Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 ottobre 2021, n. 37847

Sicurezza del lavoro, Interventi di primo soccorso, Corsi di
formazione generali, Indicazione preventiva dei lavoratori incaricati
dell’attuazione delle misure di primo soccorso

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 10 maggio 2019, la corte di
appello di Firenze, qualificato in ricorso l’appello proposto nell’interesse di
P. M. avverso la sentenza del 10 maggio 2019 del tribunale di Firenze,
trasmetteva gli atti a questa Suprema Corte per il prosieguo.

2. Avverso la predetta sentenza del tribunale di
Firenze P. M. ha dedotto due motivi di impugnazione.

3. Deduce con il primo motivo l’erronea
interpretazione della legge penale in ordine all’art. 45 comma 1 Dlgs. 81/08 e
l’erronea valutazione delle risultanze processuali. Si osserva che l’articolo
45 citato prevede la formazione solo del personale specificamente designato per
gli interventi di primo soccorso ovvero i cd. addetti alla squadra di primo
soccorso, che tuttavia non sarebbero specificamente previsti nel caso in esame,
perché l’esiguo numero dei lavoratori e le dimensioni dell’azienda del
ricorrente alla luce del comma 2 dell’art. 45 citato e del DM 388/2003 non ne
comportano l’obbligatorietà. Il personale dipendente del ricorrente è stato,
piuttosto, sottoposto a corsi di formazione generali previsti in materia di
sicurezza del lavoro e di primo soccorso come indicato dall’art. 37 comma 2
Dlgs. 81/08. Quanto alla disponibilità per il personale di strumenti adeguati a
stabilire rapporti con il servizio sanitario si osserva che in merito alle
emergenze di primo soccorso data la particolarità dell’attività di estrazione a
cielo aperto, svolta normalmente in luoghi isolati, prevarrebbero le norme di
sicurezza di cui al Dlgs. 624/96 di portata specifica e non generale come il
Dlgs. 81/08, e che non prescrivono l’utilizzo dì particolari dispositivi o
strumenti di comunicazione con mezzi di soccorso. Si aggiunge che il predetto
Dlgs. 81/08 rimanderebbe a una regolamentazione specifica di cui al DM 388/03,
che classifica le attività in base alloro rischi e determina all’art. 2, in
base a tale classificazione, gli strumenti funzionali a evitare e i rischi.

Quanto alla contestazione della mancata attivazione
del servizio di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale, si  rappresenta che il ricorrente era munito di
cellulare idoneo ad attivare il soccorso la cui funzionalità tuttavia non è
sempre efficiente in ogni area del territorio nazionale per cause imputabili al
gestore del servizio di telefonia, e la successiva installazione da parte
dell’imputato di una antenna dì ricezione del segnale telefonico non potrebbe
interpretarsi come intervento finalizzato ad ovviare ad un difetto di sicurezza
o mancato rispetto di norme di pronto soccorso. Si precisa in proposito che la
normativa sul punto non conterrebbe disposizioni specifiche. Lo stesso
ricorrente spostandosi dal luogo dell’incidente avrebbe attivato mediante
cellulare l’intervento del 118.

Si conclude nel senso di escludere la violazione
della norma contestata e della sussistenza in capo all’imputato di mezzi
adeguati per attivare rapidamente il Servizio di Soccorso.

4. Con il secondo motivo si contesta l’applicazione
del beneficio della sospensione condizionale della pena pecuniaria applicata in
quanto la sospensione della sola pena pecuniaria potrebbe in futuro rivelarsi
concretamente pregiudizievole per l’impossibilità della sospensione della pena
detentiva. Del resto con le iniziative svolte dopo i fatti il ricorrente
avrebbe operato in quell’ottica collaborativa in cui si inserisce il
riconoscimento del beneficio della pena sospesa, che quindi risulterebbe già
soddisfatta.

 

Considerato in diritto

 

1. Come noto, l’impugnazione proposta come appello e
riqualificata come ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 568 c.p.p., comma
5, determina unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinnanzi al
giudice competente in ordine alla impugnazione, secondo le norme processuali;
permangono, inoltre, le regole proprie del giudizio di impugnazione
correttamente qualificato, con la conseguenza per cui l’atto convertito deve
avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini dell’impugnazione che
avrebbe dovuto essere proposta (v., tra le tante: Sez. 1^, n. 2846 del
08/04/1999 – dep. 09/07/1999, Annibaldi R, Rv. 213835). Tale è il caso in
esame.

