Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 novembre 2021, n. 31204

Licenziamento per giusta causa, Natura discriminatoria e
ritorsiva, Rifiuto opposto dal lavoratore alla partecipazione ad un corso
obbligatorio di formazione, Località ad oltre cento chilometri dal luogo
abituale di prestazione dell’attività,Esiguità del termine di preavviso

 

Fatto

 

1. Con sentenza 24 dicembre 2018, la Corte d’appello
di Genova rigettava la domanda di J.M. di accertamento della natura
discriminatoria e ritorsiva del licenziamento intimatogli per giusta causa il
13 ottobre 2015 da E. s.p.a. e condannava la società datrice al pagamento in
suo favore di un’indennità risarcitoria commisurata a dodici mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari a € 2.301,78, oltre accessori
di legge e il lavoratore alla restituzione di quanto percepito, oltre interessi
dalla data del pagamento, in esecuzione della sentenza di primo grado: così
riformandola, limitatamente all’accertamento della natura discriminatoria e
ritorsiva del licenziamento e alla condanna della società al pagamento
dell’indennità risarcitoria dalla risoluzione del rapporto all’effettiva
reintegrazione nel posto di lavoro, ferma la sua condanna ad essa.

2. A motivo della decisione, la Corte ligure
riteneva: a) giustificato il rifiuto opposto dal lavoratore alla partecipazione
ad un corso obbligatorio di formazione, per l’esiguità del termine di preavviso
(meno di due giorni), a fronte di un evento in orario diverso da quello
ordinario e in una località ad oltre cento chilometri dal luogo abituale di
prestazione dell’attività lavorativa; b) consentita al lavoratore la
registrazione della conversazione in presenza con il superiore gerarchico, in
quanto finalizzata alla tutela giurisdizionale dei propri diritti, a fronte di
una verosimile contestazione disciplinare per il suo rifiuto di partecipazione
al suddetto corso obbligatorio; c) priva dell’elemento soggettivo la sua
dichiarazione al medico, che poi la certificava, di essere stato aggredito, nel
medesimo contesto della registrazione, dal superiore, il quale, infilandogli la
mano nel taschino del camice da lavoro per sottrargli il dispositivo, ne aveva
effettivamente invaso la sfera personale: pertanto non falsa, ma esagerata,
secondo la sua percezione.

3. Essa escludeva invece, in difetto dei rispettivi
presupposti, la natura discriminatoria (per la diversità delle condotte tenute
dal lavoratore e dal superiore, giustificante una differente reazione
datoriale, sanzionatoria solo nei confronti del primo), né ritorsiva (per
l’ampio intervallo temporale, di quasi tre anni, tra il comportamento che
avrebbe determinato detta reazione e la sanzione espulsiva) del licenziamento
intimato.

4. Sicché, ritenuto illegittimo il licenziamento per
insussistenza del fatto contestato, la Corte territoriale, invariata la tutela
reintegratoria, applicava quella indennitaria nella misura prevista dal quarto
comma, in luogo di quella del primo comma dell’art. 18 I. 300/1970, come
novellato dalla I. 92/2012.

5. Con atto notificato il 15 gennaio 2019, la
società ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui il lavoratore
resisteva con controricorso.

6. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma
dell’art. 23, comma 8bis d.l.
137/20 inserito da I. conv. 176/20, nel
senso del rigetto del ricorso.

7. Entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi
dell’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2697
c.c., 115, 116
c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto l’esistenza di una prassi
aziendale di congruo preavviso (non di soli due giorni, come nel caso di
specie) ai dipendenti convocati per un corso di formazione obbligatorio (cui
peraltro avevano partecipato, senza nulla opporre, altri tredici dipendenti
analogamente avvisati), in assenza di alcuna norma contrattuale, né prova di
una prassi aziendale in tale senso: neppure ricavabile dalle dichiarazioni del
teste B. (apoditticamente ritenute “in sé e per sé credibili”, senza
una prudente valutazione di attendibilità, nonostante la sua qualità di membro
della stessa RSU di J.M. e i suoi plurimi contenziosi con la società datrice),
a giustificazione del rifiuto del lavoratore, integrante grave insubordinazione
rispetto a tre ordini datoriali in tale senso.

