Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 novembre 2021, n. 36727

Rapporto di lavoro, Cessione di azienda, Assunzione,
Dirittto, Accordo sindacale

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di Torino ha respinto
l’appello della D. Logicistica s.r.I., confermando la pronuncia di primo grado
con cui era stata accolta la domanda di F. P. volta alla declaratoria del
diritto ad essere assunto alle dipendenze della predetta società, quale
cessionaria della Agenzia D. in amministrazione straordinaria, per effetto
dell’accordo sindacale sottoscritto il 26.11.2012, ai sensi dell’art. 47, I. n.
428 del 1990.

2. La Corte territoriale ha respinto le censure di
nullità della sentenza di primo grado per mancata lettura del dispositivo in
udienza (primo motivo di appello) e per contraddittorietà della motivazione
(secondo motivo); ha ritenuto che la società appellante non avesse allegato né
provato le modalità e i criteri in base a cui erano stati attribuiti i punteggi
per la scelta dei lavoratori che la cessionaria si era obbligata ad assumere,
in relazione alle esigenze tecnico organizzative (terzo motivo); ha definito
nuove e come tali inammissibili le censure di genericità del ricorso
introduttivo di primo grado (quarto motivo) e infondato il rilievo sulla
mancata indicazione, nel ricorso del P., del lavoratore da licenziare al suo
posto (quinto motivo); ha giudicato inammissibile la contestazione, da parte
della società, del quantum di retribuzione rivendicato nonché l’eccezione di
aliunde perceptum e percipiendi poiché sollevate per la prima volta in appello
(sesto motivo); infondato il rilievo sulla mancata indicazione del livello di
inquadramento, delle mansioni e della retribuzione spettanti al P. in relazione
al riconosciuto diritto all’assunzione presso la cessionaria (settimo motivo).

3. Avverso tale sentenza la D. Logicistica s.r.l. ha
proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi. F. P. ha resistito con
controricorso.

4. E’ stato depositato atto di costituzione di nuovo
difensore (avv. F.R.) nell’interesse del P., con allegata procura speciale. La
D. Logistica s.r.l. ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

5. Preliminarmente, si dà atto che la difesa del P.
ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione perché privo, nella
copia notificata, della sottoscrizione del difensore e l’improcedibilità dello
stesso per essere la procura apposta su foglio separato non unito da timbro di
congiunzione al ricorso ed anche privo di data.

6. L’eccezione non merita accoglimento.

7. Questa Corte ha chiarito che, qualora l’originale
del ricorso per cassazione rechi la firma del difensore munito di procura
speciale e l’autenticazione, ad opera del medesimo, della sottoscrizione della
parte che gli ha conferito la procura, la mancanza degli stessi elementi sulla
copia notificata non determina l’inammissibilità del ricorso ove la predetta
copia fornisca alla controparte sufficienti elementi per acquisire la certezza
della sua rituale provenienza da quel procuratore (v. Cass. n. 10450 del 2020;
n. 4558 del 2011; n. 636 del 2007; n. 11513 del 2007; n. 20817 del 2006), come,
nel caso in esame, la sottoscrizione della relata di notifica da parte del
medesimo procuratore.

8. Quanto alla mancanza di data sulla procura
speciale apposta in calce al ricorso, su foglio separato, l’anteriorità di tale
procura rispetto alla notifica del ricorso alla controparte può essere desunta
dalla sua trascrizione nella copia notificata alla controparte (v. Cass., S.U.
n. 12625 del 1998; Cass. n. 8372 del 1996).

9. Con il primo motivo di ricorso è dedotta
violazione e falsa applicazione dell’art. 429 cod. proc. civ. (art. 360, comma
1, n. 3 cod. proc. civ.) in ragione della mancata lettura del dispositivo
all’esito dell’udienza dinanzi al Tribunale, come si evince dalla comparazione
tra la comunicazione a mezzo PEC inviata dal Tribunale per la causa in oggetto
(in cui è scritto “sentenza ex art. 429, 1° co cpc numero 2536/2013”)
e le comunicazioni inviate via PEC per altre cause di lavoro (recanti la
seguente dicitura “Lettura dispositivo. Deposito sentenza dispositivo
letto in udienza”).

