Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2021, n. 35061

Rapporto di lavoro, Mobbing, Condotte reiterate e
palesemente volte a sminuire e declassare la personalità del lavoratore, Prova
– Risarcimento danni

 

Fatti di causa

 

1.Con sentenza in data 13 marzo 2015 nr. 10311 la
Corte d’Appello di Roma riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e
per l’effetto, accoglieva la domanda proposta da P. G.— dipendente del
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE (in prosieguo:
il MINISTERO,) addetta all’Istituto Italiano di cultura di Chicago— per il
risarcimento del danno da mobbing nei confronti del datore di lavoro nonché di
F. V., direttrice dell’Istituto; rigettava la domanda nei confronti di E. S.,
Console Italiano a Chicago

2. La Corte territoriale non condivideva la
valutazione del primo giudice, secondo il quale la prova della condotta
mobbizzante non emergeva dalle deposizioni testimoniali, in quanto i testi si
erano limitati a confermare o non confermare i capitoli di prova, senza
specificare circostanze ulteriori che consentissero di valutarne la
attendibilità.

3. Osservava che la prova era stata articolata per
capitoli specifici e che la attendibilità dei testi doveva essere valutata
sulla base della possibilità di conoscere i fatti, delle eventuali ragioni di
attrito e dei rapporti esistenti von le parti di causa.

4. La teste M., testimone indifferente, nei
confronti della quale il Ministero non aveva avanzato alcun rilievo, aveva
dichiarato che la direttrice V. chiedeva alla G. continue correzioni dei testi
da lei redatti e la obbligava a lunghe attese dietro la porta del proprio
ufficio; spesso le imponeva compiti richiedenti molte ore di straordinario;
criticava il suo operato con espressioni quali «disgraziata», «idiota» e di
fronte ai colleghi di lavoro diceva che il lavoro della G. «faceva schifo»; le
assegnava il compito, meramente esecutivo, di provvedere alla apertura
dell’ufficio e di sostituire le colleghe assenti anche per espletare compiti  dequalificanti; presentava all’esterno la G.
coma «assistant» e non con la qualifica superiore rivestita («consular agent»).

5.Tali circostanze erano state confermate dai testi
C. e B., che avevano aggiunto che la direttrice negava alla G. i congedi
richiesti sebbene avesse accumulato molte ore di lavoro straordinario,
assegnava agli stagisti compiti di competenza della G., spesso la adibiva a
compiti di centralinista.

6. Si trattava di un complesso di condotte reiterate
e palesemente volte a sminuire e declassare la personalità della G., sia
all’esterno che all’interno del contesto lavorativo, tanto da renderlo per
quest’ultima intollerabile e provocarne, come avvenuto, l’allontanamento.

7. Il Ministero, datore di lavoro, era responsabile
per il mobbing attuato nei confronti della G.. La responsabilità sussisteva
anche a carico della direttrice V., autrice materiale delle condotte;
l’istruttoria non aveva dato, invece, esiti convincenti per il Console S..

8. Il CTU aveva accertato che la condotta del datore
di lavoro aveva cagionato alla G. un danno biologico, consistente in «disturbo
dell’adattamento, in soggetto con disturbo dipendente di personalità con tratti
evitanti», produttivo di una invalidità permanente del 4% e di una invalidità
temporanea parziale al 25% per giorni 60.

9. L’importo del danno biologico, liquidato in
applicazione delle tabelle del Tribunale di Roma, doveva essere raddoppiato, in
relazione alla sofferenza morale derivante dalla lesione della dignità morale
della lavoratrice sul luogo di lavoro.

10. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza F. V., articolato in sei motivi di censura ed illustrato con memoria,
cui ha resistito con controricorso P. G.. Il MINISTERO ha resistito con
controricorso, contenente autonomo ricorso incidentale, affidato a tre ragioni
di censura; la G. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale ed ha
altresì depositato memoria.