2. Quanto all’analisi del ricorso, deve premettersi
che il d.lgs. 9 aprite 2008, n. 81, nel dare attuazione alla delega conferita
con legge 3 agosto 2007, n. 123, ha operato una organica sistemazione delle
normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. Con la riorganizzazione
dell’articolato sistema delle fonti normative in materia di sicurezza del
lavoro il legislatore delegato ha altresì proceduto alla inevitabile
abrogazione dei testi normativi previgenti, il cui elenco è contenuto nell’art.
304 del decreto. Ai sensi del quale, “fermo restando quanto previsto
dall’articolo 3, comma 3, e dall’articolo 306, comma 2, dalla data di entrata
in vigore del presente decreto legislativo sono abrogati:

a) il d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, il d.P.R. 7
gennaio 1956, n. 164, il d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, fatta eccezione per
l’articolo 64, il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, il decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il decreto legislativo 14 agosto 1996,
n. 493, il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, il decreto legislativo
19 agosto 2005, n. 187;

b) l’articolo 36-bis, commi 1 e 2 del decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto
2006, n. 248;

c) gli articoli: 2, 3, 5, 6 e 7 della legge 3 agosto
2007, n. 123;

d) ogni altra disposizione legislativa e
regolamentare nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo
incompatibili con lo stesso;

d-bis) la lettera c) del terzo comma dell’articolo
3, della legge 22 luglio 1961, n. 628;

d-ter) gli articoli 42 e 43 del d.P.R. 20 marzo
1956, n. 320;

d-quater) il d.P.R. 3 luglio 2003, n. 222. (lettere
da d-bis) a d-quater) aggiunte dall’art. 146 del d.lgs. n. 106 del 2009)

 (…) Con uno
o più decreti integrativi attuativi della delega prevista dall’articolo 1,
comma 6, della legge 3 agosto 2007, n. 123, si provvede all’armonizzazione
delle disposizioni del presente decreto con quelle contenute in leggi o
regolamenti che dispongono rinvii a norme del decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, e successive modificazioni, ovvero ad altre disposizioni abrogate
dal comma 1.

Fino all’emanazione dei decreti legislativi di cui
al comma 2, laddove disposizioni di legge o regolamentari dispongano un rinvio
a norme del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive
modificazioni, ovvero ad altre disposizioni abrogate dal comma 1, tali rinvii
si intendono riferiti alle corrispondenti norme del presente decreto legislativo”.

3. Consegue che, come è stato osservato anche in
dottrina, il Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 624, che applica le
direttive europee 92/91/CEE e 92/104/CEE relative alla sicurezza e salute dei
lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione, a cielo aperto o
sotterranee, non rientra tra le discipline normative espressamente abrogate ex
art. 304 citato.

E’ altrettanto indiscutibile che il d.lgs. 624/96
non sostituisce il d.lgs. 81/2008. Il sistema di gestione della sicurezza in
cava e in miniera è stato definito un modello ibrido, frutto dell’integrazione
e armonizzazione di diverse discipline: il d.lgs. 624/96, il d.lgs. 81/2008 e
il DPR 128/59 che contiene le norme di polizia delle miniere e delle cave.

Ed invero, è indiscutibile la generale operatività
del DIgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro, anche alla luce del relativo articolo 1, ai sensi del quale,
“le disposizioni contenute nel presente decreto legislativo costituiscono
attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, per il riassetto
e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle
lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il
coordinamento delle medesime in un unico testo normativo. Il presente decreto
legislativo persegue le finalità di cui al presente comma nel rispetto delle
normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia, nonché in
conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a
statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle
relative norme di attuazione, garantendo l’uniformità della tutela delle
lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione
delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati”.

La predetta portata generale si rinviene anche, per
quanto di interesse, con riguardo alla disciplina del cd. “primo
soccorso”, atteso che ai sensi dell’art. 15 del medesimo Dlgs., rubricato
“Misure generali di tutela” , tra le misure generali di tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro si contemplano
anche, oltre alla informazione e formazione adeguate per i lavoratori, le
misure di emergenza da attuare in caso di “primo soccorso”.