2. Con il secondo, essa deduce omesso esame circa un
fatto oggetto di discussione tra le parti, per totale assenza di motivazione a
giustificazione dell’individuazione delle fonti di prova a base della decisione
(per la sola testimonianza di B., con esclusione di altre, senza altri
riscontri oggettivi).

3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,
1375, 1340, 2104, 2105, 2119 c.c., 18, quarto comma I. 300/1970,
24 d.lg. 196/2003, 167, 220, 225 CCNL per dipendenti di aziende
del terziario di distribuzione e servizi del 18 luglio 2008, per: a)
apodittica affermazione (quanto al primo addebito di insubordinazione, anche
alla luce delle richiamate previsioni degli artt. 20, lett. h, 36, 37 e 59, primo comma d.lg. 81/2008)
di incongruità del preavviso dato al lavoratore di obbligatoria partecipazione
al corso di formazione: in assenza di riferimento ad alcun canone legale, in
particolare di buona fede e correttezza, al contrario osservato dalla datrice
per la comunicazione di un preavviso, cui non tenuta, in mancanza di una
specifica previsione, neppure ricavabile dal CCNL (prodotto per estratto) per
istituti analoghi, quali l’invio in missione o la trasferta; b) erronea
esclusione (quanto al secondo addebito) della violazione del diritto alla
riservatezza dei colleghi, con la registrazione della conversazione in presenza
senza il loro consenso, non scriminata dalla tutela giurisdizionale di un
diritto del lavoratore, in assenza della sua attualità; c) integrazione delle
false dichiarazioni rese dal lavoratore al medico, che poi le aveva
certificate, di essere stato aggredito dal superiore gerarchico, erroneamente
esclusa dalla Corte territoriale, che pure le riteneva non veritiere anche se
non assistite dall’elemento soggettivo, secondo la percezione del primo, aliena
dall’intenzione di una falsa accusa di aggressione: avendo tuttavia il
lavoratore consapevolmente deliberato di rendere la dichiarazione, contraria al
vero, di averla subita, così versando in una condizione di dolo generico,
coerente con l’addebito (terzo) contestato.

4. Con il quarto motivo, essa deduce omesso esame
circa un fatto oggetto di discussione tra le parti, in riferimento:
all’inosservanza dal lavoratore di ben tre ordini, e non di uno soltanto, di
partecipazione al corso di formazione (quanto al primo addebito); alla presenza
all’incontro con il superiore gerarchico voluta dal lavoratore, accanto a sé
come testimone, di un collega, così da non rendere necessaria la registrazione
della conversazione in funzione della precostituzione di prove per la tutela di
diritti (quanto al secondo); alla denuncia-querela del lavoratore, dopo il
licenziamento, contro il superiore gerarchico per l’aggressione, sintomatica
della sua piena consapevolezza della falsità della dichiarazione di aggressione
resa (quanto al terzo).

5. Tutti i motivi sono congiuntamente esaminabili,
per la loro stretta connessione e in parte inammissibili, in parte infondati.

6. Per una più organica e ordinata trattazione, pare
opportuno procedere nel distinto riferimento delle censure illustrate ad ogni
addebito.

7. E così, in relazione al primo (ingiustificato
rifiuto di partecipazione del lavoratore a corso obbligatorio di formazione,
integrante insubordinazione grave), giova premettere che la reiterazione
costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro
nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell’uso
aziendale. Ed esso, in ragione della sua appartenenza al novero delle
cosiddette fonti sociali (le quali, pur non costituendo espressione di funzione
pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a
conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla
collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda), agisce sul piano dei
singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un
contratto collettivo aziendale (Cass. s.u. 13
dicembre 2007, n. 26107; Cass. 28 luglio 2009, n. 17481; Cass. 25 marzo 2013, n. 7395).

