Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 novembre 2021, n. 32945

Infortunio sul lavoro, Risarcimento danni, Aggravamento dei
postumi, Insussistenza, Accordo transattivo

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza
n. 822/2017, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Vicenza del 16.4.2014,
con la quale era stata rigettata la domanda proposta da D. R., nei confronti
del Maglificio M.C., di cui era dipendente, e della compagnia assicuratrice di
parte datoriale, A. spa, diretta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti
nell’infortunio sul lavoro avvenuto il 2.2.2000.

2. Per quello che interessa in questa sede, la Corte
territoriale ha ritenuto fondata l’eccezione di intervenuta transazione,
intercorsa tra le parti assistite dai rispettivi rappresentanti sindacali,
perché l’atto riguardava “una serie di infortuni come da fogli allegati al
presente verbale che ne costituiscono parte integrante” tra cui vi erano i
certificati medici relativi all’episodio avvenuto il 2.2.2000 che, quindi,
rientrava esplicitamente nell’accordo medesimo. La Corte di merito ha escluso,
poi, che vi fossero stati danni permanenti manifestatisi successivamente alla
transazione per cui alcun aggravamento dei postumi poteva ritenersi non
compreso dall’accordo concluso dalle parti. Ha valutato, infine, assorbita la
trattazione della domanda di garanzia riproposta dalla società datrice di
lavoro e delle questioni circa l’inoperatività della polizza sollevate dalla
compagnia assicuratrice.

3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione D. R. affidato a due motivi, cui hanno resistito con
controricorso il Maglificio M.C. e la A. spa.

4. A. spa ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2087 cc, la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 111 Cost., 132 cpc, e 118 disp. att. cpc nonché l’omessa
valutazione di un fatto decisivo e controverso tra le parti. Deduce che la
Corte di merito non aveva fornito la giustificazione del rigetto della domanda,
equivocando il contenuto e la causa petendi del ricorso, in ordine alla
inidoneità delle metodologie di lavoro a tutelare la salute del lavoratore da un
rischio di sovraccarico nonché aveva omesso l’analisi dei fattori di
pregiudizio della salute soggettivizzata con riferimento alla mansione
specifica e ai mezzi impiegati e delle loro conseguenze dopo il 2001: la totale
carenza di motivazione sul punto rendeva la sentenza nulla e invalida perché in
essa non si era tenuto conto delle circostanze realmente dedotte nell’atto di
appello e desunte dalla relazione medica di parte.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 112 cpc, dell’art. 414 cpc, dell’art. 432 cpc
e dell’art. 1362 cc, nonché l’omessa valutazione di un fatto decisivo
determinante, oggetto di discussione tra le parti, per essersi la Corte
territoriale pronunciata sulla base di una interpretazione illogica ed errata
della causa petendi e del contenuto del ricorso sia di primo grado che di
appello e, quindi, con una decisione in violazione del principio statuito
dall’art. 112 cpc. Il ricorrente obietta che la gravata sentenza aveva
rigettato la domanda sulla base di rilievi e circostanze ritenute non provate o
provate al contrario sebbene mai prospettate negli scritti difensivi e anzi
formulati in modo opposto, omettendo, viceversa, di analizzare ed esaminare i
puntuali motivi di censura dell’operato del primo giudice ritenuti in modo in
equivoco sussistenti e determinanti il peggioramento imprevedibile della
situazione sanitaria dopo il 2001 e comprovato documentalmente dai ricoveri
ospedalieri con interventi chirurgici.

4. Il primo motivo presenta plurimi profili di
inammissibilità.

5. In primo luogo, va ribadito che, in seguito alla
riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del
d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non sono più
ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e
insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto
il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola
verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono
in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità
della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale
del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”,
di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di
“motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali
il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un
“fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che
appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia
(Cass. n. 23940/2017, Cass. 22598/2018): nel caso de quo l’iter logico
giuridico seguito nella gravata pronuncia è chiaro e sono spiegate le ragioni
poste a base della decisione.

6. In secondo luogo, deve rilevarsi che le censure
di omessa valutazione di un fatto decisivo incontrano il limite della cd.
“doppia conforme” ex art. 348 ter u.c. cpc, su questioni di fatto.
Invero, in tema di ricorso di cassazione, il travisamento della prova, che
presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova
da parte del giudice di merito, ritenuto valutabile in sede di legittimità
qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è
più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla I. n. 134 del 2012,
che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà
della motivazione, sicché “a fortiori” se ne deve escludere la
denunciabilità in caso di cd. “doppia conforme”, stante la
preclusione di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c. (Cass. n.
24395/2020).

7. In terzo luogo, va evidenziato che le doglianze
si risolvono – quanto alle deduzioni sulla idoneità delle metodologie di lavoro
a tutelare la salute del lavoratore da un rischio di sovraccarico e sulla
omessa analisi di fattori di pregiudizio alla salute con riferimento alle
mansioni specifiche svolte, ai mezzi impiegati e alle conseguenze verificatesi
dopo il 2001- unicamente in una sollecitazione di una rivisitazione del merito
della vicenda e in una contestazione della valutazione probatoria operata dalla
Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento di fatto, di esclusiva
spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (per
tutte Cass. 331 del 2020).

8. In quarto ed ultimo luogo, non può non darsi atto
di un difetto di autosufficienza, nella redazione del motivo, in ordine alla
documentazione clinica posta a base dei dedotti aggravamenti ed interventi
chirurgici post 2001, essendovi stato solo un richiamo ad una perizia medico
legale di parte, riportata peraltro solo in minima parte.

9. Anche il secondo motivo è inammissibile.

10. La rilevazione ed interpretazione del contenuto
della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a)
ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità
dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che
deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4,
c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio,
eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda
determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà
aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore
che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati
nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato
e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta,
rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in
base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error
facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1,  n. 5, c.p.c. (Cass. n. 11103/2020): i
suddetti vizi ed errori non sono ravvisabili nella fattispecie in esame.

11. Inoltre, non risulta essere stato proposto
neanche uno specifico motivo di appello sulla qualificazione della domanda,
come interpretata in primo grado, cui poi si è adeguato il giudice di appello
(Cass. n. 20730/2008; Cass. n. 24339/2010).

12. Neanche sono ammissibili le censure di omessa
pronuncia ex art. 112 cpc, come articolate dal ricorrente.

13. Invero, costituisce vizio di omessa pronuncia
l’omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda o su un’eccezione
di parte o su un’istanza che richieda una statuizione di accoglimento o di
rigetto, tale da dare luogo alla inesistenza di una decisione sul punto per la
mancanza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto, salva
l’ipotesi in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa
o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre
declaratorie (Cass. n. 4079/2005; Cass. n. 10696/2007).

14. Nella fattispecie, invece, la Corte ha ritenuto
espressamente insussistente un aggravamento dei postumi, esclusi dall’accordo
transattivo concluso dalle parti, sulla base di un accurato esame delle perizie
(anche presentate dallo stesso ricorrente) e della documentazione medica in
atti.

15. Da ultimo, va precisato che l’omesso esame di
elementi istruttori non integra, di per sé, vizio di omesso esame di un fatto
decisivo se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie (Cass. n. 19881/2014).

16. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va
dichiarato inammissibile.

17. Alla declaratoria di inammissibilità segue la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità che si liquidano come da dispositivo.

18. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle
spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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