La norma sul personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione che prevede fra le sanzioni disciplinari la retrocessione in carriera, non ha carattere punitivo e militaresco contrario alla Costituzione, essendo la retrocessione una misura migliorativa rispetto al licenziamento.

Nota a Cass. 28 settembre 2021, n. 26267

Maria Novella Bettini

La sanzione disciplinare della retrocessione in luogo del licenziamento rappresenta una misura “in melius” nel trattamento riservato al dipendente, in quanto diretta alla conservazione del posto di lavoro.

Questo, il principio affermato dalla Corte di Cassazione (28 settembre 2021, n. 26267, conf. ad App. Brescia n. 327/2014) che ha escluso la violazione degli artt. 3, 35, 36 Cost. da parte degli artt. 37, co.1, 44, ed All. A, R.D. n. 148/1931 (Regolamento contenente disposizioni sullo stato giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), rilevando che tale “disciplina speciale non presenta caratteri di intollerabile disparità di trattamento e violazione di principi costituzionali in materia di rapporto di lavoro nei confronti degli autoferrotranvieri, ma costituisce regola rispettosa del principio di ragionevolezza in quanto “normativa speciale che consenta, quale alternativa al licenziamento per  motivi disciplinari, di destinare il dipendente a mansioni inferiori.., dovendo il licenziamento essere considerato come un‘extrema ratio“.

Più specificamente, secondo i giudici, le norme censurate consentono al dipendente di conservare il posto di lavoro nonostante la grave mancanza disciplinare. Sicché, “la collocazione della sanzione della retrocessione nella giusta dimensione di alternativa al licenziamento rende evidente come ogni effetto disagevole per il dipendente autoferrotranviere, peraltro eventualmente temporaneo e revocabile, costituisca un trattamento in melius rispetto all’alternativa della cessazione del rapporto di lavoro”.

Nella fattispecie, la Corte di appello di Brescia, in seguito alla retrocessione in carriera del dipendente aveva ritenuto non sussistente la violazione dell’art. 3 Cost. con riguardo al principio di parità di trattamento con gli altri lavoratori pubblici o privati, e non rilevante il richiamo all’art. 35 Cost., trattandosi di limitazione temporanea alla progressione in carriera, non incidente sul complessivo diritto alla formazione e crescita professionale, anche per il possibile ripristino della pregressa qualifica rivestita all’esito di positiva valutazione.

Nondimeno, la Corte di Cassazione (19 febbraio 2019) con ordinanza interlocutoria aveva dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 37, limitatamente alla “punizione” della “retrocessione”, artt. 44 e 45 (limitatamente alla retrocessione), R.D. n. 148/1931 nonché del citato All. A, in relazione agli artt. 1,2,3,4,35 e 36 Cost. ed aveva rimesso la questione al Giudice delle Leggi disponendo la sospensione del giudizio.

Con sentenza n. 188/2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato le suddette questioni di legittimità costituzionale inammissibili considerando “ragionevole una normativa speciale che consenta, quale alternativa al licenziamento disciplinare, dì destinare il dipendente a mansioni inferiori, e ciò perché, se pur si verifichi una disparità di trattamento con altre categorie di lavoratori (pubblici e privati), si tratta comunque di un trattamento in melius e non in peius”.

Sanzione disciplinare e retrocessione in carriera
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