Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 ottobre 2021, n. 29916

Rapporto di lavoro, Ingiustificatezza dell’assenza della
lavoratrice, Omessa motivazione, Diritto della lavoratrice di rientrare dopo
la maternità dove era occupata all’inizio del periodo della gravidanza

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 20 luglio 2018, la Corte
d’Appello di Venezia, in sede di rinvio, ha dichiarato l’interruzione del
giudizio tra M.C. e la Studio S.V.R. s.r.l., dichiarando, altresì,
inammissibile la domanda proposta nei confronti di Studio V.A. s.r.l. e
rigettando quella avanzata nei confronti dei soci dello Studio V. nonché del
liquidatore;

– il giudizio prendeva le mosse dall’accoglimento
del ricorso per cassazione proposto dalla C. avverso la decisione di secondo
grado ed in particolare dell’accoglimento del primo motivo del ricorso, con cui
era stata denunziata la violazione dell’art. 111
Cost. per omessa motivazione sul punto della ritenuta ingiustificatezza
dell’assenza della lavoratrice in relazione all’art. 56, commi 1 e 3 del D.Lgs. n. 151
del 2001, non avendo la Corte chiarito le ragioni per le quali tale assenza
presso l’unità produttiva di Limena dovesse considerarsi ingiustificata, alla
luce del diritto della stessa lavoratrice, ai sensi della norma richiamata, di
rientrare invece, dopo la maternità, presso l’unità produttiva di Este ove era
occupata all’inizio del periodo della gravidanza;

– la Corte d’appello, adita in sede di rinvio, ha
ritenuto, tuttavia, assorbenti in primo luogo la cancellazione della società
parte originaria del procedimento, Studio S., V.R. s.r.l. in liquidazione
escludendo, quindi, che il giudizio potesse procedere nei confronti della
stessa;

– ha dichiarato, all’uopo, l’interruzione per essere
la cancellazione avvenuta dopo il deposito del ricorso e nel periodo temporale
intercorrente tra la notifica dell’impugnazione e l’udienza di discussione,
essendo stato dichiarato e documentato l’effetto interruttivo dal procuratore
della società cancellata;

– il giudice di secondo grado ha, poi, escluso che
potesse reputarsi rituale la domanda proposta nei confronti di Studio V. e
Associati s.r.l. cui era stato notificato lo stesso originario ricorso proposto
nei confronti della società cancellata, ricorso che, tuttavia, non riguardava
la prima società direttamente;

– infine, ha ritenuto insussistente qualsivoglia
allegazione rispetto alle persone fisiche (soci della società cancellata e
liquidatore) respingendo la domanda proposta nei loro confronti;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso,
assistito da memoria, M.C., affidandolo a quattro motivi;

– la Studio V. e Associati s.r.l. è rimasta
intimata;

– sono rimasti, altresì, intimati G.S., C.S., R.R. e
L.V., in qualità di soci della società cancellata, nei confronti dei quali pure
lo stesso è proposto;

 

Considerato che

 

con il primo motivo di ricorso si denunzia l’omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le
parti, inammissibilità/irritualità della domanda proposta Studio V. e Associati
s.r.l., ovvero l’omesso esame della domanda proposta in tal senso nella prima
udienza e nelle note difensive autorizzate nonché la violazione dell’art. 111 cod. proc. civ. sotto il medesimo
profilo;

– con il secondo motivo si allega la violazione
dell’art. 111 Cost. per motivazione illogica,
nonché dell’art. 111 cod. proc. civ. sul punto della
sopravvenienza del fatto dedotto a sostegno della domanda, nonché violazione
dell’art. 394, comma 3, cod. proc. civ.;

– con il terzo motivo si allega ancora la violazione
dell’art. 111 Cost. per omessa motivazione in
relazione alla ritenuta inammissibilità della sanatoria di cui all’art. 164 cod. proc. civ. nonché dell’art. 156 cod. proc. civ.;

– con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 111 Cost. per motivazione dubbiosa circa la
ritenuta inammissibilità della domanda proposta nei confronti dei quattro soci
e del liquidatore della società cancellata nonché per omessa motivazione circa
il rigetto della predetta domanda nonché degli artt.
2495 e 110 cod. proc. civ. sul punto;

