Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2021, n. 35993

Collaborazione autonoma, Sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato, Stabile inserimento nell’organizzazione aziendale, Potere
direttivo datoriale

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Brescia, in accoglimento
del ricorso proposto dalla dott.ssa L. M., medico addetto a prelievi di sangue
e referti, ha accertato e dichiarato che tra la ricorrente e la S.I. s.r.l. era
intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in regime di
part time nel periodo dal 1 gennaio 1982 al dicembre 1990 e, dal settembre 1992
all’agosto 2016, invece, con un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno.

2. La Corte di merito, in esito all’istruttoria
disposta in appello, ha accertato che la dottoressa, legata alla società da un
rapporto di collaborazione autonoma, in realtà era stata inserita dalla società
in turni fissi; che per assentarsi, per ferie o malattia, doveva essere
autorizzata; che di fatto era stabilmente inserita nell’organizzazione
datoriale prestando la sua attività sulla base delle direttive impartitele
senza alcun margine di autonomia gestionale e decisionale. Inoltre la Corte di
merito ha accertato l’illegittima estromissione della lavoratrice dal 1.1.2015
e, preso atto che per l’effetto la stessa avrebbe avuto diritto ad essere
reintegrata e che tale tutela non era più accordabile atteso che la lavoratrice
dall’agosto 2016 era in pensione, la Corte di appello ha condannato la società
appellata al pagamento di un’indennità risarcitoria che ha quantificato in
dodici mensilità di retribuzione tenuto conto delle dimensioni dell’impresa e
dell’anzianità di servizio della lavoratrice.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso la S. I. s.r.l. affidato a tre motivi ulteriormente illustrati da
memoria ai sensi dell’ad 380 bis 1 cod. proc.civ. ai quali ha resistito con
controricorso la dott.ssa M..

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 47 della legge 28 giugno 2012
n. 92 per avere la Corte di appello accolto il reclamo sebbene non
sussistessero le condizioni per l’applicazione del rito previsto dalla legge 28
giugno 2012 n. 92. Sostiene la società ricorrente che a fronte di una errata
utilizzazione del rito la Corte avrebbe dovuto definire il processo con una
mera pronuncia processuale.

5. Il motivo è infondato. L’accertamento della
natura giuridica del rapporto di lavoro, così come l’individuazione del
soggetto che si assume essere datore di lavoro, è compatibile con il rito
speciale previsto dall’art. 1, comma 48, della I. n. 92 del 2012, rientrando le
relative questioni tra quelle che il giudice deve affrontare e risolvere nel
percorso per giungere alla decisione di merito sulla domanda concernente la
legittimità o meno del licenziamento (cfr. Cass. 10/09/2018 n. 21959,
08/01/2019 n. 186, 18/11/2019 n. 29889 ). Al giudice è demandato, infatti, di
individuare la fattispecie secondo il canone della prospettazione ed incontra
il solo limite di quelle artificiose (cfr. Cass. 01/06/2020 n. 10415). La
violazione della disciplina relativa all’introduzione della causa mediante il
rito c.d. Fornero può essere dedotta come motivo di impugnazione solo se la
parte indichi il concreto pregiudizio alle prerogative processuali derivatole
dalla mancata adozione del predetto rito, con conseguente interesse alla
relativa rimozione (Cass. 10/03/2020 n. 6754 e 27/01/2015 n. 1448).

6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 e 2222 cod. civ. e l’omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Sostiene la ricorrente che la Corte avrebbe trascurato di considerare che era
del tutto mancante la prova dell’assoggettamento dell’attività svolta al potere
direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Il giudice di appello avrebbe
valorizzato alcuni elementi asseritamente emersi dall’istruttoria e avrebbe
fatto ricorso a numerose presunzioni per ritenere sussistente un rapporto di
lavoro subordinato. Non avrebbe indagato sulla consistenza del potere direttivo
e sulle modalità con le quali si era in concreto espresso. Si era limitato,
infatti, a valorizzare una generica testimonianza che dava conto del fatto che
la lavoratrice ” sottostava alle direttive del laboratorio di
analisi”; non, quindi, ad ordini specifici inerenti alla particolare
attività svolta, diversi dalle direttive di carattere generale, realizzanti
quel controllo cogente e quella vigilanza costante, ingerenze idonee a svilire
l’autonomia del lavoratore. Osserva che nella specie le direttive attenevano al
puro coordinamento e non erano specifiche. Inoltre deduce che la valorizzazione
dell’inserimento nell’organigramma sarebbe del tutto priva di rilievo. Con riguardo
poi agli indici sussidiari sostiene la società S. I. che sarebbe errato  attribuire rilevanza decisiva
all’assoggettamento ad un orario organizzato in turni senza considerare la
circostanza decisiva che i turni erano stabiliti con modalità consensuale tenendo
conto delle disponibilità e senza imposizione della turnazione. Con riguardo
all’obbligo di comunicare le assenze ne deduce il carattere non decisivo per
definire subordinato il rapporto. Deduce infine che la Corte avrebbe del tutto
trascurato di considerare il nomen iuris attribuito dalle parti al contratto,
espressione della volontà dalle stesse con riguardo a quello specifico
rapporto.

7. La censura è in parte inammissibile ed in parte
infondata.

6.1. Seppure sia stata denunciata come un vizio di
violazione di legge, e nello specifico come errata sussunzione dei fatti
accertati nella fattispecie astratta, la censura, nella sostanza, si risolve in
una diversa valutazione delle emergenze istruttorie che, peraltro, sono solo in
parte prese in esame sulla base di una ricostruzione alternativa del materiale
probatorio più favorevole alla ricorrente.