11. Il PM ha chiesto il rigetto di entrambi i
ricorsi.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso principale F. V.
ha dedotto— ai sensi dell’articolo 360 nr. 4 cod.proc.civ.- nullità della
sentenza o del procedimento, assumendo la inesistenza della notifica del
ricorso in appello proposto dalla G..

2. Ha esposto di essere rimasta contumace nel
giudizio di primo grado e che la notifica del ricorso in appello, unitamente al
decreto di fissazione della udienza di discussione, era stata effettuata in
data 3 marzo 2011 presso la sede del MINISTERO, nella mani di persona
qualificatasi quale «dipendente addetto alla ricezione degli atti»; in quella
data ella non era più dipendente del MINISTERO, essendo stata collocata a
riposo in data 1 novembre 2010, come da dichiarazione del MINISTERO prodotta in
questa sede.

3. In conseguenza della inesistenza della notifica dell’atto
di appello la sentenza avrebbe dovuto essere cassata senza rinvio; in ogni
caso, a voler qualificare il vizio in termini di nullità della notifica,
avrebbe dovuto essere disposta la cassazione con rinvio, per la rinnovazione
del giudizio di appello, nel quale ella era rimasta intimata.

4. Il motivo è infondato.

5. Va ribadito il principio, affermato dalle Sezioni
Unite di questa Corte (Cassazione civile sez. un., 20/07/2016, nr.14916),
secondo cui la categoria dell’inesistenza della notificazione va definita in
termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che
il legislatore ha ritenuto di non prenderle nemmeno in considerazione. In
definitiva, l’inesistenza della notificazione è configurabile— oltre che in
caso di totale mancanza materiale dell’atto di notifica— nelle sole ipotesi in
cui venga posta in essere un’ attività priva degli elementi costitutivi
essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto, consistenti: a)
nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in
base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in
modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella
fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi
degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù
dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita),
restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito
puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione
meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

6. Si è dunque superata la tesi che include nel
modello legale, facendone derivare, in sua mancanza, la inesistenza della
notificazione, il requisito del «collegamento» tra il luogo della notificazione
e il destinatario: si tratta, infatti, di un elemento che si colloca fuori del
perimetro strutturale della notificazione e la cui assenza ricade nell’ambito
della nullità, sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione
dell’intimato o la rinnovazione dell’atto, spontanea o su ordine del giudice.

7. Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai
consolidato il principio secondo cui la notifica non può dirsi inesistente
allorquando l’atto da notificare risulti regolarmente consegnato, sebbene a
soggetto ed in luogo che si assumono non corretti, potendo essa al più
ritenersi nulla, come tale possibile oggetto di rinnovazione (Cass. sez. II,
07/05/2020, n.8645; sez. III, nr. 6743 dell’ 08/03/2019; Sez. 6 – 3, Ordinanza
nr. 2174 del 27/01/2017; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20659 del 31/08/2317; Sez. 5,
Ordinanza n. 3816 del 16/02/2018; Sez. L. Ordinanza n. 14840 del 07/06/2018).

8. Escluso che il vizio denunciato possa
qualificarsi in termini di inesistenza, nella specie neppure ricorre la
denunciata nullità della notifica.

9. Va al riguardo premesso che, essendo dedotto un
vizio di attività del giudice, questa Corte è investita dell’esame del fatto
processuale.

10. Per quanto risulta dalla relata di notifica,
riprodotta in ricorso, l’atto di appello veniva notificato dall’ufficiale
giudiziario a F. V., domiciliata presso il Ministero degli Affari
Esteri-Dipartimento Collezione Farnesina, in data 3 marzo 2011 e consegnato
nelle mani di E.C., «dipendente addetto ricezione atti, capace, che si incarica
della consegna in sua precaria assenza».

