Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 novembre 2021, n. 33093

Contratto a termine e di somministrazione, Illegittimità,
Genericità della causali giustificatrici, Accertamento, Demansionamento,
Mobbing

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 17.9.2019 la Corte d’Appello di
Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto il ricorso proposto
da F.P. volto a far dichiarare sia l’illegittimità del termine apposto al
contratto di somministrazione e al contratto a tempo determinato, contratti
svolti presso la S. s.p.a. (rispettivamente in qualità di utilizzatrice da
giugno a ottobre 2010 e, poi, di datore di lavoro da ottobre 2010 ad aprile
2012) sia la ricorrenza di una situazione di demansionamento e di mobbing;

2. la Corte territoriale, per quel che interessa, ha
ritenuto non generiche le causali giustificative di tali contratti, relative –
con riguardo al contratto di somministrazione – alla “gestione,
mantenimento e completamento della commessa presso la S.S.B.” e – con
riguardo al contrato a tempo determinato – “all’affidamento del contratto
di servizio da parte di S.S.B. alla scrivente società con durata predeterminata
sino al 30.4.2012 e prevede l’impegno di figure professionali che, allo stato
attuale, la scrivente società con il normale organico aziendale non potrebbe
fornire se non facendo ricorso ad una nuova assunzione a termine”,
consentendo, tali ragioni giustificative, di verificare la loro effettività
(che, nella specie, risultava essere stata rispettata);

in ordine al dedotto danno da demansionamento e da
mobbing, la Corte territoriale ha rilevato – conformemente al Tribunale – che
nel ricorso introduttivo del giudizio non vi erano allegazioni circa la
compromissione del bagaglio professionale e, anzi, si deduceva di aver sempre
riportato le attività svolte ai superiori gerarchici O., manager tedesco, e, da
agosto 2010, all’ing. C., con evidente esclusione di completa autonomia nel
disimpegno delle mansioni; inoltre, nessuna comparazione poteva essere
effettuata tra due diversi e distinti contratti di lavoro (uno, di
somministrazione, il successivo, a tempo determinato, avente efficacia novativa
rispetto al primo);

3. il soccombente ha proposto ricorso per la
cassazione della sentenza impugnata sulla base di cinque motivi, ai quali ha
resistito la società con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale
condizionato; entrambe le parti hanno depositato memorie;

4. veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle
parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

 

Considerato che

 

1. i primi due motivi di ricorso (sviluppati
contestualmente dallo stesso ricorrente) denunciano violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 del d.
Igs. n. 368 del 2001, 112 e 116 cod.proc.civ., 2697
cod.civ., 24 Cost., 20, 21, 27 del d.lgs. n. 276 del 2003,
eccependo che la ragione giustificativa dei due contratti non può ritenersi
specifica se ha consentito vicende lavorative del tutto distinte, “tanto
da racchiudere sia un ruolo manageriale, con attività svolta in piena
autonomia, sviluppando della professionalità, riunione fra manager e utilizzo
della lingua inglese, e sia la realizzazione di meri compiti esecutivi di
carattere ausiliare e di bassissimo profilo come il facchinaggio”, posto
che la prima commessa è stata svolta da una sola persona (il P.) e la seconda
da un team; i giudici di appello non hanno attribuito al datore di lavoro
l’onere, a suo carico, di provare la specificità delle ragioni addotte ai due
contratti, a fronte – in ogni caso – della reiterata richiesta del lavoratore
di ammissione delle prove istruttorie articolate;

2. con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2103 , 2087, 1344 cod.civ. emergendo chiaramente dalle modalità
di svolgimento dei due contratti (durante il contratto di somministrazione,
unico adibito alla commessa era il P., invece, nell’ambito del contratto a
tempo determinato era stato costituito un team) il demansionamento e la
situazione di mobbing, anche con riguardo al contratto in frode alla legge e
alla simulazione, volte a tutelare situazioni di fatto lesive;

3. con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 2087 cod.civ. avendo, la Corte territoriale,
trascurato di valutare se, invece di una situazione di mobbing, si sia trattato
di straining considerato l’accoglimento, da parte del Tribunale, della domanda
relativa alla sanzione disciplinare conservativa (sanzione rideterminata in due
giorni di sospensione dalla retribuzione);

4. con il quinto motivo si denunzia violazione degli
artt. 112, 115
cod.proc.civ. e 24 cost. essendo, ogni
altra deduzione della Corte territoriale, sui fatti di causa, “viziata in
via derivata dall’errata impostazione di valutazione, non conforme alle
norme”;

5. con l’unico motivo di ricorso incidentale
condizionato, la società deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 32, commi 1 e 4, della legge
n.183 del 2010, in relazione all’art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 276
del 2003 (ex art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ.) ribadendo l’intervenuta decadenza dall’azione per decorrenza
del termine di 60 giorni per l’impugnazione del contratto di somministrazione a
termine.

