Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2021, n. 31740

INPS, Diritto al rimborso dell’imposta indebita,
Accertamento, Termine decadenziale

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 8611 del
2014, ha accolto l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di G.P. ed
altri consorti (avvocati già appartenenti al ruolo professionale legale e
cessati dal servizio nel 1994) avverso la sentenza di primo grado che aveva
accolto la domanda di questi ultimi volta all’accertamento del proprio diritto
a restituire all’istituto previdenziale somme relative a riliquidazione
dell’indennità di buonuscita indebitamente ricevute, per effetto di sentenze
poi riformate, al netto e non al lordo;

ad avviso della Corte territoriale doveva farsi applicazione
del principio espresso da Cassazione n. 8606 del 1996 e n. 1140 del 2001,
secondo il quale il diritto al rimborso dell’imposta che si assume indebita,
riscossa in tutto o in parte mediante ritenuta alla fonte, spetta in prima
istanza al sostituito, il quale, ai fini della ripetizione della stessa deve
fornire la prova di aver subito detta ritenuta, senza dovere altresì dimostrare
che l’imposta è stata effettivamente incassata dall’erario, né trova
applicazione in tali casi il termine decadenziale fissato dall’art. 38 d.P.R. n. 602/1973;

per la cassazione di tale sentenza ricorre G. P.
sulla base di un motivo illustrato da successiva memoria;

resiste l’INPS controricorso;

R.M.G. e S.C., quali eredi di A.C., A.A., S.C., V.L.
e G.M., quale erede di M.T.R., litisconsorti del ricorrente nei gradi di
merito, sono rimasti intimati;

 

Considerato che

 

con l’unico motivo di ricorso si denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c.,
posto che solo gli elementi retributivi rientranti nella disponibilità
patrimoniale dei dipendenti e dei pensionati avrebbero potuto essere
restituiti;

il motivo è fondato;

questa Corte di cassazione ha affermato più volte
(vd. Cass. n. 13530 del 2019; Cass. n. 3836
del 2021) che in caso di retribuzioni erogate indebitamente al lavoratore
dipendente il datore di lavoro ha diritto a ripetere soltanto quanto
quest’ultimo abbia effettivamente percepito e non già importi al lordo di
ritenute fiscali e previdenziali mai entrate nella sfera patrimoniale del
dipendente;

le ritenute fiscali, in particolare, ricadono nel
raggio di azione dell’art. 38,
comma 1, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 secondo cui il diritto ai
rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via
principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di
errore materiale e di duplicazione ma anche in quelle di inesistenza totale o
parziale dell’obbligo;

le ritenute previdenziali di cui non si discute
nella presente fattispecie, del pari, vedono il datore di lavoro quale unico
obbligato al versamento dei contributi all’ente previdenziale anche per la
quota a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 19 I. 4 aprile 1952, n. 218,
di modo che spetta solo a lui la legittimazione a richiedere la ripetizione in
caso di indebito versamento (in tal senso Cass. n. 21196 del 2020);

non è dubitabile, peraltro, che la richiamata
disciplina si renda applicabile anche nel caso in cui l’indebito sia
conseguenza di una pronuncia giurisdizionale dal momento che anche in tal caso
si deve ritenere ravvisabile un’ipotesi di inesistenza totale o parziale
dell’obbligo;

neppure può dirsi che questo assetto, che vede
legittimato in via principale alla condíctio indebiti il soggetto che ha
effettuato il versamento, si presta a revisioni alla luce dell’art. 10, comma 1, lett. d-bis), d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917 che abilita il contribuente a portare in deduzione
del carico imponibile le somme restituite al soggetto erogatore poiché la norma
non investe il profilo della legittimazione all’azione di indebito, ma
rappresenta solo una facoltà accordata al contribuente in ragione della quale
non è consentito interpretarne il disposto in modo incoerente rispetto al
principio secondo cui il solvens non può ripetere dall’accipiens più di quanto
quest’ultimo abbia effettivamente percepito (Cass.
n. 19735 del 2018);

è pertanto errata la contraria affermazione operata
dalla Corte d’appello che ha ritenuto invece ripetibile la somma imputata all’odierno
ricorrente nell’intero, al lordo, cioè, delle ritenute fiscali operate alla
fonte e versate all’erario;

in definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza
impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa
va decisa nel merito ai sensi dell’art. 384,
secondo comma, c.p.c. dichiarando non tenuto il ricorrente alla
restituzione, nei confronti dell’INPS, anche delle somme trattenute a titolo di
acconto IRPEF sulle eccedenze erogate in esecuzione della sentenza del TAR
Lazio e direttamente versate dall’INPS all’erario negli anni 1999- 2000; le
spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità seguono la soccombenza
nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, dichiara non dovute dal ricorrente le somme versate
dall’INPS all’erario negli anni 1999 e 2000; condanna l’INPS al pagamento delle
spese di tutti gradi del giudizio che liquida: quanto al primo grado, in euro
2500,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella
misura del 15% ed accessori di legge; quanto al grado d’appello, in euro
2500,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella
misura del 15% ed accessori di legge; quanto al giudizio di legittimità, in
euro 4000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie
nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, a
carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso ex art. 13, comma 1 bis.

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