Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2021, n. 31583

Rapporto di lavoro, Lesione permanente dell’integrità
psicofisica, Risarcimento dei danni non patrimoniali, Quantificazione

 

Rilevato che

 

1. M.J.E. ha agito in giudizio nei confronti di
C.S.C. and S.I. N.V. e di C.C. s.p.a. per ottenere il risarcimento dei danni
non patrimoniali subiti a causa del naufragio della Motonave C.C. su cui era
stato imbarcato come cameriere di sala.

2. Il Tribunale di Genova ha accolto la domanda e
condannato le società convenute, in solido, al risarcimento del danno non
patrimoniale correlato alla lesione permanente dell’integrità psicofisica nella
misura del 4% e ad una inabilità temporanea (totale per 10 giorni, parziale
nella misura del 50% per 40 giorni e nella misura del 25% per 60 giorni), con
aumento massimo a titolo di personalizzazione.

3. La Corte d’appello di Genova, per quanto ancora
rileva, ha respinto l’appello del lavoratore rilevando che “della
innegabile gravità e drammaticità del fatto e della sofferenza che lo stesso ha
senza dubbio causato per il ricorrente, come per tutti gli altri soggetti
coinvolti nel drammatico naufragio, il tribunale abbia già tenuto conto in sede
di liquidazione del danno biologico concedendo al ricorrente la massima
personalizzazione prevista dalle tabelle predisposte dal tribunale di
Milano”. Ha rilevato come il riferimento alla lesione del “diritto
alla libertà e al diritto alla dignità”, peraltro formulato solo nel
ricorso in appello, fosse “troppo generico per fondare il diritto ad un
ulteriore e autonomo …risarcimento del danno non patrimoniale”.

4. Avverso tale sentenza, M.J.E. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a sei motivi. La C.S.C. and S.I. N.V. e la C.C. s.p.a.
hanno resistito con separati controricorsi.

5. Tutte le parti hanno depositato memoria, ai sensi
dell’art. ai sensi dell’art. 380
bis.1. cod. proc. civ..

 

Considerato che

 

6. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli articoli 2056, 1226, 1223 cod. civ. per avere la Corte di
merito ritenuto che la “massima personalizzazione prevista dalle tabelle
predisposte dal Tribunale di Milano” consentisse di tener conto della
“innegabile drammaticità e gravità del fatto” per cui è causa nonché
della “sofferenza che lo stesso ha senza dubbio causato”, senza
considerare che il ricorrente è stato coinvolto “in un evento catastrofale
temendo per diverse ore per la propria sopravvivenza” e che il Tribunale
penale di Grosseto, con sentenza n. 115 del 2015, e la Corte d’appello, con
decisione confermata in cassazione, hanno attribuito a tutte le vittime del
naufragio costituite parti civili una provvisionale a titolo di danno non
patrimoniale pari ad almeno 30.000,00 – 50.000,00 €.

7. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli articoli 2059, 2056, 1226 e 1223 cod. civ., per avere la
Corte di merito liquidato il danno morale in misura di soli euro 2.584,00,
corrispondenti al 50% del risarcimento per l’inabilità permanente accertata, in
quanto somma irrisoria e, comunque, non correlata all’effettiva natura o entità
del danno e inidonea a soddisfare il requisito di integralità del risarcimento,
tenuto conto della peculiare drammaticità della vicenda causativa del danno, un
naufragio nel corso del quale il ricorrente ha “dovuto trascorrere ore
nella consapevolezza della propria imminente fine, lottando al fine di mettere
in salvo sé e altri passeggeri a lui affidati”.

8. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata, ai
sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli articoli 2059 cod. civ., 185 cod. pen. e 2087 cod. civ., per
avere la sentenza impugnata limitato il risarcimento del danno non patrimoniale
al pregiudizio alla salute, senza includere l’ulteriore danno subito dal
ricorrente per essere stato vittima di un grave reato e per aver subito una
compromissione dei propri diritti inviolabili della persona di cui agli artt. 2
e 4 Cost., ulteriori rispetto al diritto alla salute. Si ribadisce lo specifico
ed autonomo rilievo del danno morale, nell’ambito della categoria del danno non
patrimoniale, anche là dove la sofferenza interiore non degeneri in danno
biologico.

9. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia
nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’articolo 360, comma
1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli
articoli 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. per motivazione
carente, illogica e meramente apparente. Si censura la sentenza impugnata
perché, da un lato, afferma che il danno morale è stato liquidato tenendo conto
anche della sofferenza patita a seguito del naufragio e dall’altro ancora
l’entità del risarcimento alla gravità delle lesioni personali subite dal
ricorrente; inoltre, per non avere la Corte di merito, in presenza di un danno
diverso da quello alla salute, fornito adeguata motivazione della decisione di
ritenere consona ed integralmente satisfattiva la liquidazione effettuata in
base alle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano.

