Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 settembre 2021, n. 26501

Fallimento, Opposizione allo stato passivo, Domanda di
ammissione tardiva, Proroga del termine di 12 mesi, Particolare complessità
della procedura

 

Rilevato che

 

1. P.A.P. impugna il decreto Trib. Palermo
14/01/2020, n. 20/2020, in RG 7080/2019 reiettivo della sua opposizione avverso
il decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento I.A. Sicilia con
cui il giudice delegato aveva dichiarato l’inammissibilità ai sensi dell’art. 101 l.f. della domanda di
ammissione del suo credito, pari ad € 9.614,85 in privilegio ex art. 2751 bis n. 1 c.c., relativo all’indennità di
mancato preavviso a seguito del licenziamento intimatole dalla Curatela;

2. il tribunale ha premesso che il giudice delegato
non aveva ammesso il credito in considerazione della presentazione della
relativa domanda di ammissione oltre il termine di dodici mesi dal deposito del
stato passivo ex art. 101 l.f.,
nonostante la stessa opponente fosse a conoscenza dell’avvenuto fallimento,
avendo presentato tempestivamente ulteriori domande di ammissione al passivo in
relazione ad altri crediti; sicché, essendo decorso il termine di dodici mesi
per la presentazione di domande di insinuazione e trattandosi di un credito da
lavoro cui non è applicabile la sospensione feriale, il tribunale ha confermato
la decisione del giudice delegato in punto di inammissibilità della domanda
avente ad oggetto l’ulteriore credito, poiché depositata oltre il termine di
cui all’art. 101 l.f.;

3. specificamente, il tribunale ha condiviso
l’inammissibilità in quanto: a) non ha valutato come fondata la tesi
prospettata dal ricorrente secondo la quale, ai sensi del combinato disposto di
cui agli artt. 16, co. 1, n.
4 e 101, co. 1 l.f.,
laddove il g.d., come nel caso di specie, provveda, in considerazione della
particolare complessità della procedura, all’udienza di esame dello stato
passivo oltre il termine di 120 giorni, opera automaticamente altresì la
proroga tacita del termine per la presentazione delle domande di insinuazione
al passivo di cui all’art. 101,
co. 1 l.f.; b) sulla base di un’interpretazione letterale della citata
norma, è invece sempre necessario, ai fini della proroga del termine di
presentazione della domanda da dodici a diciotto mesi dal deposito del progetto
di stato passivo, un’espressa previsione in tal senso contenuta nella sentenza
dichiarativa del fallimento, posto che il mancato rispetto del termine di 120
giorni per la fissazione dell’udienza non comporta alcuna conseguenza
processuale né alcuna decadenza; c) la necessità di una proroga espressa non è
scalfita dalla circostanza che a favore della particolare complessità della
procedura, presupposto in presenza del quale può essere disposta la proroga a
diciotto mesi del termine, deporrebbe nel caso di specie l’autorizzazione
rilasciata dal g.d. al curatore di procedere al deposito frazionato del
progetto di stato passivo.

4. il ricorso è su due motivi; ad esso resiste con
controricorso il Fallimento I.A. Sicilia.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, il ricorrente lamenta la
violazione, ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3
c.p.c., degli artt. 16 e
101 l.f. denunciando la
mancata considerazione complessiva degli stessi alla luce della quale il
tribunale avrebbe dovuto ritenere operante, nel caso di specie, la proroga del
termine di presentazione delle domande di insinuazione da dodici a diciotto
mesi dal deposito del decreto di stato passivo e, dunque, ammettere il credito
vantato in quanto tempestivamente insinuato in data 17 ottobre 2018; una
lettura combinata dei due articoli avrebbe così legittimato un’operatività
tacita della proroga del termine di cui all’art. 101 l.f. al ricorrere del
medesimo presupposto della particolare complessità della procedura che l’art. 16 l.f. pone alla base
della facoltà del giudice delegato di tenere l’udienza di esame dello stato
passivo oltre il termine di 120 giorni ed entro quello di 180 giorni dal deposito
della sentenza; nello specifico, stante l’identità di presupposto e la
circostanza che l’art. 16 l.f.
non richiede che il tribunale nella sentenza dichiarativa di fallimento debba
prorogare espressamente il termine per la trasmissione delle domande tardive
dei crediti, la proroga del termine di cui all’art. 16 l.f. implicherebbe
automaticamente quella di cui all’art. 101 l.f.; avendo nel caso
il tribunale fissato l’udienza di esame dello stato passivo il
centoventiduesimo giorno successivo al deposito della sentenza, il termine di
cui all’art. 101 l.f.
sarebbe stato tacitamente prorogato a diciotto mesi, pur in assenza di una sua
espressa previsione nella dichiarazione di fallimento;

2. il secondo motivo ha ad oggetto la violazione
dell’art. 92 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3) c.p.c. per avere il decreto seguito
il principio della soccombenza nella liquidazione delle spese legali, non
considerando, come prescrive la norma violata, la «assoluta novità della
questione trattata», ricorrente nella causa, con conseguente compensazione
parziale o integrale delle spese di lite;

3. il ricorso è infondato; è sufficiente richiamare,
a giustificazione del non accoglimento del ricorso, l’indirizzo
giurisprudenziale sorto in seno ad una vicenda perfettamente sovrapponibile,
per il quale «in tema di ammissione allo stato passivo del fallimento, nella
fissazione dell’adunanza dei creditori oltre il termine perentorio di
centoventi giorni indicato dall’art.
16, comma 1, n. 4, l. fall. non può intendersi implicita l’estensione a
diciotto mesi del termine per le insinuazioni tardive, ai sensi dell’art. 101, comma 1, l. fall.,
evocando le due norme altrettante distinte attività e postulando la seconda di
esse la necessità di una proroga esplicita contenuta nella sentenza di
fallimento e specificamente quantificata, senza alcun automatismo correlato con
il rispetto del termine imposto dalla prima» (Cass. 16944/2021).

4. il secondo motivo di ricorso è in parte assorbito
e per un profilo inammissibile; invero, il sindacato della Corte di cassazione
in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il
principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della
parte totalmente vittoriosa; la valutazione dell’opportunità di disporre la
compensazione delle spese processuali, sia nell’ipotesi di soccombenza
reciproca che in quella di concorso degli altri motivi previsti dall’art. 92, co. 2 c.p.c., rientra, invece, nel potere
discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 26912/2020, 11329/2019, Cass.
16944/2021, Cass. 24502/2017, Cass. 824/2017);

il ricorso conclusivamente va respinto; le spese
seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; sussistono i
presupposti per disporre il cd. raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.200,
oltre a 100 euro per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese
generali nella misura del 15%; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13,
ove dovuto.

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