6.2. Va al contrario rilevato che i fatti
ricostruiti dalla Corte territoriale, sulla base della scelta discrezionale
affidata al giudice di merito delle prove rilevanti e decisive, sono stati
esattamente ricondotti alla fattispecie astratta senza che la sentenza sia
incorsa nelle violazioni di legge denunciate.

6.3. La tipicità delle mansioni svolte (medico
addetto ai prelievi ed alla refertazione) non richiedeva quelle stringenti e
vincolanti direttive sulle modalità di svolgimento della prestazione
caratterizzata da una elevata competenza tecnica. In questo senso gli elementi
sussidiari sono stati giustamente valorizzati. L’inserimento della lavoratrice
nell’organizzazione aziendale è stato ritenuto accertato in relazione allo
svolgimento dell’attività secondo turni prestabiliti, rispetto ai quali i
desiderata espressi non sono risultati vincolanti per il datore di lavoro.

La Corte ha inoltre accertato che le assenze non
solo dovevano essere comunicate ma anche giustificate ed il godimento delle
ferie necessitava di autorizzazione. Infine nella sentenza, a corollario della
ricostruzione delle modalità di svolgimento della prestazione, si è accertato
che l’orario richiesto non consentiva lo svolgimento di altre attività poiché
la ricorrente, al pari degli altri medici prelevatori in regime di
subordinazione, doveva restare a disposizione del datore di lavoro anche al di
fuori del turno.

6.4. Orbene la sussistenza o meno della
subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero –
organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia
limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella della società,
oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e
continuativamente dall’interesse della stessa (cfr. con riguardo ad un  rapporto di consulenza fiscale Cass. n. 3594
del 2011 ed anche Cass.20/04/2011 n. 9054 con riguardo ad un collaboratore di
un laboratorio di analisi). L’elemento dell’assoggettamento, ove non sia
agevolmente apprezzabile a causa delle peculiarità delle mansioni (e, in
particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo
atteggiarsi del rapporto, autorizza il riferimento a criteri complementari e
sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle
prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze
fisse della retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività
lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dall’assenza in
capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi
che privi ciascuno di valore decisivo possono essere valutati globalmente come
indizi probatori della subordinazione” (cfr. Cass. 19/04/2010 n. 9252). La
Corte territoriale ha applicato tali criteri nel caso esaminato, caratterizzato
da una prestazione con forti connotati tecnicoprofessionali, accertando la
continuità della prestazione resa secondo orari e in luoghi stabiliti
dall’impresa nel proprio interesse, nei confronti di clienti della società e
con mezzi e nell’ambito della organizzazione propria di questa, il pagamento
mensile di un compenso fisso, anche in caso di assenza dal lavoro
preventivamente comunicata alla società, l’assenza di una qualsivoglia
organizzazione imprenditoriale o di rischio in capo alla M., e correttamente ha
ritenuto di minor rilievo viceversa o attribuendo un valore relativo alla
volontà espressa dalle parti (cfr. Cass. 27/07/2009 n. 17455). In conclusione,
sulla base della complessiva valutazione di tutti gli elementi considerati,
correttamente la Corte di merito è pervenuta all’accertamento della natura
subordinata del rapporto dedotto. Si tratta di ricostruzione in fatto che nella
fase della sussunzione non incorre nelle censure denunciate i avendo la Corte
territoriale, nel procedere alla valutazione della natura del rapporto
sottoposto al suo esame, attinto al dato relativo all’ inserimento della
lavoratrice nell’organizzazione dell’impresa ed agli altri indici univocamente
significativi ‘utilizzato in maniera articolata l’insieme degli indicatori più
sopra riassunti, traendo dalla unitaria valutazione di essi il proprio
convincimento finale.

7. L’ultimo motivo, con il quale si deduce l’omesso
esame di un fatto decisivo consistente nella mancata costituzione in mora della
società dopo la risoluzione del rapporto ai fini di una sua risoluzione per
mutuo consenso e, comunque, del risarcimento del danno da liquidare è
inammissibile in quanto non intercetta affatto la ratio decidendi della
sentenza con riguardo agli effetti della accertata esistenza di contratti a
termine ripetuti tra le parti in luogo della collaborazione autonoma.

7.1. La Corte territoriale ha infatti da un canto
escluso la possibilità di ricostituire il rapporto oramai definitivamente
cessato a seguito del collocamento in pensione della lavoratrice; dall’altro ha
ritenuto applicabile al caso concreto l’art. 32 della legge n. 183 del 2010 ed
ha liquidato un’indennità risarcitoria nella misura forfetaria di dodici
mensilità

7.2. Ne consegue che la censura avrebbe dovuto
contestare l’applicazione di tale disposizione ed insistere,argomentandone le
ragioni, per l’applicazione al caso concreto della disciplina civilistica.

7.3. Come è noto, infatti, l’indennità di cui
all’art. 32 citato è indifferente alla costituzione in mora da parte del
lavoratore e consegue automaticamente all’accertamento della nullità dei
termini apposti ai contratti a prescindere dalla prova concreta di un danno,
trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva per i danni causati
dalla nullità del termine (cfr. Cass. 29/02/2012 n. 3056, 11/03/2019 n. 3962).

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e
le spese, liquidate n dispositivo seguono la soccombenza. Ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità liquidate in € 5.250,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13
comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

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