7.1. Ebbene, la Corte territoriale ha accertato in
fatto l’esistenza di una prassi aziendale di congruo preavviso ai lavoratori,
nel convocarli per partecipare ai corsi di formazione, in particolare sulla
base delle dichiarazioni non soltanto del teste B., ma anche del teste C. (dal
terzultimo alinea di pg. 13 al quattordicesimo di pg. 14 della sentenza):
prassi che nel caso di specie non è stata rispettata. Sicché, l’accertamento
del giudice del merito è stato congruamente argomentato (per le ragioni esposte
dal penultimo capoverso di pg. 12 al primo di pg. 16 della sentenza) ed è
pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass.
3 giugno 2004, n. 10591; Cass. 11 luglio 2007,
n. 15489).

7.2. Al di là della non appropriata denuncia (con il
secondo motivo), formalmente rubricata alla stregua di omesso esame di un
fatto, in realtà di assenza di motivazione (da denunciare piuttosto, alla luce
della novellazione dell’art. 360, primo comma, n. 5
c.p.c., se ritenuta al di sotto del “minimo costituzionale”, come
error in procedendo, quale nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.: Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12
ottobre 2017, n. 23940), un tale vizio, che ricorre qualora non sia possibile
individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale
alla sua comprensione (Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 12 settembre 2018, n. 22192; Cass. 15
novembre 2019, n. 29721), non sussiste nel caso di specie, avendo la Corte
territoriale reso congruo e argomentato conto (per le ragioni indicate per
relationem nello scrutinio dei precedenti mezzi, in riferimento al primo
addebito) della formazione del proprio convincimento decisorio.

7.3. Quanto poi all’omesso esame denunciato con il
quarto motivo (di inosservanza dal lavoratore di tre ordini, e non di uno
soltanto, di partecipazione al corso di formazione), al di là della sua non
decisività per inidoneità a determinare un esito diverso della controversia
(Cass. 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass. 25 giugno 2018, n. 16703), in quanto già
ritenuto giustificato il rifiuto del lavoratore, la circostanza è stata pure
esaminata, essendo stati i tre ordini riportati nella trascrizione della
contestazione disciplinare (dal penultimo capoverso di pg. 11 al primo di pg.
12 della sentenza).

7.4. In esito alle superiori argomentazioni, deve
così ritenersi assorbita ogni altra questione, in particolare relativa al punto
sub a) del terzo motivo, sull’addebito in esame.

8. In ordine al secondo addebito (violazione del
diritto alla riservatezza dei colleghi, con la registrazione della
conversazione in presenza senza il loro consenso), questa Corte ha già
affermato che la registrazione di conversazioni tra presenti all’insaputa dei
conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza, con
conseguente legittimità del licenziamento intimato (Cass.
21 novembre 2013, n. 26143; Cass. 8 agosto
2016, n. 16629; Cass. 16 maggio 2018, n. 11999).

8.1. Tuttavia, l’art. 24 d.lg. 196/2003 permette di
prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur
non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia
necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano
trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente
necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612); sicché,
l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i
colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in
ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze
della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto
dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei
dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei
diritti in giudizio: con la conseguenza della legittimità (id. est: inidoneità
all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che
abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione
all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la
stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle
necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11322). Al riguardo,
questa Corte ha esplicitamente affermato che “il diritto di difesa non è
limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle
attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la
controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. Non
a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente
garantito dall’art. 24 Cost. sussiste anche in
capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento …
Dunque, neppure tale addebito può integrare illecito disciplinare, rispondendo
la condotta in discorso alle necessità conseguenti al legittimo esercizio d’un
diritto e, quindi, essendo coperta dall’efficacia scriminante dell’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento
e non già limitata al mero ambito penalistico” (Cass. 29 dicembre 2014, n.
27424).

8.2. Si tratta evidentemente di un profilo
estremamente delicato, che esige un attento ed equilibrato bilanciamento tra la
tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale,
sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni,
da una parte e del diritto alla difesa, dall’altra.

