Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2021, n. 26912

Tributi, IRPEF, Pensione privilegiata ordinaria a seguito di
infermità o lesioni per fatti di servizio, Esenzione, Esclusione, Natura
previdenziale

 

Rilevato che

 

1. Con decreto n. 126841 del 5 aprile 2004 e con
successivo decreto n. 130140 del 28 settembre 2006 il Comando Generale della
Guardia di Finanza riconobbe a M.O. la pensione privilegiata percentualistica
ex art. 67, commi 2 e 3, del t.u. n. 1092 del 1973 per infermità riconosciute
dipendenti da causa di servizio.

A seguito di rigetto della istanza volta ad ottenere
il rimborso dell’Irpef applicata sulla pensione, il contribuente propose
ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina che,
accogliendolo parzialmente, dispose il rimborso delle ritenute Irpef operate
sul trattamento pensionistico, con esclusione di quelle effettuate nel periodo
antecedente i quarantotto mesi dal 29 dicembre 2008, data di presentazione
dell’istanza di rimborso.

2. La sentenza di primo grado venne impugnata
dall’Agenzia delle entrate che, ribadendo la distinzione tra pensioni
privilegiate nascenti da preesistente rapporto di lavoro e pensioni aventi
funzioni risarcitoria, eccepì che solo in quest’ultimo caso potesse essere riconosciuto
il diritto all’esenzione dall’Irpef.

La Commissione tributaria regionale del Lazio,
accogliendo l’appello, rigettò l’istanza di rimborso.

Dopo avere evidenziato che il contribuente fondava
il suo diritto al rimborso sull’asserita natura risarcitoria, e non reddituale,
della pensione privilegiata per causa di servizio, mentre l’Ufficio sosteneva
che, nel caso di specie, si discuteva di una pensione privilegiata ordinaria su
base reddituale, che trovava causa genetica in un rapporto di lavoro dipendente,
rilevò che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 387 del 1989, nel
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del d.P.R. n.
601 del 1973, per la parte che non estendeva l’esenzione dell’imposta Irpef
alle pensioni privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai militari di leva,
aveva confermato che l’esenzione derivava dall’esistenza di un rapporto di
servizio obbligatorio che riconosceva il diritto al trattamento pensionistico
solo in riferimento alla gravità della menomazione, senza alcuna relazione con
un pregresso trattamento retributivo; la pensione privilegiata ordinaria,
ascrivibile a causa di servizio, invece, era commisurata alla base
pensionabile, costituita dall’ultimo trattamento economico e, pertanto, non
aveva natura risarcitoria, ma reddituale. Osservò, altresì, che i medesimi
concetti erano stati ribaditi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 595
del 2006 che, esaminando un caso analogo a quello in esame, aveva posto in
rilievo che le pensioni privilegiate ordinarie non erano comprese tra gli
eccezionali casi di esenzione previsti nell’art. 34 del d.P.R. n. 601 del 1973
e che nessun rilievo poteva attribuirsi all’eventuale componente risarcitoria.

3. M.O. ricorre per la cassazione della decisione
d’appello, con due motivi.

L’Agenzia delle entrate ha depositato <<atto
di costituzione>>.

4. Con istanza datata 12 maggio 2021 il ricorrente
ha chiesto la riunione del presente ricorso con quello iscritto al n. 5077/2021
R.G., proposto avverso la sentenza n. 3853/17/20 della C.T.R. del Lazio che ha
negato il rimborso dell’Irpef applicata sulla pensione privilegiata
percentualistica per le annualità dal 2011 al 2013.

In data 28 maggio 2021 il ricorrente ha depositato
sentenza della C.T.R. del Lazio n. 237/01/11 del 4 maggio 2011, passata in
giudicato, che, pronunciandosi in relazione ad altro anno d’imposta, ha accolto
il ricorso del contribuente, ritenendo la pensione non assoggettabile ad Irpef,
e, in data 23 giugno 2021, ha depositato memoria ex art. 380-b/s.l. cod. proc.
civ., con la quale invoca gli effetti espansivi del giudicato esterno derivante
dalla sentenza n. 237/2011.