10. Con il quinto motivo è dedotto error in
procedendo per violazione degli articoli 414 e 437 cod. proc. civ. nonché degli
articoli 112 e 115 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito negato il
diritto al risarcimento per la sofferenza causata dalla drammatica vicenda
oggetto di causa, sull’erroneo presupposto che il riferimento alla lesione
della libertà e dignità personale sarebbe stato formulato solo in appello;
inoltre, sul rilievo che le deduzioni svolte nel giudizio di primo grado
sarebbero state troppo generiche per fondare il diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale di cui si tratta. Si assume che la Corte d’appello abbia
erroneamente interpretato le domande del ricorrente e che questi, nel ricorso
introduttivo di primo grado, aveva richiesto la condanna delle società
convenute al risarcimento dei “danni alla salute”, del “danno
morale ed esistenziale” legati alle patologie fisiche e psichiche
riportate a causa del naufragio, ed anche del “danno morale collegato
all’esperienza vissuta durante il naufragio e alle conseguenze che ne sono
derivate, quantificato in via equitativa dal giudice…”; ha aggiunto di
avere puntualmente allegato nel ricorso introduttivo del giudizio i fatti
rilevanti ai fini del richiesto danno non patrimoniale, che ha ritrascritto nel
ricorso per cassazione.

11. Con il sesto motivo di ricorso è dedotta, ai
sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa
applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 cod. civ. nonché degli articoli
115 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito rigettato la domanda
risarcitoria perché troppo generica per fondare il diritto ad una ulteriore,
autonoma voce di danno non patrimoniale. Si rileva come il ricorrente avesse
assolto agli oneri probatori sul medesimo gravanti anche in ragione dell’essere
i fatti relativi al naufragio notori, comunque non contestati dalle controparti
e risultanti dagli atti del procedimento penale e dalle relative sentenze,
ritualmente prodotti.

12. I motivi di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente in quanto essi investono, sia pure da diversi punti di vista, la
statuizione dei giudici di merito sulle componenti del danno non patrimoniale
riconosciuto e sulla relativa liquidazione.

13. Le Sezioni Unite di questa Corte, con le
sentenze nn. 26972 e 26975 dell’11.11.2008, hanno posto in rilievo il carattere
unitario del danno non patrimoniale, quale categoria giuridica distinta da
quella del danno patrimoniale, incasellando in essa, al fine di evitare
duplicazioni risarcitorie, tutte le diverse “voci” elaborate dalla
dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla
vita di relazione, ecc.) che non richiedono uno specifico ed autonomo statuto
risarcitorio (inteso come metolodogia dei criteri liquidatori per equivalente),
ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del
risarcimento al caso specifico, attraverso il meccanismo della cd.
personalizzazione.

15. Si è affermato che, in tema di liquidazione del
danno non patrimoniale, ai fini della c.d. “personalizzazione” del
danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i
meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono
ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie”
inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente
subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente
conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie
obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale,

specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso
sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze
“ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione
forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime
distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di
vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati
alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla
valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare
obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento…meritevoli di tradursi in
una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in
termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette
peculiarità (v. Cass. n. 21939 del 2017; n. 27482 del 2018; n. 10912 del 2018;
n. 2788 del 2019).

14. Riguardo al danno morale soggettivo, si è
affermato che esso costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale,
ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato,
ontologicamente distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti
dinamico relazionali, con la conseguenza che va risarcito autonomamente, ove
provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione (v. Cass. n. 24075 del
2017; n. 901 del 2018).

15. E’ compito del giudice di merito, una volta identificata
la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, “rigorosamente
valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d.
danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus con la vita
quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da
intendersi quale danno dinamicorelazionale), atteso che oggetto
dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce
dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del
recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati
dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) –
è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente
protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in
concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e,
perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i
mezzi di prova normativamente previsti” (Cass. n. 901 del 2018 cit.; v.
anche Cass. n. 23469 del 2018; n. 11851 del 2015).

16. Su questa linea, si è escluso che costituisca
duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una
ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno
fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla
determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente,
rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore
dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne
deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non
aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata
valutazione e liquidazione (v. Cass. n. 7513 del 2018; n. 4878 del 2019).

17. Poste tali premesse, deve ritenersi, in
relazione al caso di specie, che la Corte di merito si sia attenuta ai principi
appena richiamati avendo riconosciuto all’attuale ricorrente, oltre al danno
biologico, una somma specificamente destinata a compensare il “paterna
d’animo” dal medesimo sofferto in occasione e in conseguenza del
pericoloso incidente in cui era stato coinvolto.