6. il ricorso principale è inammissibile perché,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la proposizione, mediante il
ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum
della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di
motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il
ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i
motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità,
completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta
individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che
illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o
principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione… ” ( Cass. 3.8.2007 n. 17125 e negli stessi termini
Cass. 25.9.2009 n. 20652);

6.1. nel caso di specie difetta la necessaria
riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto
la Corte territoriale ha esaminato singolarmente le causali apposte al
contratto di somministrazione (stipulato tra l’agenzia del lavoro S.P. s.p.a. e
S. s.p.a.) e al contratto a tempo determinato (sottoscritto tra P. e S. s.p.a.)
ritenendole sufficientemente specifiche, ossia in grado di consentire la
verifica della corrispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione
del lavoratore a mansioni ad essa confacenti (assegnazione ritenuta
effettivamente aderente alla causale), e ha, inoltre, affermato l’irrilevanza –
ai fini dell’invocato principio di immodificabilità delle mansioni – dei
compiti svolti nell’uno e nell’altro contratto, considerata la novazione
sopravvenuta con il secondo contratto;

6.2. le censure – che, con riguardo agli istituti
della simulazione e della frode alla legge appaiono nuove e, perciò,
inammissibili, non essendo state, dette questioni, specificamente trattate
nella decisione impugnata né avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi
della loro tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della
loro devoluzione al giudice del gravame – non colgono la ratio decidendi perché
il ricorrente insiste sulla mancata considerazione dello svolgimento di
mansioni differenti nel primo contratto, di somministrazione, e nel secondo
contratto, a tempo determinato, ma nulla deduce sulla efficacia novativa del
contratto di lavoro a tempo determinato stipulato tra le parti nonché sulla
rilevata carenza e genericità delle allegazioni in ordine al pregiudizio subito
al bagaglio professionale (allegazioni sprovviste di “precisazioni di
tempo e di luogo”, pag. 7 della sentenza impugnata) nonché
contraddittorietà degli elementi di fatto contenuti nel ricorso introduttivo
del giudizio;

7. in ordine alla mancata ammissione delle istanze
istruttorie, è privo di autosufficienza il ricorso fondato su motivo con il
quale viene denunziato vizio di motivazione in ordine all’assunta prova
testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi
ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni
diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (Cass. n. 6440 del 2007);

8. la violazione dell’art.
2697 c.c., peraltro censura del tutto generica, è proponibile per
cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.
3 cod.proc.civ. , soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito
l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo
le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti
costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la
valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass.
n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella sentenza impugnata
non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio,
interamente gravante – con riguardo al rispetto dell’indicazione delle causali
– rispettivamente sull’utilizzatore o sul datore di lavoro che intendevano
avvalersi, rispettivamente, dei contratti di somministrazione e a tempo
determinato;

9. il ricorso appare, infine, inammissibile in
quanto si sostanza, laddove denuncia la violazione di norme di diritto, in un
vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del
nuovo art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 5,
applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame;

9.1. come più volte precisato da questa Corte, il
vizio di violazione di legge coincide con l’errore interpretativo, cioè con
l’erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la
comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di
norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata
correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente
sussunta. Al contrario, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a
mezzo delle risultanze di causa è esterna all’interpretazione della norma e
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è
possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014). Solo
quest’ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di
causa;

9.2. nel caso di specie, le censure investono la
valutazione degli elementi di fatto come operata dalla Corte di merito, e si
sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto dei documenti prodotti
(contratti di somministrazione e di lavoro a tempo determinato), in una
richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto alla
corrispondenza tra causali e mansioni concretamente svolte) non consentita in
questa sede di legittimità, non solo in virtù del nuovo testo dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5 ma a
maggior ragione in considerazione del principio della pronuncia c.d. doppia
conforme di cui all’art. 348 ter, comma 5,
cod.proc.civ.;

10. il quinto motivo, infine, presenta palesi
profili di inammissibilità, non corrispondendo agli archetipi normativi dettati
dall’art. 360 cod.proc.civ. e considerato che
il giudizio di legittimità è un rimedio a critica vincolata (cfr. tra le tante,
Cass. n. 4905 del 2020);

11. il ricorso principale va, pertanto, dichiarato
inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità, liquidate come da dispositivo; in considerazione dell’esito del
ricorso principale, il ricorso incidentale condizionato è assorbito;

12. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso principale,
assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente
principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi
professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 novembre 2021, n. 33093
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