In correlazione a tale previsione generale si pone
la disposizione, altrettanto generale, secondo la quale (art. 18), tra gli
obblighi del datore di lavoro e del dirigente rientra anche quello di designare
preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di
“primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza”. Inoltre, ai
sensi dell’art. 36 del Dlgs. citato, il datore di lavoro provvede affinché
ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione, tra l’altro, “sulle
procedure che riguardano il primo soccorso”, e i lavoratori incaricati
dell’attività, tra le altre, di “primo soccorso” e, comunque, di
gestione dell’emergenza devono ricevere un’adeguata e specifica formazione e un
aggiornamento periodico (art. 37). Disposizioni generali sono riportate anche
nell’art. 43, laddove per quanto qui di interesse, si prevede che “ai fini
degli adempimenti di cui all’articolo 18, comma 1, lettera t), il datore di
lavoro organizza i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in
materia di primo soccorso”. Infine, l’art. 45 disciplina appositamente il
cd. “primo soccorso”, stabilendo al primo comma che “il datore
di lavoro, tenendo conto della natura della attività e delle dimensioni
dell’azienda o della unità produttiva, sentito il medico competente ove
nominato, prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di
assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone
presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi
esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati”. Ed al secondo
comma che “le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso,
i requisiti del personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione
alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di
rischio sono individuati dal decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 e dai
successivi decreti ministeriali di adeguamento acquisito il parere della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano”.

Dunque, la normativa vigente prevede che
l’organizzazione del “primo soccorso” rientri nelle misure generali
di tutela dei lavoratori e si inserisce all’interno del più ampio capitolo
della gestione delle emergenze. Quanto ai requisiti del personale addetto ai
“Primo soccorso”, alla sua formazione specifica ed ai contenuti
minimi delle attrezzature il primo comma dell’art. 45 si raccorda al comma 2 e
quindi al D.M. 15 luglio 2003, n. 388 che contiene, in sintesi, disposizioni
sul pronto soccorso aziendale, quali quelle che definiscono le caratteristiche
minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale addetto
e la sua formazione, individuati in relazione a parametri tra cui all’attività,
il numero dei lavoratori occupati ed i fattori di rischio.

Le aziende sono classificate in tre gruppi (A,B,C)
in base al tipo di attività svolta, al numero di lavoratori impiegati e ai
fattori di rischio occupazionali. Le aziende del gruppo A e B devono garantire
la presenza di una o più cassette di pronto soccorso, mentre per quelle di
gruppo C è sufficiente la presenza del pacchetto di medicazione. I contenuti
minimi delle cassette/pacchetti di primo soccorso vengono indicati negli
allegati del D.M.

Il decreto, infine, prevede che la formazione,
soprattutto nella parte che attiene alla pratica, vada ripetuta con cadenza
triennale. In aggiunta, ogni azienda deve fornirsi di un piano di primo
soccorso. Con riguardo al caso di specie occorre rilevare come ai sensi
dell’art. 1 del DM 388/2003, rientrano nel gruppo a), tra le altre, le aziende
estrattive ed altre attività minerarie definite dal decreto legislativo 25
novembre 1996, n. 624. Invece nei gruppi b) e c) rispettivamente le aziende o
unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A e le
aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel
gruppo A.

4. Alla luce del quadro normativo sopra ricostruito,
e avendo riguardo al primo motivo di impugnazione, appare indiscutibile la
portata non solo generale, della normativa in tema di “primo
soccorso” e quindi dello stesso art. 45 del Dlgs. 81/2008 di cui alla
contestazione, ma la stessa specifica contemplazione al riguardo, ai sensi del
DM 388/03 citato, delle aziende estrattive ed altre attività minerarie tra cui
rientra la ditta del ricorrente.

A tale ultimo proposito giova preliminarmente
rilevare l’assoluta genericità dell’asserto difensivo, privo di ogni
allegazione e dimostrazione sul punto, per cui nel caso in esame, per l’esiguo
numero dei lavoratori (rimasto imprecisato nonostante i precisi parametri
numerici al riguardo contemplati dal DM 388/03) e le dimensioni dell’azienda
del ricorrente (anche esse indistinte), alla luce del comma 2 dell’art. 45
citato e del DM 388/2003 non emergerebbe l’obbligatorietà della disciplina in
esame.

Consegue, per la porta generale sopra evidenziata e
per i chiari riferimenti al settore di azione della ditta dell’imputato, di cui
anche al DM applicativo, la  sicura
operatività, nel caso di specie, delle disposizioni richiamate in tema di cd. “primo
soccorso”. Laddove la relativa esclusione non solo non può conseguire alla
generica affermazione difensiva di insussistenza, nel caso in esame, dei
presupposti di cui all’art. 1 del DM citato, ma neppure trova riscontro
nell’altrettanto assertiva affermazione per cui in ordine alla disponibilità
per il personale di strumenti adeguati a stabilire rapporti con il servizio
sanitario in merito alle emergenze di primo soccorso, data la particolarità
dell’attività di estrazione a cielo aperto, prevarrebbero le norme di sicurezza
di cui al Dlgs. 624/96. definite, senza alcuna altra spiegazione a sostegno, di
portata specifica e non generale come il DIgs. 81/08, e che non prescrivono
l’utilizzo di particolari dispositivi o strumenti di comunicazione con mezzi di
soccorso. Ciò in quanto l’invocata esistenza, in sostanza, di un rapporto di
specialità in materia tra il Dlgs 624/96 e il Dlgs. 81/2008, non solo non è
supportata dalla indicazione di puntuali rilievi normativi, così incorrendosi
in un vizio di carenza di specificità intrinseca della censura, ma appare volta
a delineare al più, per le stesse argomentazioni svolte, che rimandano,
piuttosto, alla applicazione di generali previsioni di sicurezza del Dlgs.
624/96, un rapporto di specialità inversa, in favore delle previsioni di
“primo soccorso” del Dlgs. 81/2008. Stante, appunto, la portata
generale e indifferenziata delle norme che si vorrebbe applicate ex Dlgs.
624/96, rispetto alla peculiarità di quelle di “primo soccorso” del
Dlgs. 81/2008. Deve quindi ritenersi manifestamente infondata la deduzione
inerente il vizio di violazione di legge.