18. La sentenza impugnata ha dato atto della lieve
entità del danno biologico riportato dall’appellante, ampiamente risarcito
attraverso l’importo standard previsto dalle Tabelle milanesi in relazione
all’età della persona e alla percentuale (4%) di menomazione dell’integrità
psicofisica accertata (“non risultano sussistere particolari conseguenze dannose
dalla lesione alla spalla, che costituisce l’unico danno oggettivamente
apprezzabile da lui subito… .sufficientemente risarcito con l’applicazione
dell’importo base previsto dalle predette tabelle”, pag. 5 della sentenza)
ed ha spiegato che l’ulteriore somma riconosciuta al predetto fosse da imputare
interamente alla componente di danno morale soggettivo, quale paterna d’animo,
cioè turbamento psichico transeunte legato alla “innegabile gravità e
drammaticità del fatto e della sofferenza che lo stesso ha senza dubbio causato
per il ricorrente, come per tutti gli altri soggetti coinvolti nel drammatico
naufragio”.

19. La Corte di merito ha quindi riconosciuto e
liquidato il danno morale soggettivo quale autonoma voce di pregiudizio non
patrimoniale, in aggiunta al danno biologico permanente e temporaneo, e il dato
della avvenuta liquidazione di tale danno morale attraverso la massima
personalizzazione prevista dalle Tabelle milanesi, in quanto utilizzato come
parametro ai fini della valutazione equitativa, non fa venir meno la conformità
della decisione ai principi sopra enunciati.

20. Così ricostruito il decisum della sentenza
impugnata, che certamente si sottrae al rilievo di violazione dell’art. 132
c.p.c. (v. Cass., S.U. n. 8053 del 2008), le censure mosse dall’attuale
ricorrente (in particolare, con i primi quattro motivi) si rivelano infondate,
là dove presuppongono il mancato riconoscimento del danno morale, e
inammissibili nella parte in cui mirano in sostanza a criticare la misura della
liquidazione del danno morale, che si assume non adeguatamente parametrata al
carattere catastrofale dell’incidente in cui il predetto è stato coinvolto,
anche rispetto a quanto riconosciuto come provvisionale alle parti civili
costituite nel giudizio penale.

21. La valutazione equitativa del danno, in quanto
inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è
suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio
della motivazione, solo se difetti totalmente di giustificazione o si discosti
sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui
rispetto al caso concreto o  radicalmente
contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione risulti particolarmente
sproporzionato per eccesso o per difetto (v. Cass. n. 1529 del 2010; n. 13153
del 2017).

22. Questa Corte ha considerato viziata la
motivazione della sentenza che, nell’effettuare la liquidazione equitativa del
danno morale, non si riferisca alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive
della persona, all’entità della sofferenza e del turbamento d’animo, in quanto
la stessa si pone al di fuori del fondamento e dei limiti di cui all’art. 1226
c.c. così da rendere impossibile il controllo dell'”iter” logico
seguito dal giudice di merito nella relativa quantificazione (Cass. n. 21087
del 2015).

23. Simili difetti non sono in alcun modo
rinvenibili nella sentenza impugnata che, facendo propria la pronuncia sul
punto del primo giudice, ha esplicitato il criterio di liquidazione adottato, giudicando
la massima personalizzazione applicata adeguata a ristorare il patema d’animo
sofferto dal ricorrente nella tragica esperienza del naufragio, giungendo ad
una somma non irrisoria e non avulsa dai canoni di comune esperienza. Non
appare illogico né incongruo parametrare l’entità del turbamento psichico
transitorio vissuto nei momenti del naufragio (che non ha pacificamente
lasciato reliquati in termini di danno psichico) alla massima gravità delle
conseguenze sulle dinamiche relazionali e sul fare areddituale del soggetto,
indotte dal danno biologico permanente sofferto.

24. Parimenti inammissibili risultano le censure
(oggetto del quinto e del sesto motivo di ricorso) che investono il capo della
sentenza d’appello con cui è stata respinta la domanda di risarcimento del
danno che si assume arrecato al diritto del ricorrente alla libertà e alla
dignità.

25. Il ricorrente denuncia un error in procedendo
(per avere i giudici di appello errato nell’interpretazione della originaria
domanda, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra il
chiesto ed il pronunciato), senza tuttavia conformarsi alle prescrizioni
dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ. (cfr. tra le altre, Cass. S.U. n. 8077 del 2012; n. 25308 del 2014;
n. 8069 del 2016); il ricorso in esame contiene unicamente la trascrizione
(alle pagine 21 e 22) di alcuni brani del ricorso introduttivo di primo grado,
che non consentono di ricostruire il contenuto specifico delle domande proposte
e neppure di superare il rilievo di genericità espresso dalla Corte di merito;
né a tal fine risulta utile la analitica trascrizione delle circostanze
relative al naufragio (pag. 22 e sgg.) o il riferimento alle modalità dello
stesso quale fatto notorio.

26. Per le considerazioni svolte il ricorso deve
essere respinto.

27. Le spese di lite sono regolate secondo il
criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

28. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida, nei confronti di ciascuna parte controricorrente,
in euro 3.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre
rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2021, n. 31583
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