 

Considerato che

 

1. Preliminarmente, va respinta l’istanza di
riunione avanzata dal ricorrente, in quanto i due ricorsi, ancorché concernenti
la medesima questione, attengono ad avvisi di accertamento relativi a diverse
annualità d’imposta.

2. Con il primo motivo – rubricato: violazione, in
relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., dell’art. 112
cod. proc. civ., violazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5,
cod. proc. civ., dell’art. 2909 cod. civ., mancata valutazione dell’eccezione
di giudicato – il ricorrente lamenta che la C.T.R., a fronte della specifica e
documentata eccezione formulata, ha omesso di pronunciarsi sulla stessa,
anziché conformarsi alla regula iuris formatasi nell’ambito del diverso
giudizio intercorso tra le stesse parti e conclusosi con la sentenza n.
237/2011, divenuta definitiva in data 17 dicembre 2011.

A tale riguardo evidenzia che l’autonomia dei
diversi periodi d’imposta non impedisce al giudizio relativo ad un periodo di
essere influenzato dal giudicato formatosi su altra controversia tra le stesse
parti per altro periodo, in presenza di identità della causa petendi e del petitum,
oltre che delle circostanze fattuali.

2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di
autosufficienza, in quanto il ricorrente afferma di avere dedotto innanzi alla
C.T.R. il giudicato, ma non assolve all’onere di attestare tale circostanza,
poiché non trascrive in ricorso stralcio dell’atto di appello al fine di
consentire a questa Corte di verificare se l’eccezione è stata effettivamente
sollevata, considerato, peraltro, che nella sentenza impugnata, sia nella parte
dedicata allo svolgimento del processo, che nella motivazione non si fa
menzione di tale eccezione.

2.2. In ogni caso, l’eccezione di giudicato,
ribadita anche con la memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ., è infondata.

2.3. Questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza
n. 13916 del 16 giugno 2006, ha affermato che «Qualora due giudizi tra le
stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi
sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così
compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni
di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la
cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta
nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di
diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità
diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo» e che
«tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in
materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in
quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa
ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori
dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare
significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione
ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a
periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non
anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad
una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche
preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere
tendenzialmente permanente».

2.4. Tale principio, riaffermato anche dalle Sezioni
Unite con la successiva sentenza n. 26482 del 17 dicembre 2007, richiede che
entrambe le cause, tra le stesse parti, abbiano dunque ad oggetto un medesimo
titolo negoziale o un medesimo rapporto giuridico e che una di esse sia stata
definita con sentenza passata in giudicato; in tal caso, l’accertamento
compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una
questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad
entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della
statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono l’esame
del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia
finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo e il petitum del primo
(Cass., sez. 3, 16/05/2006, n. 1365; Cass., sez. 3, 24/03/2006, n. 6628).

2.5. Il ricorrente invoca la estensione del
giudicato esterno formatosi nel giudizio definito con la sentenza della C.T.R.
del Lazio n. 237/01/11 (concernente l’impugnazione di cartella di pagamento
emessa ex art. 36- bis del d.P.R. n. 600 del 1973 ai fini del recupero di
maggiore Irpef sulla base dei dati esposti dal sostituto d’imposta nel Mod.
770/2007 relativo ai compensi erogati nel 2006 e nel quadro RM del Mod. Unico
2007, presentato per l’anno d’imposta 2006), fra le stesse parti, che, si è
pronunciata sul <<punto fondamentale>> della natura (reddituale o
risarcitoria) della pensione privilegiata ordinaria per causa di servizio
erogata ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quanto si
tratterebbe di questione di diritto comune anche al presente giudizio, la cui
efficacia vincolante non potrebbe essere impedita dal fatto che le pretese fiscali,
oggetto di ciascun giudizio, si riferiscano a differenti periodi di imposta,
alla stregua del principio enunciato da Cass., sez. U, n. 13916 del 16 giugno
2006.