11. Per principio consolidato, la relazione
dell’ufficiale notificante non fornisce la prova della veridicità sostanziale
delle dichiarazioni rese dal consegnatario dell’atto notificato; le
enunciazioni relative ai rapporti tra quest’ultimo e la persona cui l’atto è
destinato o circa la verità intrinseca delle dichiarazioni ricevute
dall’ufficiale giudiziario notificante fanno fede fino a prova contraria, con
la conseguenza che in relazione a queste la parte interessata può fornire la
prova della loro intrinseca inesattezza con tutti i  mezzi consentiti, senza dover ricorrere alla
querela di falso (Cassazione civile sez. VI, 13/12/2017, n.29974 e
giurisprudenza ivi citata).

12. La parte ricorrente contesta che la consegna sia
avvenuta nel luogo di lavoro, producendo una dichiarazione del Ministero in
ordine al suo collocamento a riposo dall’1. novembre 2010.

13. Deve darsi parimenti atto della produzione ad opera
della controricorrente della stampa di varie comunicazioni mail spedite da F.
V. dall’indirizzo istituzionale del MINISTERO (F..V.@esteri.it ), dirette agli
Istituti Italiani di cultura all’estero nelle date del 24 marzo 2011 , 2 maggio
2011, 6 giugno 2011,17 giugno 2011. Tali comunicazioni sono relative alla
organizzazione del «Padiglione Italia» presso la 54″ esposizione
Internazionale d’arte della Biennale di Venezia, con apertura il 4 giugno 2011.
In dette mail la V., oltre ad utilizzare l’indirizzo istituzionale, indicava
come proprio recapito un numero telefonico interno del MINISTERO (4553),
coincidente con quello indicato in precedenti documenti protocollati nella
vigenza del rapporto di lavoro subordinato ( alle date dell’ 1 settembre e 20
ottobre 2010). La controricorrente ha altresì prodotto documento pubblicato sul
web in data 8 maggio 2011, nel quale la V. è designata come «coordinatore per
il Ministero degli Affari esteri degli Istituti Italiani di Cultura al
padiglione Italia».

14.1 citati documenti attestano la presenza della V.
negli uffici del Ministero (come risulta dall’ interno telefonico dedicato)
anche in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato,
al fine di portare a termine il progetto che coinvolgeva gli Istituti italiani
di Cultura all’estero nell’ambito della Biennale di Venezia.

15.Resta per tale via confermata la attendibilità
intrinseca della dichiarazione del consegnatario dell’atto circa la
reperibilità della V. presso gli uffici del Ministero, che non è, del resto,
smentita dalla cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ben potendo
ipotizzarsi la prosecuzione su base volontaria del progetto avviato in costanza
del predetto rapporto di lavoro.

16. Con il secondo mezzo la ricorrente in via principale
ha lamentato — ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— la violazione
e/o falsa applicazione degli articoli 2087 e 2043 cod.civ., contestando la
propria legittimazione alla lite.

17. La ricorrente ha esposto che la lavoratrice
aveva agito unicamente ai sensi dell’articolo 2087 cod.civ. e che, pertanto,
correttamente il Tribunale aveva rilevato il suo difetto di legittimazione
passiva; ha censurato la sentenza impugnata per avere affermato la sua
responsabilità, in solido con il Ministero, in violazione dell’articolo 2087
cod.civ., norma applicabile nei soli confronti del datore di lavoro.

18. Ha lamentato che l’eventuale implicita
affermazione di una sua responsabilità extracontrattuale sarebbe stata comunque
affetta dal vizio di violazione dell’articolo 2043 cod.civ., per mancata
verifica dell’elemento soggettivo dell’illecito.

19. Il motivo è infondato.

20. Le censure non considerano il consolidato
orientamento (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 03/03/2021, n.5832), che
va in questa sede ribadito, secondo cui l’applicazione del principio «iura
novit curia», di cui all’art. 113, comma 1, cod.proc.civ., comporta la
possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai
fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa,
ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta
al suo esame ( fermo restando il limite dei fatti allegati a fondamento della
domanda, delle questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono
rilevabili d’ufficio, dell’attribuzione del medesimo bene domandato).