– il primo, il secondo ed il terzo motivo, che
possono essere valutati congiuntamente per l’intima connessione, oltre ad
essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da rendere
impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure,
denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che
nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti
possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio,
determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare,
sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n.
17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470
del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte
territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza di una domanda ritualmente
proposta nei confronti della Studio V. e Associati s.r.l.;

– va, ancora, premesso che, in seguito alla
riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del
cod. proc. civ., disposto dall’art.
54 co 1, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con
modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134
che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado
per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”,
al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità
rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito
motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato
“in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi
in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale;
motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione
perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del
2017);

– quanto al complesso di doglianze avanzate avverso
la decisione di inammissibilità della domanda proposta nei confronti della
Studio V. e Associati s.r.l., va osservato quanto segue;

– va rilevato, in fatto, come risulti incontestato
che la parte ricorrente, dopo la cancellazione della società parte originaria
del procedimento, in data 22 febbraio 2017, ha notificato alla società Studio
V. e Associati s.r.l. lo stesso ricorso depositato il 29 luglio 2016, ricorso
nel quale la Studio V. e Associati non compare in alcun modo come parte o a
titolo diverso come interessata ai procedimento, essendo enunciato
esclusivamente nella relata di notifica che quest’ultima veniva effettuata nei
confronti di tale società “in qualità di cessionaria della società
cancellata”;

– non sussiste neanche contrasto circa il fatto che
nessuna ragione di tale ultima circostanza fosse indicata nel ricorso
depositato il 29 luglio 2016, (antecedente all’epoca della cancellazione nonché
a quella della asserita cessione d’azienda), né nell’identico ricorso
notificato alla “chiamata in causa” il 22 febbraio 2017;

– parte ricorrente denunzia la violazione di legge
in ordine all’operato del giudice di secondo grado e l’omessa motivazione
rispetto alla richiesta, rimasta non esaudita, di “estendere la domanda
nei confronti delle persone fisiche cui è stato notificato il ricorso” e,
cioè, i quattro soci della società Studio S. V. R. s.r.l. in liquidazione e del
liquidatore, nonché anche nei confronti della Studio V. e Associati s.r.l., in
ordine alla quale vi era stata la richiesta, opposta dal procuratore della
società medesima, di autorizzazione a produrre documentazione a sostegno
dell’assunto di una cessione d’azienda fra le due società, con la connessa richiesta
di poter formulare istanze istruttorie al riguardo;

– va aggiunto che, nelle note autorizzate depositate
il 16 novembre 2017, il procuratore di parte ricorrente aveva enunciato che
l’estensione soggettiva della domanda era stata effettuata “ad abundantiam”
ed aveva modificato le conclusioni del ricorso in riassunzione, chiedendo la
condanna della società Studio V. e Associati s.r.l. che soltanto nella relata
di notifica era stata indicata come cessionaria d’azienda;

– di palmare evidenza la correttezza dell’operato
del giudice territoriale, non potendo configurarsi alcuna rituale domanda nei
confronti di un soggetto del tutto assente nel giudizio e sicuramente non
passibile di essere convenuto in sede di rinvio in difetto di una domanda
formulata ad hoc nei suoi confronti che bene, invece, avrebbe potuto essere
coinvolto con autonoma domanda;

– evidente l’inconferenza delle deduzioni di parte
ricorrente relative alla possibilità per il terzo di essere citato e di
costituirsi in ogni fase del giudizio e correttamente il giudice d’appello ha
evidenziato come in base alla giurisprudenza di questa Corte (fra le tante,
Cass. n. 26437 del 2017) avrebbe ben potuto essere effettuata la chiamata in
giudizio della società, ma non poteva certo ritenersi svolta una rituale
proposizione nei suoi confronti della domanda, domanda del tutto mancante nel
caso di specie;

chiara, altresì, l’assenza assoluta di un rituale
atto di riassunzione nei confronti della società, del tutto manchevole dei
presupposti di cui all’art. 125 cod. proc. civ.
ed evidentemente insuscettibile di qualsivoglia sanatoria (nonché,
conseguentemente, di raggiungimento dello scopo ex art.
156 cod. proc. civ.) atteso che, nella specie, l’originario atto non
toccava in alcun modo la posizione della società asseritamente cessionaria
(indicata come tale, si ripete, solo nella relata di notifica) nonché del
contenuto dello stesso rispetto al quale la Studio V. e Associati s.r.l. era
del tutto estranea;

