Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE- Ordinanza 06 ottobre 2021, n. 27020

Lavoro, Accertamento della natura subordinata del rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa, Superamento dei limiti massimi di
durata dei rapporti a termine, Conversione a tempo indeterminato

 

Ritenuto che

 

1. la Corte d’Appello di Catanzaro, riformando
parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città, ha ritenuto che
fosse fondata la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto
di collaborazione coordinata e continuativa intercorso tra S.D.N. e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri (di seguito, PDCM), per l’attività svolta
presso il Commissario per l’emergenza ambientale della Calabria, riconoscendo
il diritto al risarcimento, in misura di 8 mensilità di retribuzione globale di
fatto per il superamento dei limiti massimi di durata dei rapporti a tempo
determinato e rigettando invece sia la domanda di conversione a tempo
indeterminato, sia quella di corresponsione delle rivendicate differenze retributive;

2. con riferimento alla questione sulla
legittimazione passiva, riconosciuta dal Tribunale solo rispetto alla PDCM e
non in capo alla Regione Calabria, la Corte di merito riteneva preliminarmente
l’inammissibilità dell’appello, per carenza di specifiche critiche in punto di
fatto e di diritto;

3. la domanda di differenze retributive veniva
invece respinta perché era ritenuta mancante la prova dell’orario svolto in
misura eccedente rispetto alle ore pattuite, oltre che per mancanza di
allegazioni sulle ferie non godute e rivendicate e sulla parimenti rivendicata
retribuzione di risultato;

4. infine la Corte territoriale rilevava l’assenza
di qualsiasi allegazione sulle somme percepite, su cui impostare il calcolo
differenziale, a tal fine non ritenendo sufficiente la mancata contestazione
dei dati desumibili dai contratti, né quanto risultante dalla relazione di
c.t.p., in quanto formulata sulla base di somme totali annuali e senza
produzione del modello Cud da cui i dati sarebbero stati estrapolati, senza
contare l’esistenza di periodi non coperti da alcun contratto e per i quali
parimenti vi era stata domanda, sicché, in tale quadro, la richiesta di c.t.u.
era ritenuta tale da assumere connotazione meramente esplorativa e dunque
inammissibile;

5. la D.N. ha proposto ricorso per cassazione con
cinque motivi, resistiti da controricorso della PDCM e della Regione Calabria;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art.
380 bis c.p.c.;

7. S.D.N. ha depositato memoria;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, la ricorrente denuncia la
violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, assumendo di non avere mai impugnato il capo di sentenza con cui
il Tribunale aveva affermato la legittimazione passiva della PDCM, mentre non
era così, perché quel capo non era stato appellato, mentre lo era stato il capo
che aveva negato la legittimazione della Regione Calabria;

2. il motivo è inammissibile in quanto esso si fonda
su un’errata interpretazione della sentenza impugnata e come tale risulta
incoerente rispetto alla reale ratio decidendi sul punto;

3. la Corte territoriale non ha infatti affermato
quanto sostiene la ricorrente, in quanto nel ritenere inammissibile l’appello
avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata affermata la
legittimazione passiva della PDCM essa non ha evidentemente deciso su una
richiesta della appellante finalizzata a contestare quanto accertato in suo
favore dal Tribunale rispetto alla predetta parte, ma piuttosto sul capo della
sentenza riguardante in generale la legittimazione passiva, rispetto al quale
le censure non potevano che riguardare la posizione della Regione Calabria,
ritenuta dal primo giudice estranea al rapporto controverso;

4. tuttavia, rispetto a tale diniego di
legittimazione passiva delle Regione Calabria non risulta, così come la Corte
d’Appello afferma essere avvenuto anche nel secondo grado di giudizio, alcun
elemento specifico e concreto di critica a dimostrazione della asseritamente
erronea conclusione raggiunta dal Tribunale prima e in seguito aggredita presso
la Corte catanzarese senza, come precisa la sentenza impugnata, «specifiche
critiche» in punto di fatto o diritto sulle argomentazione che il Tribunale ha
posto a fondamento della decisione sul punto;

5. il secondo motivo è rubricato come «difetto di
motivazione e violazione dell’art. 132 c.p.c.» e con esso si sostiene che la
domanda del ricorrente trovava fondamento nella «copiosa produzione
documentale», nonché nelle testimonianze raccolte in causa, rispetto alle quali
la valutazione la Corte aveva ritenuto più attendibile un teste rispetto ad un
altro, ma ciò erroneamente e su presupposti di fatto non veri;

6. il terzo motivo censura invece l’incongruità,
incoerenza e illogicità della motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo
e con esso si afferma che la Corte territoriale avrebbe potuto risalire alle
somme percepite attraverso i contratti di collaborazione prodotti o sulla base
della perizia di parte, che richiamava il Cud e conteneva la ricostruzione del
dovuto, anche per i periodi non coperti da contratti, senza essere stata mai
contestata dalle controparti;

7. il motivo prosegue rimarcando come non fosse
comprensibile che cause del tutto analoghe avessero avuto diverso esito presso
la medesima Corte territoriale, con appelli decisi in alcuni casi da collegi
presieduti dal medesimo Presidente della presente controversia;

8. infine la ricorrente critica la mancata
ammissione di c.t.u. ad opera della Corte territoriale, nonostante tale mezzo
potesse dissipare gli eventuali dubbi su quanto ricostruito nella perizia di
parte o comunque svolgere i calcoli del dovuto;

9. con il quarto motivo la D.N. reitera una censura
di violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. sostenendo che la sentenza impugnata
avesse mancato di spiegare in modo logico e coerente le ragioni poste a
fondamento della propria statuizione;

