Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 ottobre 2021, n. 29643

Infortunio sul lavoro, Responsabilità solidale, Mansioni
incompatibili con lo stato di invalidità, Aggravamento, Gravissima
compromissione dell’attività lavorativa

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n.1256/2014 la Corte di appello di
Bologna ha confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda con
la quale G. P. D., assunto ai sensi della legge n. 68/1999, aveva convenuto in
giudizio la datrice di lavoro G. B. s.p.a., L. C. e la F.L. s.p.a. chiedendo
l’accertamento della responsabilità solidale degli stessi in relazione
all’infortunio occorsogli in data 15 gennaio 2004 ed ai danni derivati
dall’essere stato adibito a mansioni incompatibili con il proprio stato di
invalidità, con aggravamento della percentuale di invalidità dall’80% al 100% e
gravissima compromissione dell’attività lavorativa ;

2. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso G.

P. D. sulla base di due motivi; G. B. s.r.l. ha
resistito con tempestivo controricorso; AXA Assicurazioni s.p.a., chiamata in
causa a titolo di manleva da L.C., ha depositato controricorso; gli intimati L.
C. e Compagnia Assicuratrice Generali s.p.a. (chiamata in causa a titolo di
manleva dalla società G. B.) non hanno svolto attività difensiva;

3. parte ricorrente ha depositato memoria (tale
dovendo qualificarsi le ” brevi note conclusive” depositate dalla
difesa del D.);

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce ai sensi dell’art.360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa
applicazione di norme di legge ed in particolare degli artt. 2043 e 2087 cod.
civ.;

2. con il secondo motivo deduce ai sensi
dell’art.360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. , ex art 116 cod. proc. civ.,
omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ed in particolare
sul motivo di gravame inteso a denunziare il malgoverno delle risultanze
istruttorie da parte del giudice di prime cure;

3. i motivi sono illustrati congiuntamente; la
decisione impugnata viene censurata per avere escluso il nesso causale o
concausale fra l’infortunio del 15 gennaio 2004 e l’adibizione del lavoratore a
mansioni non compatibili con quelle individuate dalla Commissione medica,
riconducibili ad attività da svolgersi nell’ambito del terziario avanzato con
riferimento alle lingue ed al settore informatico, con prescrizione di evitare
la stazione eretta prolungata e spostamenti frequenti; come riconosciuto dal
consulente tecnico d’ufficio, infatti, l’incarico conferito al D., di responsabile
dei lavori presso il cantiere edile aziendale, ove si era poi verificato
l’infortunio, non era compatibile con la specifica prescrizione sanitaria; i
giudici di appello, come il giudice di primo grado, avevano errato trascurando
di considerare le conseguenze della inosservanza di tali prescrizioni su un
soggetto disabile e ciò in violazione dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087
cod. civ., da verificarsi alla luce del criterio di riferibilità causale del
“più probabile che non” ; in questa prospettiva si denunzia errata
valutazione delle emergenze in atti alla stregua delle quali le mansioni di
adíbízíone erano da ritenersi non compatibili con lo stato di salute del
lavoratore e tali da determinarne un aggravamento;

4. i motivi di ricorso sono inammissibili;

4.1. la deduzione di violazione e falsa applicazione
di norme di diritto riferita agli artt. 2043 e 2087 cod. civ. non è articolata
in conformità del mezzo di cui all’art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ., il
quale per costante giurisprudenza di questa Corte deve essere dedotto non solo
con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche
mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella
sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme
regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita
dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. nr. 287 del 2016; Cass. nr. 635 del
2015; Cass. nr. 25419 del 2014; Cass. nr. 16038 del 2013; Cass. nr. 3010 del
2012); viceversa, le doglianze articolate da chi ricorre non vertono sul
significato e sulla portata applicativa delle norme richiamate e, quindi, sulla
ricognizione della fattispecie astratta, ma ineriscono ad una tipica quaestio
facti, vale a dire la verifica del nesso causale tra la adibizione del
lavoratore a mansioni non compatibili con la prescrizione sanitaria e
l’infortunio sul lavoro del 15.1.2004;

4.2. in relazione a quest’ultimo profilo la sentenza
di appello ha confermato la valutazione del giudice di prime cure in ordine
all’assenza di nesso causale tra la condotta dei soggetti evocati in giudizio
ed il pregiudizio lamentato dal D.; il giudice di appello, in particolare, in
adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha ritenuto che le
lesioni sofferte non potessero ritenersi eziologicamente collegate
all’infortunio e che seppure poteva ritenersi che le mansioni di fatto affidate
al D. non fossero conformi alle prescrizioni imposte dalle condizioni
patologiche del lavoratore tanto non aveva inciso sull’aggravamento della
situazione come non aveva inciso l’infortunio del 15 gennaio 2004; per il
consulente di ufficio, infatti, l’attuale stato di invalidità del D. era
fisiopatologicamente correlabile all’evoluzione progressiva del quadro patologico
degenerativo cronico sofferto dal lavoratore;

4.3. l’accertamento relativo all’assenza di nesso
causale non è validamente censurato dalle doglianze articolate dall’odierno
ricorrente che con il secondo motivo si limita, in sintesi, a sollecitare
direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio,
apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679 del 2013, nr.
2197 del 2011, nr. 20455 del 2006, nr. 7846 del 2006, nr. 2357 del 2004); esso
costituisce per costante giurisprudenza di questa Corte accertamento di fatto
riservato al giudice di merito censurabile in sede di legittimità soltanto per
vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
(Cass. nr. 22759 del 2011, in motivazione, nr. 15311 del 2001, nr. 6449 del
1998, in motivazione; nr. 447 del 1998), e quindi, alla stregua dell’attuale
configurazione del mezzo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.,
mediante deduzione di omesso esame di un fatto – nel senso di fatto storico
fenomenico- controverso e decisivo, evocato nel rispetto della prescrizione
dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. (v. per tutte Cass. Sez. Un. nr.
8053 del 2014), omesso esame non prospettato, neppure formalmente, dall’odierna
parte ricorrente e la cui deduzione risultava in concreto preclusa, ai sensi
dell’art 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ. dalla esistenza di una « doppia
conforme»;

4.4. infine, il riferimento all’art. 116 cod. proc.
civ. è inidoneo a sorreggere il sindacato di legittimità in relazione al
governo delle emergenze istruttorie da parte del giudice di merito per essere
il conseguente accertamento astrattamente incrinabile solo mediante denunzia di
vizio di motivazione, laddove la deduzione di violazione e falsa applicazione
dell’art. 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del
materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si
alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte
dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia
disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove
legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza
apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass.
nr. 1229 del 2019, nr. 2700 del 2016), questioni del tutto estranee alle
censure articolate;

5. alla declaratoria di inammissibilità del ricorso
consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;

6. sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002;

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte
ricorrente alla rifusione ai controricorrenti delle spese di lite che liquida
in favore di ciascun controricorrente in euro 3.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento  da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

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