– anche il quarto motivo di ricorso non può trovare
accoglimento;

– premessa la struttura perplessa, essendo esso
inammissibilmente formulato in modo promiscuo, tale da rendere impossibile
l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, denunciando
violazioni di legge e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte
argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni
poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile
promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass.
n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass.
n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella il motivo sostanza contesta
l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine al difetto di prova
del diritto di credito nei confronti dei soci della società cancellata;

– quanto all’omessa motivazione, va, poi,
preliminarmente rilevato che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
disposto dall’art. 54 co 1, lett.
b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la
conseguenza che, a! di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di
legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del
requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale”
richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed
individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della
Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note
ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del
provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile
contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono
nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4),
c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del
prescritto requisito di validità ( fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020;
Cass. n. 23940 del 2017);

– circa la valutazione della Corte giova rilevare
che non v’è dubbio in ordine alla astratta legittimazione processuale dei soci
della società cancellata nonché in ordine a quanto osservato da parte
ricorrente (peraltro affermato da questa Corte in tema di contenzioso
tributario) e, cioè circa il principio secondo cui, qualora l’estinzione della
società di capitali, all’esito della cancellazione dal registro delle imprese,
intervenga in pendenza del giudizio di cui la stessa sia parte, l’impugnazione
della sentenza resa nei riguardi della società deve provenire o essere
indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci
succeduti alla società estinta in quanto il limite di responsabilità degli
stessi di cui all’art. 2495 c.c. non incide
sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull’interesse ad agire dei
creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla
circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione
finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non
ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono
trasferiti ai soci (sul punto Cass. n. 15035 del
2017; Cass. n. 1446 del 2018; Cass. n. 697 del 2019);

– nondimeno, in termini generali, deve osservarsi
come questa Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 1574 del 2017) conformandosi a
quanto statuito dalle Sezioni Unite, (SU n. 16070
del 2013) abbia affermato che, in tema di effetti della cancellazione di
società di capitali dal registro delle imprese nei confronti dei creditori
sociali insoddisfatti, il disposto dell’art. 2495,
comma 2, c.c. implica che l’obbligazione sociale non si estingue ma si
trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a
seguito della liquidazione, sicché grava sul creditore l’onere della prova
circa la distribuzione dell’attivo sociale e la riscossione di una quota di
esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della
fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del
socio;

– nel caso di specie, la Corte territoriale, nel
rispetto del combinato disposto degli artt. 2495
cod. civ. e 111 cod. proc. civ., con
valutazione sicuramente sintetica, ma, in assenza di qualsivoglia allegazione
di segno contrario, da reputarsi sottratta al sindacato di legittimità, ha
escluso che fossero non solo stati dimostrati ma addirittura allegati elementi
a sostegno della distribuzione di utili in favore dei soci – appunto elemento
della fattispecie costitutiva del diritto azionato nei confronti del socio –
non avendone invece negato, come erroneamente sostenuto da parte ricorrente, la
legittimazione processuale;

– hanno precisato, al riguardo, le Sezioni Unite di
questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo che sono inammissibili,
per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c. p.
c., le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione
nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito
qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza
riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali
indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza
dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta
presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero
ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di
parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità;

– d’altra parte, è consolidato il principio secondo
cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c. p. c., nn. 3, 4 e 6, devono
essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da
altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente
specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando
precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in
giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o
indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale
fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il
contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018);

– nel caso di specie, in assenza di allegazioni di
segno contrario da parte ricorrente circa le proprie deduzioni nel giudizio di
merito, non sottoponibile a rivalutazione deve ritenersi il corollario cui
perviene la Corte che ha negato non solo la prova ma, prima ancora, la stessa
sussistenza di qualsivoglia deduzione di parte ricorrente circa la
responsabilità dei soci, ai quali è stato semplicemente notificato l’originario
ricorso;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso deve essere respinto:

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte controricorrente,
che liquida in euro 5.250,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre
spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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