2.6. La tesi difensiva del ricorrente non è
condivisibile, in quanto, nella specie, non può ravvisarsi alcun vincolo di
giudicato determinato dalla sentenza della C.T.R. n. 237 del 2011 in relazione
all’interpretazione giuridica della norma tributaria, ossia dell’art. 67, commi
1 e 2, del t.u. n. 1092 del 1973.

Invero, quello che viene considerato <<punto
comune alle cause>> si risolve, in sostanza, in una questione di diritto
che involge l’attività interpretativa delle norme di diritto che
nell’ordinamento processuale non può incontrare vincoli. Infatti, l’attività
interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal giudice, in quanto
consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può
mai costituire limite alla attività esegetica esercitata da altro giudice,
dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo
determinato dalla efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ.
rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello
stare decisis (cioè del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova
riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (Cass., sez. 5, 21/10/2013,
n. 23723; Cass., sez. 5, 15/07/2016, n. 14509). Ne discende che, anche in
relazione ai diversi gradi del medesimo giudizio, la interpretazione ed
individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia – salvo
che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno – non limitano il
giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma
applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in
giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo
ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (Cass., sez. 1,
29/04/1976, n. 1531; Cass., sez. L, 23/12/2003, n. 19679; Cass., sez. 3, 20/10/2010,
n. 216561).

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la
violazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.,
dell’art. 6 del t.u. n. 917 del 1986 e dell’art. 67, commi 2 e 3, del d.P.R. n.
1092 del 1973.

Sostiene che sin dal primo grado si era basato sul
principio di esclusione dalla tassazione ai fini Irpef fissato dall’art 6 del
t.u. n. 917 del 1986 e non, come argomentato dall’Agenzia delle entrate, sulle
agevolazioni del diverso art. 34 del d.P.R. n. 601 del 1973. Prendendo le mosse
dalla differenza tra il trattamento pensionistico ordinario privilegiato
<<decimistico>>, fondato sul calcolo di liquidazione della cd.
<<base pensionabile>>, ed il trattamento pensionistico
<<percentualistico>>, ex art. 67, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 1092
del 1973, collegato al cd. parametro <<stipendiale>> fruito al
momento dell’insorgenza della malattia che obbligava la P.A. a riformare dal
servizio il malcapitato, sostiene che è stato <<obbligato>> ad
interrompere il servizio, come emerge dal provvedimento emesso in data 8 luglio
2008 dalla Guardia di Finanza, con la conseguenza che il trattamento
pensionistico privilegiato non può essere considerato una pensione di
<<quiescenza>>.

3.1. La censura è infondata.

3.2. In linea generale, è opportuno richiamare la
sentenza n. 387 dell’11 luglio 1989, che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 34, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601
(Disciplina delle agevolazioni tributarie), nella parte in cui non estende
l’esenzione dall’imposta sul reddito delle persone fisiche alle pensioni
privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai militari di leva.

