Qualora venga violato l’obbligo di sicurezza nei luoghi di lavoro, il dipendente può rifiutarsi di svolgere la prestazione.

Nota a Cass. (ord.) 15 ottobre 2021, n. 28353

Maria Novella Bettini

“La violazione dell’obbligo di sicurezza legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., l’altrui inadempimento”.

Questa, l’importante affermazione della Corte di Cassazione (15 ottobre 2021, n. 28353, conf. ad App. Bologna n. 634/2017; v. anche Cass. n. 10553/2013) relativamente al caso di due macchinisti che avevano rifiutato di svolgere la loro prestazione ritenendo che potesse costituire un pericolo per loro stessi e per gli altri.

Al riguardo, la Corte, in linea con la giurisprudenza consolidata, osserva che:

–  ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro è obbligato ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni e, in particolare, è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro;

– qualora il datore di lavoro violi l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., è legittimo, a fronte di tale inadempimento, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando il diritto alla retribuzione. Non possono infatti ricadere sul dipendente conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta datoriale inadempiente (v. Cass. n. 6631/2015);

– al fine di garantire l’effettività della tutela in ambito civile (oltre alla possibilità di azioni volte all’adempimento dell’obbligo di sicurezza o alla cessazione del comportamento lesivo, ovvero a riparare il danno subito) è legittimamente esperibile l’esercizio del potere di autotutela contrattuale rappresentato dall’eccezione di inadempimento, con il rifiuto dell’esecuzione di una prestazione in ambiente nocivo soggetto al dominio dell’imprenditore (v. Cass. n. 836/2016);

– è onere del datore di lavoro (ai fini del superamento della presunzione di cui all’art. 1218 c.c.), “dimostrare di aver rispettato le norme specificamente stabilite in relazione all’attività svolta e di avere adottato tutte le misure che, in considerazione della peculiarità dell’attività e tenuto conto dello stato della tecnica, siano necessarie per tutelare l’integrità del lavoratore” (v., fra tante, Cass. n. 14468/2017, in q. sito con nota di A. TAGLIAMONTE);

– lo stesso ccnl (Attività Ferroviarie 16 aprile 2003 – art. 51, lett. h)) prevede che il lavoratore, anche quando gli sia rinnovato per iscritto un ordine attinente alla esplicazione delle proprie funzioni o mansioni, “non deve comunque” eseguirlo “quando la sua esecuzione possa comportare la violazione di norme penalmente sanzionate”;

– in base a tale contratto collettivo, “il lavoratore assume la titolarità di una posizione di garanzia (la quale può derivare anche da una fonte di natura privatistica e pure da una mera situazione di fatto: Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 2019, n. 24372)” e cioè la titolarità di una posizione rilevante ai sensi dell’art. 40, co. 2, c. p., secondo cui “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”;

– va dunque esclusa la configurabilità di un illecito disciplinare nell’ipotesi in esame, “sul rilievo di una responsabilità penale del macchinista, per l’evento lesivo eventualmente occorso in una situazione di fatto caratterizzata da pericolo per la sicurezza dei trasporti e l’incolumità di terzi, derivante dall’avere ottemperato ad una direttiva (conduzione del treno con il modulo Agente Solo) che lo stesso contratto collettivo gli consentiva di non osservare”.

Rifiuto della prestazione pericolosa
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