Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 novembre 2021, n. 34721

Licenziamento disciplinare, Reintegrazione del socio
lavoratore nel posto di lavoro, Corresponsione della indennità risarcitoria,
Delibera di espulsione, Insussistenza del fatto, Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in funzione di
giudice del lavoro, pronunziando sul ricorso ex art. 1, comma 48, I. n. 92 del
2012 con il quale F.M. aveva impugnato sia la delibera in data 20.6.2016 di
esclusione dalla C.L.O. s.c.r.l. sia il licenziamento disciplinare
comunicatogli con nota in pari data, previa ordinanza di mutamento del rito (da
rito cd. Fornero a rito del lavoro), dichiarò la illegittimità di entrambi i
provvedimenti e risolti sia il rapporto societario che il rapporto lavorativo
condannando la Cooperativa resistente al pagamento in favore del ricorrente di
un’indennità risarcitoria pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto.

2. La Corte di appello di Ancona, respinto l’appello
principale della Cooperativa, in parziale accoglimento dell’appello incidentale
del D., dichiarata la persistenza del rapporto sociale, ha condannato ai sensi
dell’art. 18, comma 4, I. n. 300 del 1970 la Cooperativa alla reintegrazione
del socio lavoratore nel posto di lavoro, alla corresponsione della indennità
risarcitoria, rideterminata in 12 mensilità della retribuzione, e al versamento
dei contributi previdenziali e assistenziali dal licenziamento alla
reintegrazione.

3. Per quel che ancora rileva, il giudice di
appello, premesso che non era stato adeguatamente censurato l’accertamento del
giudice di prime cure di insussistenza del fatto posto a base sia della
delibera di espulsione che del licenziamento disciplinare, e che tale
ricostruzione era frutto di condivisibile valutazione delle risultanze
istruttorie, ha ritenuto che tanto comportava la illegittimità della delibera
di esclusione del socio e del licenziamento con ricostituzione ex tunc del
rapporto associativo; ha fondato l’applicabilità dell’art. 18 I. n. 300 del
1970 sul rilievo che l’art. 1, comma 1, I. n. 142 del 2001, di revisione della
legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla
posizione del socio lavoratore, esclude la tutela reale non in maniera
generalizzata ma solo nei casi in cui venga meno in via definitiva il rapporto
associativo; viceversa, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, vi era
stato ripristino del rapporto associativo nulla ostava all’applicazione
dell’art. 18 nel testo novellato dalla I. n. 92 del 2012; in tale prospettiva
la tutela reintegratoria si giustificava con l’accertamento dell’insussistenza
del (medesimo) fatto materiale a base sia della delibera di espulsione che del
licenziamento, fatto consistente in << diverbio litigioso… cui siano
seguite le vie di fatto anche con conseguenze di lieve entità>>.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso C.L.O. s.c.r.l. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha
resistito con controricorso.

5. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai
sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente rileva il Collegio che la
esistenza di un procedimento (iscritto al n. RG 21261/2021) tra la Cooperativa
ricorrente e L.R., procedimento che nella nota di segnalazione depositata dal
procuratore della società si assume, senza ulteriori esplicitazioni, essere
“collegato” all’odierno procedimento, non giustifica il differimento
ad altra udienza della trattazione del presente giudizio vertente tra parti solo
parzialmente coincidenti con quelle di cui al procedimento indicato dal
procuratore della società.

2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e
dell’art. 436 cod. proc. civ. censurando la sentenza impugnata per non avere
considerato che il capo della sentenza di primo grado con il quale era stato
dichiarato risolto il rapporto associativo non era stato investito dal gravame
di controparte; il giudice di appello aveva errato laddove, analizzando i
motivi di appello incidentale, aveva ritenuto che con esso il lavoratore aveva
inteso conseguire anche il ripristino del rapporto associativo, in tal senso
valorizzando la memoria di costituzione in appello del D.; tale ricostruzione
si poneva, infatti, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che
esigeva che l’atto di gravame contenesse la chiara individuazione delle
questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo di ricorso deduce
violazione dell’art. 2909 cod. civ. e/o dell’art. 324 cod. proc. civ., per
omesso rilievo del giudicato formatosi sulla cessazione del rapporto
associativo, cessazione dalla quale scaturiva la preclusione della accordata
tutela reale e la sola eventuale applicabilità della tutela obbligatoria.