Ed esso si deve fondare su una valutazione rigorosa
del requisito di pertinenza, nella prospettiva di una diretta e necessaria
strumentalità, della registrazione all’apprestamento della finalità difensiva
nell’orizzonte sopra illustrato, all’interno di una scrupolosa
contestualizzazione della vicenda. Ciò che ha fatto, in applicazione del
suenunciato principio di diritto, la Corte d’appello nel caso di specie, avendo
accertato in fatto, con argomentazione congrua, che il colloquio registrato
“tra il C. e il M. riguardava il rifiuto di quest’ultimo di partecipare al
corso del 5 ottobre e nell’ambito di tale colloquio il M. intendeva esplicitare
le ragioni per cui non poteva parteciparvi… il che esclude che la
registrazione in questione abbia riguardato un momento di normale relazionalità
gerarchica tra dipendenti… Considerato poi che la mancata partecipazione al
corso senza alcun preavviso e senza alcuna giustificazione o autorizzazione a
non parteciparvi, ben poteva comportare una contestazione disciplinare, stante
l’obbligatorietà di detto corso, è indubbio che il M. aveva necessità di poter
documentare il contenuto del colloquio” (così al secondo e al terzo
capoverso di pg. 22 della sentenza): sicché, le ragioni appena riportate e
quelle ulteriori (ancora al terzo capoverso di pg. 22 fino al nono alinea di
pg. 23 della sentenza) rendono l’accertamento in fatto insindacabile nell’odierna
sede di legittimità.

9. Quanto infine al terzo addebito (false
dichiarazioni del lavoratore al medico, che poi le aveva certificate, di essere
stato aggredito dal superiore gerarchico), giova ribadire che la giusta causa
di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche
provvisoria, del rapporto”, è nozione che la legge (allo scopo di un
adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo)
configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette
clausole generali) di limitato contenuto, delincante un modulo generico che
richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la
valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di
principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. E che tali
specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica, sicché la loro
disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge,
mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio,
degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e
così pure della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di
licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al
giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o
giuridici (Cass. 29 aprile 2004, n. 8254; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 10 luglio 2018, n. 18170; Cass. 6 settembre
2019, n. 22358).

9.1. In particolare, la gravità di una mancanza
commessa dal lavoratore deve essere valutata, ai fini disciplinari, non solo
nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, con
riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata compiuta,
ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico
dell’agente (Cass. 28 ottobre 2000, n. 14257; Cass. 15 febbraio 2008, n. 3865).

9.2. Pertanto, l’accertamento della gravità delle
infrazioni poste a base di un licenziamento, in quanto necessariamente mediata
dalla valutazione delle risultanze di causa, si risolve in un giudizio di
fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità
in termini di violazione di legge, se non con la specifica denuncia di un
contrasto tra il giudizio in tal senso espresso dal giudice di merito (di
gravità, appunto) e i principi dell’ordinamento quali delineati dalla
giurisdizione di legittimità o gli standard valutativi esistenti nella realtà
sociale che concorrono, con i principi medesimi, a comporre il diritto vivente
(Cass. 10 dicembre 2007, n. 25743; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4369; Cass. 4 febbraio 2020, n. 2515).

9.3. E la Corte ligure ha anche qui condotto un
accertamento in fatto, in corretta applicazione dei principi di diritto
consolidati nell’insegnamento giurisprudenziale di questa Corte, congruamente
argomentato (dal primo capoverso di pg. 24 al primo di pg. 26 della sentenza),
pertanto insindacabile in sede di legittimità.

10. Per le ragioni sopra illustrate, il ricorso deve
essere allora rigettato, con la statuizione sulle spese, con distrazione in favore
del difensore antistatario, secondo la sua richiesta, secondo il regime di
soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella
ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass.
s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società alla
rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per compensi professionali,
oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di
legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 novembre 2021, n. 31204
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