.

Nota a Cass., ord., 16 agosto 2021, n. 22930

Gennaro Ilias Vigliotti

L’impugnazione giudiziale di un licenziamento può essere esperita dal lavoratore anche con plurime azioni individuali, tese ad ottenere tutele differenti ma fondate sui medesimi fatti costitutivi. Il ricorrente, infatti, in questi casi, pur formulando richieste tra loro diverse (ad es. indennità risarcitoria ed indennità da mancato preavviso) deduce all’interno del processo la stessa fattispecie legale, ossia il comportamento datoriale che ha condotto all’estinzione unilaterale del rapporto di lavoro.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, quando si vogliono azionare crediti differenti fondati su di un medesimo fatto costitutivo, tali domande possono essere proposte separatamente soltanto se l’attore risulti assistito da un oggettivo interesse al frazionamento (cfr. Cass. S.U. 16 febbraio 2017, n. 4091). Il creditore, in pratica, deve avere un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti diversi ma riferibili al medesimo rapporto di durata, se fondati sullo stesso fatto costitutivo. Secondo la Corte, la trattazione dinanzi a giudici diversi di una medesima vicenda “esistenziale”, sia pur connotata da aspetti in parte dissimili, sarebbe in contrasto con il principio di economia processuale, in quanto in grado di incidere negativamente sulla giustizia sostanziale della decisione, sulla durata ragionevole dei processi, nonché, infine, sulla stabilità del rapporto, anche alla luce del rischio di giudicati contrastanti.

Con riferimento al contratto di lavoro subordinato e, in particolare, all’azione di invalidazione del licenziamento, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22930 del 16 agosto 2021), ha confermato questi princìpi.

Un lavoratore dell’Agenzia delle Entrate aveva impugnato con due separati giudizi il medesimo licenziamento per raggiunti limiti di età, chiedendo, nel primo, l’indennità di mancato preavviso e, nella seconda, l’indennità da risoluzione consensuale a suo dire concordata con l’Amministrazione datrice di lavoro.

I giudici di legittimità hanno però dichiarato inammissibile la seconda domanda, affermando che la proposizione di distinte azioni di impugnazione dell’atto di risoluzione del rapporto, riguardando la medesima vicenda sostanziale, ricade nell’ambito del divieto di frazionamento delle tutele, con la conseguenza che la proposizione di azioni diverse per impugnare il medesimo recesso datoriale deve essere in punto di principio giustificata da uno specifico interesse, divenendo di applicazione generale il principio di improponibilità sancito dalle Sezioni Unite del 2017.

Nella fattispecie di causa il lavoratore, originario ricorrente, non aveva allegato alcun interesse oggettivo alla proposizione di due distinti giudizi per impugnare lo stesso atto di licenziamento, nonostante il contraddittorio svoltosi nelle fasi di merito ed in sede di legittimità sull’improponibilità della seconda domanda giudiziaria, con la conseguenza che quest’ultima doveva essere dichiarata inammissibile.

Ammissibilità di domande giudiziarie diverse sul medesimo licenziamento
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