Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 novembre 2021, n. 33631

Rendita vitalizia ex art. 13, L. n. 1338/62, Pagamento,
Prova, Accertamento dello status di coltivatore diretto

Con sentenza del 9.2.15, la Corte d’Appello di
Campobasso ha confermato la sentenza del 3.10.12 del tribunale di Larino, che
aveva rigettato la domanda della odierna ricorrente di condanna al pagamento
della rendita vitalizia ex art. 13 legge 1338/62, dovuta per il mancato
pagamento di due anni di contribuzione necessari per beneficiare della pensione
di anzianità per lavoro svolto quale unità attiva del nucleo del padre
coltivatore diretto negli anni 1968-1970.

In particolare, la corte territoriale ha ritenuto
inammissibile l’azione – qualificata di mero accertamento – volta ad accertare
lo status di coltivatore diretto.

Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice per 5
motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’INPS; le altre
parti convenute (i genitori della ricorrente, quali parti del rapporto lavorativo)
son rimaste intimate.

Con il primo motivo si deduce ex art. 360 co. 1 n. 3
e 4 c.p.c. violazione degli articoli 112 c.p.c., 2697 c.c., 2909 c.c., per
essersi pronunciata la corte territoriale su questione non oggetto di gravame e
quindi passata in giudicato.

Con il secondo motivo si deduce ex art. 360 co. 1 n.
3 e 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. e 132 numero 4 c.p.c., per assenza
o mera apparenza della motivazione (fatta per relationem alla sentenza di primo
grado, ma in modo del tutto acritico).

Con il terzo motivo si deduce ex art. 360 co. 1 n. 3
– 4 e 5 c.p.c., violazione degli articoli 414 e 132 numero 4 c.p.c., per avere
trascurato la duplicità delle domande proposte, una relativa alla rendita
l’altra relativa all’accertamento dello status di coltivatore diretto.

Con il quarto si deduce violazione dell’articolo 13
legge 338/62, per aver trascurato che la norma, che richiede la prova scritta
ai fini della rendita, non esclude relativamente al rapporto di coltivatore
diretto la prova testimoniale, per di più se solo integrativa della prova
documentale.

Con il quinto motivo si deduce ex art. 360 co. 1 n.
3, violazione dell’articolo 2724 c.c., per aver trascurato la sussistenza delle
condizioni che rendevano comunque ammissibile la prova testimoniale.

E’ preliminare l’esame del secondo motivo.

La sentenza impugnata -senza riportare il contenuto
della decisione ed i motivi di appello- lo ritiene infondato “facendo
proprie le argomentazioni del primo giudice, ritenute condivisibili … e da
intendersi riportate e trascritte”; la sentenza quindi aggiunge che
“non è fondato l’assunto dell’appellante circa l’ammissibilità dell’azione
di mero accertamento de qua” e richiama massima (relativa ad accertamento
di nesso di causalità di infortunio), così ritenendo esaurito il suo compito.

Ciò detto, va evidenziato (con Sez. U, Sentenza n.
14814 del 04/06/2008, Rv. 603305 – 01; Sez. L, Sentenza n. 25866 del 21/12/2010
(Rv. 615589 – 01; Sez. L – , Sentenza n. 27112 del 25/10/2018, Rv. 651205 – 01;
Sez. 6-5, Ordinanza n. 22022 del 21/09/2017, Rv. 645333 – 01; Sez. 6 – 5,
Ordinanza n. 107 del 08/01/2015, Rv. 633996 – 01) che, in tema di ricorso per
cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per
violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., la motivazione solo apparente,
che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la
sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo
grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e
delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle
stesse in base ai motivi di gravame.

Né può ritenersi utile il richiamo alla massima
della cassazione operato dalla corte territoriale, in quanto si è del pari
affermato (Sez. 6-5, Ordinanza n. 17403 del 03/07/2018, Rv. 649381 – 01; Sez. 3
– , Ordinanza n. 11227 del 09/05/2017, Rv. 644191 – 01) che, in tema di
provvedimenti giudiziali, la motivazione “per relationem” ad un
precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie
argomentazioni giuridiche, ma il percorso argomentativo deve comunque
consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo
deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di
diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la
totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento. Nel
caso, infatti, nessuno sforzo è fatto dalla sentenza impugnata per adattare il
principio richiamato in massima alla fattispecie -del tutto diversa- oggetto
del giudizio, magari rapportandola alle censure delTappellante (per nulla
considerate) ad alle diverse valutazioni operate in prime cure (che secondo
quanto dedotto dal ricorrente sembrano seguire invece un diverso ragionamento).

Il motivo è dunque fondato.

Restano assorbiti gli altri motivi.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al
motivo accolto e la causa va rinviata alla stessa corte d’appello in diversa
composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli
altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la
causa alla stessa corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese
del giudizio di legittimità.

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