21. Nella fattispecie di causa il giudice
dell’appello ha positivamente verificato la violazione non solo di obblighi
contrattuali ma anche di diritti personali della lavoratrice di rilievo
costituzionale, quali il diritto alla dignità sul luogo di lavoro (articolo 2
Cost.) ed il diritto alla salute (articolo 32 Cost.); ha inoltre accertato
l’intenzionalità della condotta, necessaria anche alla configurazione della
fattispecie del mobbing ( sull’elemento soggettivo del mobbing, tra le tante:
Cass. Sez. lav. 29 dicembre 2020 nr. 29767; 23 marzo 2020 nr. 7487). In
particolare, il giudice dell’appello ha affermato trattarsi di un complesso di
condotte reiterate «palesemente volte a sminuire e declassare la personalità
della G. sia all’esterno che all’interno del contesto lavorativo…tanto da
renderlo, per quest’ultima, intollerabile e provocarne… l’allontanamento».

22. La affermazione della responsabilità della V. è
dunque immune da errori di diritto.

23. Con la terza critica la parte ricorrente ha
dedotto la nullità della sentenza — ai sensi dell’articolo 360 nr. 4
cod.proc.civ.— per assenza della motivazione in ordine alla propria
responsabilità— non essendone stato chiarito il fondamento giuridico — nonché
per ultrapetizione, in violazione degli articoli 99 e 112 cod.proc.civ., sempre
sul rilievo che la azione era stata proposta esclusivamente sotto il profilo
della responsabilità ex articolo 2087 cod.civ., norma applicabile unicamente al
datore di lavoro sicchè la propria condanna si fondava su una causa petendi
diversa da quella azionata.

24. Il motivo è infondato quanto alla deduzione di
inesistenza della motivazione, inammissibile nel resto.

25. La mancata indicazione del titolo della
responsabilità accertata dal giudice del merito a carico della V. non configura
un vizio di omessa motivazione; la mancanza di motivazione su una questione di
diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione
della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad
un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame, poichè, in
tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad
essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e
di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il
potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di
correggere o integrare la motivazione anche a fronte di un vizio riconducibile
all’art. 360 c.p.c., n. 4, quale l’omessa pronuncia o la motivazione apparente
e ciò mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la
decisione assunta sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti
in fatto ( Cassazione civile sez. lav., 25/06/2020, n.12622).

26. Quanto al vizio di ultrapetizione, la denuncia
difetta di specificità.

27. La parte ricorrente muove dall’assunto che la
azione era stata proposta esclusivamente sotto il profilo della responsabilità
contrattuale (per violazione dell’articolo 2087 cod.civ.) ma non riporta il
ricorso di primo grado né l’atto di appello della lavoratrice, onde consentire
a questa Corte la verifica della violazione denunciata. Ed, invero, anche in caso
di denunzia di un vizio processuale il potere di questa Corte di accesso
diretto agli atti ai fini della verifica del fatto processuale resta
condizionato al previo assolvimento dell’onere di specificità dei motivi
d’impugnazione, sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a
compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la
parte abbia specificamente indicato ed allegato ( Cass. SU . 22/05/2012,
n.8077)

28.Resta fermo, come sopra evidenziato, che il vizio
di ultra o extrapetizione, di cui all’art. 112 cod.proc.civ. è in astratto
configurabile soltanto ove la decisione sia basata non già sulla diversa
qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali
integranti il fatto costitutivo della pretesa (Cass. Sez. III 15 settembre 2020
nr. 19186; Cass. Sez. III 5 agosto 2019 nr. 20932 e giurisprudenza ivi citata).

29. Con la quarta censura la sentenza viene
impugnata— ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— per violazione
dell’articolo 2087 cod.civ.; si assume che il giudice dell’appello avrebbe
violato i principi giurisprudenziali in tema di mobbing, limitandosi ad
elencare una serie di comportamenti commessi ai danni della G. senza accertare
il profilo soggettivo dell’illecito ovvero che essi fossero accompagnati dalla
volontà di emarginare, vessare o comunque nuocere alla lavoratrice.

