Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27576

Esposizione all’amianto, Decesso del lavoratore,
Risarcimento dei danni, domanda, Eredi

 

Rilevato che

 

La Corte di appello di Trieste, in riforma della
sentenza di primo grado, sulla scorta della consulenza tecnica espletata in
grado di appello, ha accolto la domanda proposta da K.A. e F.L., eredi del
defunto F.G., diretta alla condanna di F. – C.N.I. s.p.a. al risarcimento dei
danni conseguenti al mesotelioma pleurico che aveva determinato la morte del
loro congiunto, contratto in ragione dell’esposizione all’amianto subita
durante l’attività lavorativa svolta presso l’ex A.T. S. Marco, poi F. – C.N.I.
s.p.a., dal giugno 1970 al maggio 1971, pur se in seguito aveva svolto
l’attività di manovratore e manutentore presso le F.S.;

avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione F. – C.N.I. s.p.a., affidato a quattro motivi, cui hanno
resistito K.A. e F.L. con controricorso tempestivo;

la società ha prodotto memorie ex art. 378 c.p.c.;

 

Considerato che

 

con il primo motivo di ricorso F. – C.N.I. s.p.a.
deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 132 e 196
c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., osservando che la Corte
territoriale aveva automaticamente disposto la rinnovazione della consulenza
tecnica senza illustrare le ragioni della scelta tra l’uno o l’altro elaborato
peritale e l’iter logico di tale scelta, in tal modo realizzando una
inosservanza dell’obbligo imposto dall’art. 132, 2° n. 4 c.p.c. e criticando,
inoltre, il contenuto della consulenza per non aver considerato l’autonoma
efficacia attribuibile all’ulteriore esposizione a rischio del lavoratore nel
corso dell’attività esercitata presso F.S.;

con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., oltre che degli artt. 40 e 41 c.p. in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., osservando, per un verso, che la Corte
territoriale aveva recepito in modo acritico, senza tener conto dei rilievi della
società datrice, le conclusioni del C.T.U., svolte in una materia (accertamento
del nesso causale) che esula dall’ambito oggetto degli incarichi
dell’ausiliario del giudice e senza fornire adeguata giustificazione del
convincimento circa la propria preferenza, mediante l’indicazione delle ragioni
per le quali disattendere le conclusioni del primo consulente, e, per altro
verso, che la stessa Corte aveva omesso di applicare il principio della
conditio sine qua non e della causalità necessaria, richiedente un giudizio
controfattuale, in base al quale nel caso di specie non era possibile
“attingere con un grado di probabilità vicino alla certezza che il periodo
di lavoro prestato alle dipendenze dell’A.T. (poi F.) fosse stato causa
dell’evento, essendo anche dimostrata la prosecuzione di una rilevante
esposizione a rischio nel corso dell’attività esercitata presso F.S.”;

con il terzo motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1218, 2087 e 2697 c.c., oltre che degli artt. 21
D.p.r. n. 303/1956 e 40 c.p. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere
la Corte territoriale implicitamente qualificato la responsabilità
dell’imprenditore discendente dall’art. 2087 c.c. e dalla legislazione
prevenzionistica speciale in termini di responsabilità oggettiva, osservando in
proposito che la specifica tutela normativa dei lavoratori avverso rischi
dell’esposizione all’amianto è intervenuta solamente con il decreto legislativo
n. 277 del 1991, in attuazione della direttiva CEE n.83/47 del 1983 e,
pertanto, nel periodo in questione l’attività lavorativa con esposizione
all’amianto nelle lavorazioni era consentita dal legislatore, che imponeva
cautele (prescritte dall’art. 21 del DPR 302/1956) finalizzate ad evitare
un’esposizione a dosi massicce idonee a cagionare silicosi e asbestosi;

con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione
e falsa applicazione degli artt. 2059 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360 n.
3 c.p.c., con riferimento alla quantificazione del danno, esorbitante rispetto
ai valori tabellari previsti per l’inabilità temporanea;

in ordine al primo motivo si osserva, quanto al
primo profilo, che le doglianze di parte, dirette al solo riesame degli
elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, non individuano gli
specifici passaggi idonei ad inficiare la logicità della sentenza, anche per
derivazione dal ragionamento del consulente tecnico (riguardo all’esclusione
del vizio di motivazione nel caso di adesione del giudice alla seconda
consulenza tecnica di ufficio espletata, in presenza di due successive
contrastanti consulenze tecniche d’ufficio, ove il secondo parere tecnico
fornisca gli elementi che consentano di delineare il percorso logico seguito e
di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario, Cass. n. 8429 del
25/03/2021), sicché non è ravvisabile alcuna carenza motivazionale rilevante
nei termini enunciati dalla costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis
Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014);

quanto ai profili di doglianza attinenti al ruolo
causale dell’attività svolta dal lavoratore dopo il periodo di esposizione
all’amianto alle dipendenze di F. s.p.a., si rinvia alle argomentazioni svolte
in risposta alle ulteriori censure;

il secondo motivo è inammissibile, per quanto si è
già rilevato in ordine al primo motivo, con riferimento ai profili attinenti ai
rilievi avverso le conclusioni del consulente tecnico, mentre, per quanto
attiene ai profili di censura attinenti alla violazione dei criteri di
causalità, si richiama il costante orientamento di questa Corte di legittimità,
secondo cui, in punto di criterio causale nella responsabilità civilistica, il
giudizio deve essere effettuato sulla scorta, del criterio del “più
probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza
probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla
determinazione quantitativa-statistica ma va verificato secondo il criterio
della probabilità logica, riconducendone il grado di fondatezza all’ambito
degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto, criterio al quale la
Corte in concreto si è attenuta (ex multis Cass. n. 23197 del 27/09/2018, Cass.
n. 7760 del 08/04/2020);

il terzo motivo è infondato, ove si consideri il
principio affermato da questa Corte di legittimità (Cass. n. 13956 del
03/08/2012) secondo cui l’art. 2087 c.c., quale norma di chiusura, impone al
datore di lavoro – anche quando faccia difetto una specifica misura preventiva
– di adottare le misure generiche di prudenza e di diligenza nonché tutte le
cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare
l’integrità fisica del lavoratore, ricordando che la pericolosità della
lavorazione dell’amianto era nota in epoca risalente, come emergeva dal r.d. 14
giugno 1909 n. 442 (che approvava il regolamento per il t.u. della legge per il
lavoro delle norme e dei fanciulli, includendo l’art. 29 tabella B n. 12 la
filatura e la tessitura della amianto tra i lavori insalubri o pericolosi, nei
quali l’applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli è vietata o
sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non
veniva assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo) e che ai sensi
dell’art. 21 del d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303 (volto a stabilire che nei lavori
che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie) il
datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre,
per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione delle polveri nell’ambiente
di lavoro sicché “le misure da adottare a tal fine devono tener conto
della natura delle polveri e della loro concentrazione”, devono, cioè,
avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri stesse;

il quarto motivo è inammissibile, poiché
l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di
liquidare il danno in via equitativa, come avvenuto nella specie, non è
suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della
decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il
processo logico e valutativo seguito, tenuto conto che la Corte territoriale ha
dato conto delle ragioni a sostegno della liquidazione equitativa effettuata,
specificamente attribuendo rilevanza all’età del lavoratore al momento
dell’exitus;

sulla base delle svolte considerazioni il ricorso va
complessivamente rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione, sussistono i
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 5.200,00, di cui € 200,00
per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13.

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