Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2021, n. 27789
Licenziamento, Differenze retributive non corrisposte,
Pagamento, Domanda, Continuazione del rapporto di lavoro con la nuova società
Rilevato
che il Tribunale di Salerno, con la sentenza n.
1876/2016, resa il 19.5.2016, ha dichiarato la inammissibilità della domanda
proposta da G.D., nei confronti dell’A.T.E.C. a r.l., cancellata dal Registro
delle Imprese il 28.7.2010, ed ha dichiarato la illegittimità del licenziamento
intimato al D. dalla A. S.r.l. il 14.6.2013, rigettando la domanda di pagamento
di differenze retributive e compensando tra le parti le spese del giudizio; che
la Corte di Appello di Salerno, con sentenza pubblicata il 16.10.2018, in
parziale accoglimento del gravame interposto dal lavoratore, nei confronti di
A. S.r.l., avverso la pronunzia di prima istanza, ha condannato la società al
pagamento, in favore dell’appellante, della somma complessiva di Euro 2.737,33,
oltre accessori dalla domanda sino all’effettivo soddisfo, a titolo di
differenze retributive e parte del TFR non corrisposte; somma così determinata
all’esito della disposta c.t.u. (v. pag. 3 della sentenza impugnata);
che per la cassazione della sentenza G.D. ha
proposto ricorso articolando quattro motivi; che la A. S.r.l. è rimasta
intimata; che il P.G. non ha formulato richieste che, con il ricorso, si
censura testualmente: 1) <<Domanda nei confronti di A. srl. Mutamento
societario. Violazione art. 8
I. n. 604. Violazione art. 2212 c.c., come
novellato>>, e si deduce che <<il riconoscimento degli a.p.a.
maturati dimostra la continuazione del rapporto di lavoro con la nuova società,
anche in presenza di altri elementi, quali gli stessi mezzi, le stesse
mansioni, lo stesso sistema dirigente e la stessa direzione da cui il
lavoratore prendeva ordini>>; 2) <<Differenze retributive.
Violazione par. 140 e successivamente par. 158 del C.C.N.L.
autoferrofilotranvieri e internavigatori. Violazione par. 140 e succ. 148
C.C.N.L.. Art. 71-8-4-17- e 7 C.C.N.L. mancato pagamento del periodo di
malattia dal 12.3.2013 al 12.5.2013, la mancata consegna delle buste paga da
Marzo 2013 alla data del licenziamento, mancato godimento di parte delle ferie,
mancata retribuzione tredicesime e quattordicesime>>, e si lamenta che
<<la Corte territoriale, confondendo i periodi lavorativi, opta senza
motivazione per riconoscere al lavoratore solo le differenze risultanti dalla
CTU, considerando il periodo che va dal 27.7.2010 al 18.6.2013>>; 3)
<<Buste paga quietanzate. Violazione art. 12 del D.L. 201/2011>>,
e si osserva che <<le buste paga recanti la dizione a stampatello
“dichiaro di ricevere l’importo citato in moneta corrente” sono un
documento che l’azienda è obbligata a rilasciare al dipendente a prescindere
dalla sua sottoscrizione e la firma di quest’ultimo sul documento non può
considerarsi una quietanza liberatoria>>; 4) <<Le spese seguono la
soccombenza art. 91 c.p.c.. Il giudice di I, in
ordine ha disposto: “Le spese rimangono compensate tra le parti stante il
parziale accoglimento”. Il giudice di II, in ordine ha disposto: “liquida
in complessivi Euro 915,00 oltre IVA e CPA come per legge e rimborso forfetario
del 15%”. Né la prima, né la seconda disposizione rispondono ai parametri
di legge>> e si domanda: <<Può il giudice applicare a piacimento e
senza motivazione una tariffa professionale difforme dal D.M. 55/2014?>>; che i motivi – che possono
essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione – sono tutti
inammissibili sotto diversi e concorrenti profili; innanzitutto, perché articolati
<<in forma libera>>: il giudizio di cassazione è, infatti,
vincolato dai motivi del ricorso che assumono una funzione identificativa
condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi
tassative formalizzate nel codice di rito. Pertanto, il mezzo di impugnazione
articolato deve possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed
esige che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 del codice di rito, sicché è
inammissibile la critica generica delle sentenze impugnate (cfr., tra le molte,
Cass. nn. 23797/2019; 19959/2014); inoltre, la parte ricorrente neppure ha
indicato tutte le norme che assume violate, né sotto quale profilo le stesse
sarebbero state incise, né ha specificato, per ciascuna delle ragioni esposte
nella sentenza sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni, di
fatto e di diritto, idonee a giustificare le censure; e ciò, in violazione
della prescrizione di specificità di cui all’art.
366, primo comma, n. 4, c.p.c., che esige che il vizio della sentenza
previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3,
del codice di rito, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo
mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma
anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale
modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata,
debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della
fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente
giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn.
187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009). Per la qual cosa, le
doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda
istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e
sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015;
80/2011); che non sono stati prodotti, né
indicati tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso di
legittimità, gli atti cui si fa riferimento nel primo motivo; il CCNL di cui
assume la violazione nel secondo motivo; né i certificati attestanti il periodo
di malattia, cui si fa riferimento nello stesso motivo; né le buste paga cui si
accenna nel secondo e nel terzo mezzo di impugnazione, in violazione del
principio, più volte ribadito da questa Corte (arg. ex art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c.), che
definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico
atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di
legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni
prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014, cit.).
Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere
tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione
della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di
tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso
e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di
merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016;
23675/2013; 1435/2013);
che, infine, per quanto, più in particolare, attiene
al quarto motivo, va altresì sottolineato che viene dato per postulato che le
disposizioni dei giudici di merito in ordine alle spese <<non rispondano
ai parametri di legge>>, senza alcuna specificazione in merito, in
violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4,
del codice di rito;
che, pertanto, in considerazione di quanto innanzi
osservato, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che nulla va disposto in ordine alle spese del
presente giudizio, poiché la A. S.r.l. non ha svolto attività difensiva; che,
avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso
sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, secondo quanto precisato in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.