30. Il motivo è inammissibile.

31. Esso, infatti, ignora il positivo accertamento,
contenuto nella sentenza impugnata, del carattere intenzionale della condotta
della V., diretta a sminuire e declassare la personalità della G. ed a rendere
per lei intollerabile il contesto lavorativo, come già si è detto in relazione
al secondo motivo.

32.La critica non è dunque conferente al
contenutdeIla sentenza impugnata.

33. Con il quinto motivo viene dedotta — ai sensi
dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e/o falsa applicazione degli
articoli 2087 e 1223 cod.civ., sul presupposto che nella fattispecie di causa
non risultava provato il nesso eziologico tra la condotta ed il danno
biologico.

34.La parte ricorrente ha esposto che il ctu aveva
evidenziato che la personalità della G. era caratterizzata da un disturbo di
base di tipo «dipendente» con tratti «evitanti», che aveva contribuito a
renderla strutturalmente fragile e più vulnerabile ad eventi stressanti e nelle
conclusioni aveva attribuito alla vicenda lavorativa carattere di concausa,
unitamente alle caratteristiche di personalità.

35. Il motivo è infondato.

36. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte
in caso di concorso tra causalità umana e concausa naturale il responsabile
dell’illecito risponde per l’intero; infatti una comparazione del grado di
incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una
pluralità di comportamenti umani colpevoli. Nell’ipotesi in cui la persona
danneggiata sia, per la propria condizione soggettiva, più vulnerabile di altri
soggetti della stessa età e sesso, tale circostanza non incide né sul nesso di
causa, ne sull’attribuzione della colpa e nemmeno sulla liquidazione del danno
(Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, n.13864; si veda anche Cassazione
civile sez. lav., 12/06/2019, n.15762; 26/01/2010 , n. 1575).

37. Pertanto, il rapporto eziologico tra il
comportamento di mobbing e la lesione del diritto alla salute sussiste anche
quando detta condotta costituisca solo una 
concausa ed abbia operato su di un substrato psicologico preesistente;
invero ai sensi dell’art. 41 cod.pen. «il concorso di cause preesistenti o
simultanee o sopravvenute … non esclude il rapporto di causalìtà fra l’azione
od omissione e l’evento…»

38. Con la sesta censura si denuncia — ai sensi
dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e/o falsa applicazione degli
articoli 2087, 1223 e 2059 cod.civ., per avere il giudice dell’appello ritenuto
la esistenza del danno alla dignità morale della lavoratrice per il fatto
stesso che ella aveva subito condotte vessatorie e mortificanti laddove il
danno non è in re ipsa  ma costituisce
danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato.

39. Il motivo è inammissibile.

40. Esso non considera che la sentenza impugnata non
ha risarcito la violazione della dignità morale della lavoratrice come come
danno in re ipsa.

41. Il danno risarcito è la sofferenza morale
causata dalla mortificazione subita sul luogo di lavoro (pagina 5 della
sentenza) ovvero un dannoconseguenza, che il giudice del merito ha ritenuto
provato sulla base di presunzioni, tratte dalle modalità della condotta e dal
suo carattere prolungato .

42. Il ricorso principale deve essere
complessivamente respinto.

43.Resta da esaminare il ricorso incidentale del
MINISTERO.

44.Con il primo motivo viene dedotta — ai sensi
dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.—violazione dell’articolo 2087 cod.civ. in
combinato disposto con l’articolo 2697 cod.civ., assumendosi che il giudice
dell’appello avrebbe riconosciuto la responsabilità del MINISTERO in difetto
della prova dell’ elemento soggettivo del mobbing. Si precisa che, anche a
volere configurare la responsabilità del datore di lavoro come responsabilità
contrattuale, con conseguente presunzione di colpa, sarebbe stato comunque
necessario dimostrare il fatto illecito.