4. Con il terzo motivo di ricorso deduce violazione
e falsa dell’art. 2, I. n. 142 del 2001. Assume che la tesi della Corte
distrettuale secondo la quale in caso di ripristino del rapporto associativo
non vi erano ostacoli all’applicazione dell’art. 18, comma 4, I. n. 300 del
1970 nel testo novellato dalla legge n. 92 del 2012 confligge con il dettato
testuale dell’art. 2 cit. che esclude l’applicabilità dell’art. 18 cit. quando
la cessazione del rapporto di lavoro sia effetto della delibera di esclusione.

5. Il primo e il secondo motivo di ricorso, trattati
congiuntamente per connessione, sono infondati.

5.1. Parte ricorrente, pur formalmente riconducendo
le censure articolate al paradigma dell’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ.,
sviluppa ragioni di doglianze intese in realtà a far valere anche e soprattutto
un vizio di attività del giudice di merito e quindi un vizio riconducibile
all’art. 360, comma, 1 n. 4 cod. proc. civ.

5.2. Sotto il profilo della violazione di legge, la
circostanza che la Corte distrettuale abbia dato atto che la censura che
investiva la cessazione del rapporto associativo era stata formulata in maniera
indiretta non è affermazione intrinsecamente idonea di per sé sola e per la sua
genericità a evidenziare l’errore di diritto del giudice di merito in ordine al
significato ed alla portata applicativa delle prescrizioni in tema di chiarezza
e specificità dell’impugnazione desumibili dal paradigma legale dell’art. 342
cod. proc. civ. e dall’art. 434 cod. proc. civ. secondo la interpretazione
offertane dalla giurisprudenza di questa Corte; con indirizzo consolidato,
infatti, il giudice di legittimità, ferma la esigenza di chiarezza nella
individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata
in ragione della permanente natura di revisio prioris istantiae del giudizio di
appello, ha escluso la necessità dell’utilizzo di forme sacramentali o di
redazione di un progetto alternativo di sentenza ai fini della validità
dell’impugnazione (Cass. Sez. Un. 16/11/2017, n. 27199 e, in senso conforme,
tra le altre: Cass. 30/05/2018, n. 13535; Cass. 12/02/2019, n. 4136).

5.3. In relazione al denunziato difetto di attività
del giudice di merito, per come concretamente denunziato, occorre premettere
che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e
deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di
merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia
determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di
corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) od a
quello del tantum devolutum quantum appellatum (art. 437 cod. proc. civ.),
trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo che attribuisce
alla Corte di cassazione il potere- dovere di procedere direttamente all’esame
ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze
e deduzioni delle parti. (Cass.
10/10/2014 n. 21421; Cass. 22/07/09, n. 17109; Cass. 12/01/2006 n. 409; Cass.
24/06/2004, n. 11755). L’esercizio del potere-dovere di esame diretto
degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda richiede tuttavia che
la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate
al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità
alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo
comma, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. tra le altre, Cass. Sez. Un. 22/05/2012 n.
8077; Cass. 28/11/2014 n. 25308; Cass. 21/04/2016 n. 8069).

5.4. Parte ricorrente non ha osservato tale onere in
quanto ha proceduto nel ricorso per cassazione ad una trascrizione solo
parziale della memoria di costituzione con appello incidentale di controparte;
manca, infatti, del tutto la parte relativa alle conclusioni spiegate in quel
giudizio ed inoltre la stessa trascrizione della parte espositiva è connotata
dalla presenza in più parti di puntini sospensivi, presenza che preclude in
radice la completa conoscenza dell’atto la cui portata deve essere verificata,
per costante giurisprudenza di questa Corte, attraverso la complessiva
valutazione dello stesso (v., tra le altre, Cass. 18/07/2007, n. 15966; Cass.
04/08/2006 n. 17760. Tale trascrizione nello specifico si rendeva tanto più necessaria
in quanto nella sentenza impugnata sono trascritte le conclusioni spiegate dal
D. con l’appello incidentale, conclusioni che contengono un chiaro riferimento
alla richiesta di ricostituzione del rapporto associativo (v. punto 2, delle
conclusioni dell’appellante incidentale riportate a pag. 3 della sentenza
impugnata).