La Corte costituzionale ha distinto: a) la pensione
di guerra, che presuppone l’invalidità o la morte, per causa di guerra, dei
militari delle forze armate e dei cittadini estranei all’apparato della difesa,
è «commisurata solo all’entità del danno subito» e, quindi, ha carattere
squisitamente risarcitorio e non reddituale, con la conseguenza che è esclusa
dalla base dei reddito imponibile; b) la pensione privilegiata ordinaria che
«presuppone infermità o lesioni, ascrivibili a causa di servizio, sofferte da
dipendenti, civili o militari, dello Stato», ed è «commisurata alla base
pensionabile, costituita dall’ultimo trattamento economico» e, quindi, non
presenta … carattere risarcitorio, bensì reddituale», donde «la negata
irragionevolezza di un trattamento fiscale che esenta la pensione di guerra,
quale erogazione di indennità a titolo di risarcimento di danni,
dall’imposizione sul reddito delle persone fisiche, mentre ricomprende in tale
imposizione, quale reddito (differito) di lavoro dipendente, le pensioni
privilegiate ordinarie (civili e militari)»; c) la «pensione privilegiata
ordinaria tabellare erogata in caso di menomazioni riportate a causa del
servizio militare di leva», costituita – osserva la Corte delle leggi – da «un
trattamento del tutto peculiare», sia perché «si innesta su un rapporto di
servizio obbligatorio (art. 52, comma secondo, della Costituzione)», sia perché
«la sua entità non è correlata al pregresso trattamento retributivo, ma alla
gravità della menomazione della capacità di lavoro subita in occasionalità
necessaria con la prestazione del servizio di leva». Da qui la natura non
reddituale della pensione privilegiata ordinaria «militare tabellare» (prevista
dall’art. 67, ultimo comma, d.P.R. n. 1092 del 1973); «natura che la
diversifica dalle pensioni privilegiate ordinarie «comuni», le quali presentano
invece carattere reddituale (di retribuzione differita), mentre la rende
assimilabile alle pensioni di guerra in ragione della comune funzione
risarcitoria».

3.3. Con tale pronuncia è stata, dunque, limitata
l’estensione dell’esenzione soltanto alle pensioni privilegiate ordinarie
<<tabellari>> erogate in caso di menomazioni riportate a causa del
servizio militare di leva in ragione della obbligatorietà del rapporto di
servizio cui le menomazioni sono connesse e del carattere non reddituale della
erogazione, correlata non già al trattamento retributivo, ma alla gravità della
menomazione subita.

Tale natura non reddituale distingue la pensione
privilegiata ordinaria <<militare tabellare>> assimilata alle
pensioni di guerra, in ragione, appunto, della comune funzione risarcitoria,
dalla pensione privilegiata ordinaria <<comune>>, avente viceversa
mero carattere reddituale, come chiarito anche da questa Corte (Cass., sez. 5,
22/04/2016, n. 8129; Cass., sez. 6-5, 11/12/2018, n. 32038; Cass., sez. 5,
30/12/2009, n. 27938).

3.4. Le ragioni che stanno alla base dei suddetti arresti
giurisprudenziali si sostanziano, dunque, nella circostanza che, a differenza
della pensione di guerra di natura risarcitoria, le pensioni privilegiate
ordinarie a seguito di infermità o lesioni per fatti di servizio hanno natura
<<previdenziale>>, essendo dirette ad assicurare un trattamento di
quiescenza di contenuto remunerativo al termine di un rapporto d’impiego o di
servizio, e non si diversificano dall’ordinario trattamento di quiescenza se
non nel quantum in ragione della menomazione all’integrità personale derivante
dal fatto di servizio. Pertanto, non è possibile enucleare nell’unica
prestazione pensionistica una componente risarcitoria a carattere non
reddituale e, quindi, l’intera pensione, avendo la sua causa genetica nel
rapporto di dipendenza, deve essere considerata reddito di lavoro (Cass., sez.
1, 24/03/1992, n. 12092).

Di qui la negata irragionevolezza – come precisato
nella pronuncia della Consulta – di un trattamento fiscale che esenta la
pensione di guerra, quale erogazione di indennità a titolo di risarcimento di
danni, dall’imposizione sul reddito delle persone fisiche, mentre ricomprende
in tale imposizione, quale reddito (differito) di lavoro dipendente, le
pensioni privilegiate ordinarie (civili e militari).

3.5. La sentenza in questa sede impugnata, negando
il rimborso ed affermando la natura reddituale del trattamento pensionistico,
ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati e si sottrae, pertanto, ai
vizi denunciati.

4. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese del
giudizio di legittimità, in difetto di attività difensiva della Agenzia delle
entrate.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato,
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.
13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2021, n. 26912
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