Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2021, n. 31742

Rapporto di lavoro, Mobbing e dequalificazione professionale
– Rientro dalla maternità, Utilizzo di macchinari nuovi, Omessa formazione

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Milano, pronunciando sugli
appelli riuniti proposti da M.S. e dall’Azienda Ospedaliera della Provincia di
Lodi, ha riformato solo limitatamente alla quantificazione del danno biologico
da invalidità temporanea la sentenza del Tribunale di Lodi che aveva accolto il
ricorso proposto dalla S. e, ritenuta provata la condotta inadempiente
dell’amministrazione integrante mobbing e dequalificazione professionale, aveva
condannato l’azienda al pagamento della complessiva somma di € 42.447,03;

2. il giudice d’appello ha condiviso le conclusioni
alle quali il Tribunale era pervenuto quanto alla responsabilità dell’azienda,
che non aveva salvaguardato la salute psichica della dipendente la quale,
rientrata in servizio dopo l’assenza per maternità, era stata denigrata dal personale
medico del reparto, sottoposta a forme eccessive di controllo, assegnata allo
svolgimento di mansioni che implicavano l’utilizzazione di «macchinari nuovi»
senza prima ricevere un’adeguata formazione;

3. in relazione al nesso causale la Corte milanese
ha osservato che lo stesso non poteva essere escluso per il solo fatto che la
dipendente avesse una «personalità con meccanismi di risposta non del tutto
efficaci», atteso che il problema del concorso delle cause va affrontato
facendo applicazione del principio di equivalenza di cui all’art. 41 cod. pen.,
applicabile anche nei giudizi di responsabilità civile;

4. infine la Corte territoriale ha ritenuto fondato
l’appello proposto dalla S. perché il Tribunale non aveva tenuto conto
dell’invalidità temporanea non inferiore al 25% insorta a far tempo dal 2005 e,
quindi, ha condannato a detto titolo l’azienda al pagamento dell’ulteriore
somma di € 30.426,00;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso l’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi, sulla base di due
motivi, illustrati da memoria, ai quali ha opposto difese M. S. con tempestivo
controricorso.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo l’Azienda ricorrente
denuncia, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e addebita, in
sintesi, alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della cartella
clinica acquisita presso il CPS, della quale, peraltro, lo stesso giudice
d’appello aveva disposto l’acquisizione e dalla quale emergeva che già
dall’anno 2000 la S. aveva manifestato un disagio psichico riferito a vicende
esclusivamente personali;

2. con la seconda censura, formulata ai sensi
dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente si duole della violazione e
falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ. in tema di accertamento del nesso
causale e, richiamate le considerazioni espresse dal consulente tecnico
d’ufficio in merito alla patologia dalla quale la S. era già in precedenza
affetta, addebita al giudice d’appello di avere quantificato il danno
risarcibile omettendo considerare l’incidenza del quadro patologico
preesistente del quale, invece, occorreva tener conto ai fini dell’accertamento
del nesso causale e del quantum del risarcimento;

3. il primo motivo è inammissibile perché denuncia
ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. l’omesso esame non di un fatto storico,
decisivo ed oggetto di discussione fra le parti, bensì di una risultanza
probatoria, ossia la documentazione medica acquisita, finalizzata alla dimostrazione
del pregresso stato invalidante della S.;

3.1. la circostanza di fatto rappresentata dalla
documentazione asseritamente non esaminata è stata valutata dal giudice
d’appello e ciò risulta con chiarezza da più passaggi argomentativi della sentenza
impugnata, che, nell’aderire alle conclusioni espresse dal consulente tecnico
d’ufficio e nel richiamare il principio dell’equivalenza delle cause, dà atto
della situazione psicologica di fragilità, sulla quale si è innestata la
condotta illecita produttiva del danno, e precisa anche, a pagina 4 della
motivazione, che la S. «come risulta dalla documentazione acquisita era in cura
sin dal 2000 presso il CPS di Lodi»;

3.2. il motivo, quindi, oltre ad essere
inammissibile per le ragioni indicate da Cass. S.U. n. 8053/2014, ribadite da
Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018 e da Cass. S.U. n.
34476/2019, svolge considerazioni prive della necessaria specifica attinenza al
decisum della sentenza impugnata, perché ritiene omesso l’esame di un documento,
richiamato, invece, dal giudice d’appello;

4. il secondo motivo è infondato;

da tempo questa Corte ha affermato che in base ai
principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., qualora la condotta abbia
concorso insieme a circostanze naturali alla produzione dell’evento del quale
costituisce un antecedente causale necessario, l’autore del fatto illecito è da
ritenere responsabile, in base ai criteri della causalità naturale, di tutti i
danni che ne sono derivati; lo stato di salute anteriore della vittima può
assumere rilevanza ai fini della quantificazione del risarcimento, nel rispetto
del principio della causalità giuridica, solo qualora in epoca antecedente al
fatto illecito il danneggiato fosse già affetto da patologia  con effetti invalidanti, sui quali si è
innestata la condotta antigiuridica, determinando un aggravamento che, in
assenza del fattore sopravvenuto, non si sarebbe prodotto; in quest’ultima
ipotesi il giudice è tenuto a stimare il danno biologico tenendo conto della
patologia pregressa, perché la lesione manifestatasi all’esito dell’azione
illecita non è nella sua interezza una conseguenza immediata e diretta di
quest’ultima, ma lo è soltanto per la parte che, secondo il giudizio
controfattuale, non si sarebbe verificata in assenza della condotta
antigiuridica tenuta dal danneggiante (Cass. n. 13400/2007; Cass. n.
27524/2017; Cass. n. 28986/2019; Cass. n. 17555/2020);

alla preesistenza di una patologia non può, invece,
essere assimilato un mero “stato di vulnerabilità”, ossia una
“predisposizione” non invalidante in sé, che non esclude né la
causalità materiale, per il principio dell’equivalenza delle cause, né quella
giuridica, perché il danno risulta comunque conseguenza diretta ed immediata
dell’azione illecita (Cass. 20836/2018; Cass. n. 15991/2011);

 4.1. la Corte
territoriale, pur avendo impropriamente utilizzato a pag. 5 della motivazione
l’espressione “pregresse patologie psichiche”, non si è discostata
dai richiamati principi di diritto perché, facendo proprie le conclusioni alle
quali il consulente tecnico d’ufficio era pervenuto, ha accertato che «la
patologia depressiva di cui la sig.ra S. soffre è direttamente dipendente dalla
matrice stressante dell’organizzazione che ha pressato una personalità i cui
meccanismi di risposta non sono del tutto efficaci»;

4.2. la Corte, quindi, con accertamento di fatto non
censurabile in questa sede, ha riscontrato che nella specie la patologia
invalidante, seppure favorita da un fattore predisponente, era insorta solo a
seguito della condotta tenuta dal datore di lavoro che aveva agito come
concausa dell’evento dannoso (con le conseguenze di cui si è detto quanto alla
causalità materiale ed a quella giuridica) e non come mero fattore di
aggravamento di una patologia preesistente;

5. il ricorso va, pertanto, rigettato, con
conseguente condanna dell’Azienda ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

6. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R.
n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai
fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza
delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del
contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per
esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese
generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit.
art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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