10. i motivi sopra riepilogati, da esaminare
congiuntamente, non possono trovare accoglimento;

11. la censura alla sentenza impugnata, rispetto
alla carenza di prova degli orari di lavoro, risulta intanto generica;

12. la ricorrente afferma infatti apoditticamente
che «dalle testimonianze è emerso chiaramente» l’orario di lavoro di 8 ore e la
durata settimanale della prestazione e ritiene incomprensibile il motivo per
cui la Corte non «abbia … considerato adeguata la prova documentale», il
tutto senza però riportare il tenore delle deposizioni raccolte e di cui la
sentenza contiene una disamina critica e senza riferire in concreto quali
specifici elementi delle produzioni documentali, pur indicate, sarebbero stati
decisivi per la richiesta ricostruzione;

13. il motivo finisce quindi per caratterizzarsi non
più come critica di legittimità ritualmente veicolata, ma come riproposizione
di una diversa lettura dell’istruttoria, il che la rende estranea ed
inammissibile in sede di legittimità (Cass., S.U., 34476/2019; Cass., S.U.,
24148/2013);

14. non è poi chiarito come fosse regolata la
prestazione nei contratti di co.co.co . e quindi se la ricostruzione della
durata oraria e settimanale fosse comunque necessaria per determinare gli
importi dovuti, il che già di per sé impedisce di ritenere decisivo tutto
quanto riguarda il perceptum, in quanto l’impossibilità di determinare il
percipiendum priverebbe il calcolo di un parametro necessario e tale
insufficienza contenutistica del ricorso per cassazione è parimenti ragione di
inammissibilità dei motivi qui in esame nel loro complesso, destinati a
risultare superflui in mancanza dei necessari dati di computo e raffronto;

15. anche la questione sulla mancata contestazione
della c.t.p. è mal costruita rispetto ai parametri propri del giudizio di
legittimità;

16. premesso che la non contestazione riguarda fatti
storici affermati da una parte e non documenti o prove (Cass. 6172/2020; Cass.
3022/2018; Cass. 6606/2016), il rilievo secondo cui la c.t.p. non sarebbe stata
contestata è puramente affermato dalla ricorrente, la quale non riporta, quanto
meno, i passaggi del ricorso di primo grado in cui si sarebbe fatto riferimento
a tale perizia ed ai suoi esiti;

17. è infatti noto ed evidente che solo la deduzione
di un fatto nel ricorso di primo grado (qui, le circostanze su cui si baserebbe
il calcolo svolto dal perito di parte) consente l’eventuale formarsi di un
fenomeno di “non contestazione”, ma le carenze espositive su questo
punto impediscono in questa sede di apprezzare la pregnanza dell’argomentazione
critica spesa;

18. neppure può dirsi che la motivazione della Corte
di merito sia mancante, risultando essa articolata sul riscontro di carenze
rispetto alla deduzione e prova del percipiendum e poi sulla deduzione e prova
del perceptum, né si evidenziano passaggi manifestamente implausibili o
contraddittori;

19. è per queste ragioni che i motivi di cui sopra
vanno quindi nel loro insieme disattesi;

20. il quinto motivo è invece fondato;

21. con esso la ricorrente censura la sentenza
impugnata per avere compensato le spese del secondo grado, nonostante con la
pronuncia di appello fosse stata accolta una domanda rigettata dal Tribunale
(quella risarcitoria), così lasciando intatta la condanna della D.N. al
pagamento delle spese di primo grado in favore della PDCM e finendo pertanto
per porre a carico della parte comunque vincitrice una quota delle spese di
giudizio, in violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.;

22. in effetti quanto così affermato è vero, perché
con l’accoglimento della domanda risarcitoria verso la PDCM, la D.N., rispetto
a tale parte, è da ritenersi vincitrice in causa e quindi ad essa non possono
addossarsi, in nessuna misura, le spese della controparte;

23. la sentenza va dunque cassata in parte qua;

24. non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, può peraltro procedersi alla definizione di merito già in questa sede;

25. in proposito si ritiene di disporre la
compensazione per metà delle spese di tutti i gradi di giudizio tra la D.N. e
la PDCM, stante la solo parziale vittoria della lavoratrice, di cui sono
accolte due delle domande dispiegate (l’accertamento della natura subordinata
del rapporto e la condanna risarcitoria per i danni da abuso dei rapporti a
termine), con rigetto delle altre (conversione a tempo indeterminato e
differenze retributive);

26. la restante metà di tali spese, liquidate già in
tale quota parziaria nel dispositivo, dovranno essere invece rifuse dalla PDCM
alla D.N.;

27. tutto ciò non vale invece rispetto alla Regione
Calabria, nei cui riguardi nessuna domanda è mai stata accolta e dunque non si
determina il vizio denunciato;

28. rispetto alla Regione restano dunque intatte le
pronunce sulle spese di cui ai gradi di merito e la D.N. va condannate a
rifondere ad essa le spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli
altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo
nel merito, dichiara compensate per metà le spese dell’intero processo tra la
ricorrente e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, condannando quest’ultima
al pagamento in favore della D.N. della restante metà, quota che liquida in
euro 2.000,00 quanto al primo grado, in euro 1.000,00 per compensi ed euro
100,00 per esborsi quanto al grado di appello ed infine in euro 1.000,00 per
compensi ed euro 100,00 per esborsi quanto al giudizio di cassazione, oltre
spese generali ed accessori di legge. Condanna la ricorrente al pagamento in
favore della Regione Calabria delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 2.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese
generali ed accessori di legge.

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