Quanto alla ulteriore deduzione di cui al medesimo
motivo di ricorso, secondo cui il ricorrente era comunque munito di cellulare
idoneo ad attivare il soccorso, la cui funzionalità tuttavia non è sempre
efficiente in ogni area del territorio nazionale per cause imputabili al
gestore del servizio di telefonia, tanto che lo stesso ricorrente spostandosi
dal luogo dell’incidente avrebbe attivato mediante cellulare l’intervento del
118, così non incorrendo in ogni caso in alcuna violazione, si tratta di una
mera valutazione di circostanze di fatto, inammissibile in questa sede.

5. Riguardo al secondo motivo di impugnazione, va
premesso che è ammissibile l’impugnazione proposta dall’imputato avverso una
sentenza di condanna a pena pecuniaria che sia stata condizionalmente sospesa
senza sua richiesta, qualora l’impugnazione concerna interessi giuridicamente
apprezzabili poiché correlati alla funzione stessa della sospensione
condizionale, consistente nella “individualizzazione” della pena e
nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato, e non si
risolva nella prospettazione di motivi di mera opportunità, come quello di
riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi. (Sez. 3 n.
17384 del 28/01/2021 Rv. 281539 – 01). Nel caso in esame il giudice, d’ufficio,
ha applicato il predetto beneficio a fronte di una condanna a pena pecuniaria,
e nel quadro dell’intervenuto riconoscimento dell’iniziativa assunta
dall’imputato a seguito delle prescrizioni impartite dall’Asl e consistita nel
dotare l’area di cava di idonea copertura per rete cellulare installando
antenne per la ripetizione del segnale. Da parte sua l’imputato, in linea con
il principio di diritto sopra riportato, ha contestato l’applicazione del
beneficio della sospensione condizionale della pena pecuniaria non solo
evocando la possibilità per cui la sospensione della sola pena pecuniaria
potrebbe in futuro rivelarsi concretamente pregiudizievole per l’impossibilità
della sospensione della pena detentiva (motivo di per sé irrilevante, siccome
tradottosi in valutazioni soggettive ed astratte e non integranti interessi
giuridicamente apprezzabili) ma anche sottolineando come le iniziative svolte
dopo i fatti dal ricorrente avrebbero integrato forme di collaborazione di per
sé sufficienti per una corretta individualizzazione della pena, come
individuata nella sanzione pecuniaria applicata, tali nel contempo da poter
escludere a tali fini anche l’applicazione del beneficio in esame.

Considerata quindi la piena ammissibilità del motivo
proposto, e la sua non manifesta infondatezza, anche alla luce del principio
secondo cui quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale
riconosciutogli dall’art. 163 cod. pen. e, nel giudizio di appello, dall’art.
597, comma quinto, cod. proc. pen., dispone di ufficio la sospensione
condizionale della pena è tenuto a dare concreta dimostrazione – non
rinvenibile nel caso concreto – dell’utilità del beneficio in relazione alle
sue finalità di prevenzione speciale e di rieducazione dell’imputato, a fronte
del contrario interesse di quest’ultimo a non giovarsene, in relazione alla
lievità della sanzione inflitta (Sez. 3, n. 28690 del 09/02/2017, Rochira, Rv.
270588), consegue che deve dichiararsi – d’ufficio – l’intervenuta estinzione
del reato, alla data del 7 novembre 2020, atteso che l’inammissibilità del
precedente motivo di ricorso come sopra illustrata non consente una più
favorevole declaratoria di non punibilità per ragioni di merito ex art. 129
comma 2 cod. proc. pen.

5. Consegue ulteriormente l’annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché
il reato è estinto per prescrizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 ottobre 2021, n. 37847
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