Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 ottobre 2021, n. 27354

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato,
Retribuzioni e indennità di malattia non corrisposte, Licenziamento, Verbale
ispettivo

 

Rilevato che

 

con sentenza n. 1244 del 2019, la Corte d’appello di
Lecce, ha confermato la decisione del locale Tribunale che aveva accolto il
ricorso del 20 gennaio 2016 con cui la N.R.S.C. a r.l. aveva proposto
opposizione avverso il decreto ingiuntivo notificatole l’11 novembre 2015
mediante il quale le era stato ingiunto il pagamento della somma di euro
3.548,47 a titolo di retribuzioni e indennità di malattia non corrisposte a
L.V. dall’1 aprile 2015 al successivo 31 luglio;

in particolare, la Corte, condividendo l’iter
argomentativo del primo giudice, ha ritenuto che le modalità di risoluzione del
rapporto di lavoro tra la V. e la società cooperativa passassero attraverso il
venir meno della condizione di socia della stessa avuto riguardo alle
risultanze istruttorie anche poste a raffronto con quanto riportato dai verbali
ispettivi e che, pertanto, l’intimazione di licenziamento dovesse essere
riguardata sotto tale profilo;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso
assistito da memoria L.V., affidandolo a tre motivi;

resiste con controricorso la S.C.N.R. a. r.l.;

è stata comunicata alle parti la proposta del
giudice relatore unitamente al decreto di tassazione dell’adunanza in camera di
consiglio.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli artt. 2094 e 2119 cod. civ. in relazione all’art. 360 comma 1
nn. 3 per aver la Corte affermato che dall’intimazione del licenziamento non
discendeva la dimostrazione della sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato; con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 414 n. 5
cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4, per avere la Corte
ritenuto l’ammissibilità dei verbali delle dichiarazioni rese in sede
ispettiva;

con il terzo morivo si censura la decisione
impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2700 cod. civ.
per essersi la Corte fondata sulle dichiarazioni rese agli ispettori in luogo
delle dichiarazioni testimoniali;

tutti i motivi, da esaminarsi congiuntamente per
ragioni di ordine logico sistematico, sono inammissibili;

il primo ed il terzo motivo di ricorso deducono la
violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. lamentando, tuttavia, nella
sostanza, un errato iter argomentativo da parte della Corte territoriale in
quanto mirano ad ottenere una rivalutazione del merito inammissibile in sede di
legittimità;

si tratta, infatti, di censure che esprimono
doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad
attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti
di mero tatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di
legittimità la determinazione della Corte in ordine, segnatamente, all’attività
svolta ed alla pretesa irrilevanza del ruolo di socia della ricorrente;

il secondo motivo deve ritenersi inammissibile in
primo luogo in quanto promiscuamente formulato, denunciando violazioni di legge
o di contratto e il vizio di cui all’art. 360 comma 1, n. 4 cod. proc. civ.,
senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti
possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio,
determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare,
sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del
2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008) (sul punto, Cass. n.
18715 del 2016); esso, d’altro canto, denunzia impropriamente un errore
revocatolo ma pretende ancora una rivisitazione della vicenda nella sostanza,
atteso che la piana lettura del percorso motivazionale del giudice di secondo
grado consente di affermare che lo stesso ha fondato la propria decisione sulle
dichiarazioni testimoniali assunte – nessuna delle quali atta a corroborare la
tesi della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro subordinato – e non,
come asserito da parte ricorrente, sul contenuto dei verbali ispettivi;

alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso
deve, quindi, essere dichiarato inammissibile;

sussistono ì presupposti processuali per il
versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle
spese processuali, in favore della parte controricorrente, che liquida in euro
1.500,00 (dico millecinquecento euro) per compensi ed euro 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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