6. Dalle considerazioni che precedono deriva quindi
che nessun giudicato può ritenersi formato sulla cessazione del rapporto
associativo, conseguendone la inconfigurabilità in radice del mancato rilievo
di esso denunziato con il secondo motivo.

7. Il terzo motivo di ricorso è meritevole di
accoglimento.

7.1. Il tema delle tutele esperibili in fattispecie
quale quella della cooperativa di lavoro – caratteristicamente connotata dalla
esistenza di un duplice rapporto, associativo e di lavoro, e dalla correlativa
differenziazione dei relativi atti estintivi – ed, in particolare, la verifica
degli spazi di applicabilità della tutela reale di cui all’art. 18 I. n. 300
del 1970, che aveva trovato soluzioni differenziate nella giurisprudenza di
questa Corte, è stato ricomposto con l’intervento nomofilattico di Cass. Sez.
Un. 20/11/2017, n. 27436 nel senso che « In tema di estinzione del rapporto del
socio lavoratore di cooperativa, ove per le medesime ragioni afferenti al
rapporto lavorativo siano stati contestualmente emanati la delibera di
esclusione ed il licenziamento, l’omessa impugnativa della delibera non
preclude la tutela risarcitoria contemplata dall’art. 8 della I. n. 604 del 1966,
mentre esclude quella restitutoria della qualità di lavoratore. (Nella specie,
la S.C. in applicazione del principio enunciato, ha rigettato il motivo di
ricorso avverso la decisione d’appello che aveva ritenuta ammissibile
l’impugnativa del licenziamento da parte del socio lavoratore pur in carenza di
impugnazione della delibera di esclusione, e rimesso gli atti alla sezione
lavoro per il seguito di competenza>> (Cass. Sez. Un. 27436/2017 cit.).

7.2. A tale approdo il Supremo Collegio è pervenuto
sulla base delle seguenti considerazioni: a) nelle cooperative regolate dalla
legge n. 142 del 2001 il collegamento fra rapporto associativo e rapporto di
lavoro nella fase estintiva assume caratteristica unidirezionale nel senso che
la cessazione del rapporto associativo “trascina” con sé
ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicché il socio, se può non
essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non può più essere
lavoratore; b) è la caratteristica morfologica dell’unidirezionalità del
collegamento fra i rapporti che determina la dipendenza delle loro vicende
estintive, non già l’indagine, necessariamente casistica, sulle ragioni che
sono poste a fondamento dell’espulsione del socio lavoratore; c) alla duplicità
di rapporti può corrispondere la duplicità degli atti estintivi, in quanto
ciascun atto colpisce, e quindi lede, un autonomo bene della vita, sia pure per
le medesime ragioni; , d) la mancata impugnazione della delibera di esclusione
preclude la sola tutela restitutoria; e) la invalidazione della delibera di
esclusione ha, invece, un effetto restitutorio dal quale deriva la
ricostituzione sia del rapporto societario, sia dell’ulteriore rapporto di
lavoro ripetendosi in tal modo la genesi e fisionomia della dinamica del
rapporto sociale ; f) tale tutela << risu Ita quindi del tutto estranea
ed autonoma rispetto alla tutela reale prevista dall’art. 18 dello statuto dei
lavoratori, di matrice, appunto, lavoristica (sulla quale invece punta, una
volta «rimosso il provvedimento di esclusione», Cass. 4 giugno 2015, n. 11548)»
(Cass. Sez. Un, n. 27436/2017 cit.).