45. Il motivo è inammissibile.

46. In ordine alla sussistenza dell’elemento
soggettivo del mobbing si è già detto, nell’esaminare il quarto motivo del
ricorso principale, che il giudice dell’appello ha positivamente accertato la
ricorrenza dell’intenzionalità della condotta e dalla finalità di emarginazione
della dipendente. Tanto in conformità alla giurisprudenza di questa Corte
secondo cui la serie di comportamenti di carattere persecutorio e con intento
vessatorio integranti il mobbing può prevenire direttamente da parte del datore
di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti
al potere direttivo dei primi. La circostanza che la condotta di mobbing
provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica
rispetto alla vittima non vale ad escludere la responsabilità del datore di
lavoro ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto
lesivo (Cassazione civile sez. lav. 25/07/2013, n.18093; Cass. n. 22858/2008).

47. Il Ministero, nel dare atto di tale
accertamento, sostiene che l’ elemento soggettivo avrebbe dovuto essere
argomentato sulla base delle prove raccolte e che nella fattispecie di causa la
prova non sarebbe stata  raggiunta. In
tal modo, piuttosto che dedurre un errore di diritto, il ricorrente incidentale
chiede a questa Corte un nuovo esame del merito.

48. Con il secondo mezzo il Ministero ha denunciato
— ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.— omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti,
consistente nella condotta della G., di rilievo disciplinare e nella sua idoneità
«ad elidere il dedotto nnobbing», come dedotto nella comparsa di costituzione
in appello ( alla pagina 2 ed alla pagina 7).

49. Il motivo è inammissibile, in quanto fondato su
fatti storici già in astratto privi di rilevanza decisiva: è evidente, infatti,
che una condotta disciplinarmente rilevante può dare luogo a sanzioni ma non
può essere allegata quale causa di giustificazione di una condotta di mobbing.

50. Con il terzo motivo il MINISTERO ha impugnato la
sentenza per violazione dell’articolo 1223 cod.civ., assumendo che il mero
rilievo di un nesso concausale tra la vicenda lavorativa ed il danno biologico,
nonostante il marcato rilievo attribuito dal ctu alla genesi endogena della
patologia, sarebbe insufficiente a configurare la causalità civilistica,
secondo il criterio del «più probabile che non».

51. Il motivo è infondato.

52. Il giudice dell’appello, aderendo alle
conclusioni del ctu, ha  positivamente
accertato la rilevanza causale della condotta lavorativa, in termini di
concausa rispetto ai fattori endogeni.

53. Quanto alla irrilevanza dei fattori psicologici
preesistenti ad escludere la efficienza causale della condotta illecita, si
rinvia a quanto osservato in riferimento al sesto motivo del ricorso
principale.

54. Il ricorso incidentale va dunque
complessivamente respinto.

55. La ricorrente in via principale ed il MINISTERO,
ricorrente  incidentale, sono tenuti alla
refusione delle spese nei confronti di P. G., parte controricorrente, nella
misura liquidata in dispositivo.

56.Trattandosi di giudizio instaurato
successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto— ai
sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art.
13 DPR 115/2002)— della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di
versamento da parte di F. V., ricorrente in via principale, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la
impugnazione integralmente rigettata, se dovuto. Non ricorrono detti
presupposti nei confronti del MINISTERO, ricorrente in via incidentale, in
quanto l’ Amministrazione dello Stato, a tenore del D.P.R. 30 maggio 2002 n.
115, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal
pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. SU 20 febbraio
2020 n. 4315).

 

P.Q.M.

 

rigetta entrambi i ricorsi. Condanna V. F. ed il
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE pagamento in
favore di P.G. delle spese di giudizio in misura, a carico di ciascuna delle
parti ricorrenti, di € 200 per esborsi ed € 3.000 per compensi professionali,
oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della ricorrente in via principale V. F. dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2021, n. 35061
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: