Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 ottobre 2021, n. 27250

Lavoro domestico, Riconoscimento di una qualifica superiore a
quella di inquadramento formale, Differenze retributive

 

Rilevato che

 

1. La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza del
12.12.2019, ha accolto parzialmente il gravame interposto da C.E. U., nei
confronti di T. S. e, in parziale riforma della sentenza del primo giudice, ha
condannato quest’ultima al pagamento, in favore della U., della somma di Euro
8.212,81, oltre accessori, a titolo di differenze retributive per le
prestazioni di lavoro domestico rese dall’1.8.2012 al 15.1.2014, con
riferimento all’inquadramento spettante nel livello BS del CCNL Lavoro
domestico per l’attività di assistenza a persona anziana autosufficiente e per
le attività connesse alle esigenze di pulizia della casa e del vitto svolte per
il nucleo familiare dell’appellata presso cui viveva l’assistita.

2. I giudici di secondo grado, per quanto ancora di
rilievo in questa sede, hanno osservato che <<costituisce giurisprudenza
pacifica sul punto quella per cui “In materia di mansioni del lavoratore,
qualora sia richiesto in giudizio il riconoscimento di una determinata
qualifica, superiore a quella di inquadramento formale, il giudice – senza con
ciò incorrere nel vizio di ultrapetizione – può riconoscere l’inquadramento in
una qualifica intermedia tra quella richiesta dal lavoratore e quella
attribuita dal datore di lavoro purché il lavoratore prospetti adeguatamente
gli elementi di fatto relativi allo svolgimento di mansioni della qualifica
intermedia (cfr. Cass. n. 22872/2013)».

3. Per la cassazione della sentenza T. S. ha
proposto ricorso affidato a due motivi; C. E. U. non ha svolto attività
difensiva.

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle
parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’art. 380-bis del codice di rito.

 

Considerato che

 

5. Con il primo motivo di ricorso si censura la
«violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, in relazione
all’art. 116 c.p.c. in riferimento alla valutazione delle prove testimoniali,
difetto di motivazione quale requisito essenziale del provvedimento
giurisdizionale, motivazione apparente, manifesta ed irriducibile
contraddittorietà, motivazione perplessa ed incomprensibile», per avere la
Corte territoriale riformato la sentenza di primo grado sul presupposto che
l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della S. fosse priva di
fondamento e per avere, conseguentemente, «ricondotto il rapporto di lavoro in
capo alla esponente anche per il periodo 1.7.12/17.12.12, dopo avere ritenuto
pienamente attendibili i testi C. B., ed i figli G. e D., circostanza che il
Tribunale di Teramo aveva invece escluso».

6. Con il secondo motivo si denunzia la «violazione
e falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, in relazione agli artt.
1388, 1389 e 2094 c.c., dell’art. 1 della I. n. 339/58, dell’art. 4 del D.P.R.
n. 223/89, dell’art. 10 del CCNL Colf e Badanti, nonché contraddittoria
motivazione in riferimento all’eccepito difetto di legittimazione passiva della
attuale ricorrente».

7. I due motivi sono entrambi inammissibili sotto
diversi e concorrenti profili: il primo per la formulazione non più consona con
le modifiche introdotte al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. dall’art.
54, comma 1, lett. b), del D.I. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni,
nella I. n. 134 del 2012, applicabile, ratione temporis, al caso di specie,
poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata il
12.12.2019. Ed invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte
(con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un
verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto
attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal
testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali (tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi
sotto l’aspetto materiale e grafico», nella <<motivazione apparente», nel
«contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di «sufficienza» della motivazione); per l’altro verso, è stato
introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale
a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia). Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è
stata depositata, come riferito in narrativa, in data 12.12.2019, nella
fattispecie si applica, come innanzi anticipato, ratione temporis, il nuovo
testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera
b), del D.I. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella I. n. 134 del
2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per
cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso
che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (v. Cass. n.
21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di
discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare;
né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni
Unite, ad un vizio della sentenza «così radicale da comportare» in linea con
«quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per
mancanza di motivazione». E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la
riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza,
rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del
percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n.
25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con
argomentazioni logico-giuridiche congrue poste a fondamento della decisione
impugnata.

Inoltre, il primo motivo tende, all’evidenza, ad una
rivalutazione del merito attraverso una nuova valutazione delle prove, non
consentita in questa sede (Cass. nn. 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009).

8. Il secondo mezzo di impugnazione, in particolare,
solleva diverse censure senza il rispetto del canone della specificità del
motivo, che determina, nella parte argomentativa dello stesso, la difficoltà di
scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio e, dunque, di
effettuare puntualmente l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle
censure (cfr., tra le molte, Cass. nn. 21239/2015, 7394/2010, 20355/2008,
9470/2008).

Peraltro, nel secondo motivo, alcune delle
violazioni lamentate attengono all’esegesi dell’art. 10 del CCNL Colf e
Badanti, che non è stato prodotto (e neppure indicato nell’elenco dei documenti
offerti in comunicazione unitamente al ricorso per cassazione), né trascritto
per intero, in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte,
che definisce quale onere della parte ricorrente (arg. ex art. 366, primo
comma, n. 6, del codice di rito) quello di indicare lo specifico atto
precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di
legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni
prima di esaminare il merito della questione (v., ex plurimis, Cass. n.
14541/2014). Il ricorso di legittimità deve, infatti, contenere tutti gli
elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione
della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di
tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso
e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di
merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per
la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la
veridicità delle doglianze svolte, al riguardo, dalla ricorrente.

8. Per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso
va dichiarato inammissibile.

9. Nulla va disposto in ordine alle spese del
giudizio di legittimità, poiché C. E. U. è rimasta intimata.

10. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art.
1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, secondo quanto specificato in
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
– bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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