7.4. Il coerente sviluppo di tali indicazioni
riferite alla fattispecie in esame, connotata dalla presenza di due
provvedimenti entrambi impugnati, la delibera di esclusione ed il provvedimento
di irrogazione del licenziamento (disciplinare), comporta che l’accertamento
della illegittimità della delibera determina, con efficacia ex tunc, ove, come
nel caso di specie, sia la delibera che il licenziamento siano fondati sul
medesimo fatto, in simmetria con gli effetti connessi alla sua adozione, sia la
ricostituzione del rapporto associativo sia la ricostituzione del rapporto di
lavoro “travolto” dalla delibera di espulsione risultata illegittima.

7.5. L’effetto pienamente ripristinatorio del rapporto
– associativo e di lavoro – conseguente all’annullamento della delibera di
espulsione per insussistenza del medesimo fatto alla base del recesso non
consente di individuare residui spazi per l’utile esplicazione della tutela
reintegratoria di cui all’art. 18 I. n. 300 del 1970.

7.6. L’apparato rimediale in punto di conseguenze
economiche connesse all’illegittimità del recesso sarà in questo caso quello di
regola previsto dall’ordinamento per le ipotesi in cui venga affermata la
giuridica continuità del rapporto di lavoro di fatto interrotto (come accade ad
es. in tema di contratto di lavoro nel quale sia dichiarata la illegittimità
del termine, oppure in tema di licenziamento orale, per questo inefficace) per
cui all’effetto ripristinatorio sarà possibile affiancare, in presenza dei
relativi presupposti e ferma la necessità della costituzione in mora della
società, la tutela risarcitoria secondo gli ordinari criteri.

7.7. La soluzione qui propugnata non finisce, come
sostenuto, con il vanificare il disposto dell’art. 2, I. n. 142 del 2001 a
mente del quale << Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di
lavoro subordinato si applica la L. 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione
dell’art. 18, ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche
quello associativo >>, per cui – si sostiene- una volta venuta meno la
delibera di esclusione e ripristinato il rapporto associativo non vi sarebbero
ragioni per precludere la tutela ex art. 18 cit.

7.8. È, infatti, pur sempre possibile recuperare spazi
all’applicazione della tutela ex art. 18 St. lav.; ciò non solo nella ipotesi,
invero teorica, di licenziamento intimato in assenza di delibera di espulsione
dalla compagine sociale ma anche quando la delibera di espulsione del socio e
l’atto di licenziamento, sia pure contestuali, riposino su ragioni differenti
non sovrapponibili ; in questo caso, infatti, appare più coerente con la
ricostruzione della posizione del socio lavoratore in termini di coesistenza di
una duplicità di rapporti – lavorativo e societario – ritenere che la
caducazione della delibera di espulsione invalida non comporti direttamente un
effetto ripristinatorio (anche) del rapporto di lavoro pregresso, inciso dall’
autonomo effetto estintivo scaturito dal licenziamento; se il rapporto si è
estinto sulla 

base di un atto di licenziamento fondato su ragioni
autonome e distinte rispetto a quelle alla base della delibera di esclusione,
l’annullamento di tale delibera determina solo la rimozione dell’effetto
preclusivo all’instaurazione del rapporto di lavoro connesso alla necessaria
qualità di socio ma non travolge l’effetto estintivo conseguente al
licenziamento; in questo caso, per il concreto ripristino del rapporto di
lavoro, sarà necessaria la rimozione dell’atto che ne ha determinato la
cessazione con possibilità quindi di ricorrere alla tutela reintegratoria ex
art. 18 St. Lav. .

8. La sentenza impugnata, laddove in presenza di
delibera illegittima fondata sui medesimi fatti alla base del licenziamento, ha
riconosciuto al lavoratore la tutela reale non è coerente con la ricostruzione
complessiva sopra operata per cui, in accoglimento del terzo motivo di ricorso,
si impone la cassazione in parte qua della decisione con rinvio alla Corte di
appello di Bologna.

9. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento
delle spese di lite del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo e rigetta gli altri; cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di
appello di Bologna alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio
di legittimità.

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