10. Il motivo è infondato, in quanto l’adempimento
di avvenuta lettura del dispositivo e della contestuale motivazione risulta dal
verbale d’udienza (“All’esito della camera di consiglio il Giudice
pronuncia la seguente sentenza contestuale, ai sensi dell’art. 429 c.p.c.,
contenente il dispositivo e l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione”) che è dotato di fede privilegiata (v. Cass. 440 dei
2009) e la cui efficacia probatoria non può essere scalfita dal contenuto delle
comunicazioni di cancelleria, su cui la censura si fonda. Questa Corte ha
precisato (Cass. n. 19299 del 2006) che “nel rito del lavoro deve
attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, al verbale di udienza
redatto dal cancelliere, anche con riferimento alla parte contenente
l’indicazione dell’avvenuta lettura del dispositivo in udienza; ne consegue che
l’allegata omissione della lettura in udienza del dispositivo della sentenza
(requisito previsto a pena di nullità della sentenza stessa) non può essere
provata per testimoni, e che rimane irrilevante, ove sia mancata la
proposizione della querela di falso, che la parte deduca, nei propri scritti
difensivi, che la lettura del dispositivo in udienza in realtà non sia mai
avvenuta”. Peraltro, è lo stesso art. 429 cod. proc. civ. ad usare il
verbo “pronunciare” (“Nell’udienza il giudice, esaurita la
discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con
cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione
delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”), nel significato di
“dire, proferire…dire pubblicamente” così come inteso dai giudici
di appello in relazione al contenuto del verbale d’udienza.

11. Con il secondo motivo è denunciata violazione o
falsa applicazione degli artt. 156, 429 e 439 cod. proc. civ. (art. 360, comma
1, n. 3 cod. proc. civ.) per non avere la Corte d’appello dichiarato la nullità
della sentenza di primo grado a causa della omessa lettura del dispositivo in
udienza.

12. Il motivo è assorbito dal rigetto del primo
motivo di ricorso.

13. Con il terzo motivo è dedotta violazione degli
artt. 24 e 111 Cost. sul rilievo per cui il riferimento, nella motivazione
della sentenza di primo grado, al “prospetto oggi prodotto dalla società
convenuta” renderebbe plausibile l’assunto di redazione della motivazione
in epoca antecedente all’udienza di discussione del 19.11.13, atteso che il
prospetto citato era stato depositato via PEC il 13/14.11.13.

14. Il motivo è inammissibile atteso che la Corte di
merito ha interpretato la sentenza di primo grado escludendo che l’utilizzo
dell’espressione “prospetto oggi prodotto” potesse supportare i vizi
dedotti dall’attuale parte ricorrente e quest’ultima non ha censurato tale
interpretazione attraverso la specifica deduzione di violazione dei criteri di
ermeneutica contrattuale (v. Cass. n. 16057 del 2016; n. 6226 del 2014). La
censura di violazione di legge si basa, quindi, su un presupposto fattuale
smentito dalla sentenza d’appello.

15. Col quarto motivo si censura la decisione
d’appello per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. riguardo alla
discrezionalità dei punteggi assegnati secondo l’accordo sindacale del
26.11.2012 (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.).

16. La censura è infondata in quanto non ricorre
alcuna anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità, secondo i
limiti tracciati dalla sentenza delle S.U. n. 8053 del 2014. Si è infatti in
presenza di una motivazione certamente esistente, priva di intrinseche
illogicità e che delinea in modo chiaro i limiti entro cui avrebbe potuto
operare la discrezionalità

consentita dall’accordo ex art. 47, I. n. 428 del
1990: “Mentre… per l’attribuzione dei punteggi relativi ai criteri
dell’anzianità aziendale e dei carichi di famiglia l’accordo stabiliva modalità
oggettive, aritmetiche.., è vero che per il criterio delle esigenze tecnico
organizzative era stato lasciato all’azienda un margine di discrezionalità:
tale discrezionalità, peraltro, doveva avere ad oggetto, necessariamente, le
modalità di attribuzione del punteggio e non già, direttamente, la scelta dei
lavoratori da assumere. In altre parole, la D. Logistica poteva legittimamente
stabilire, ad esempio, di attribuire 1 punto per ogni anno (o biennio o
quinquennio) di svolgimento delle mansioni proprie dei rami d’azienda acquisiti
dalla Agenzia D. in A.S. (recapito e notifiche) per valorizzare l’esperienza
pregressa nei servizi rientranti nel suo Piano Industriale e quindi l’utilità
di ogni lavoratore per l’azienda acquirente, ma non poteva spingere la sua
discrezionalità fino a scegliere di assumere Tizio anziché Caio in base a
criteri non oggettivi, non dichiarati e non verificabili…”.

17. Con il quinto motivo si deduce violazione o
falsa applicazione dell’art. 47 della I. n. 428 del 1990 riguardo ai criteri di
scelta di cui all’accordo sindacale del 26.11.2012 (art. 360, comma 1, n. 3
cod. proc. civ.). Si sostiene, richiamando anche decisioni di merito emesse su
vicende analoghe, che il rinvio, nel citato accordo sindacale, ai criteri di
cui alla legge n. 223 del 1991 costituiva solo un parametro di riferimento e
che, comunque, l’eventuale inosservanza degli stessi non avrebbe potuto far
sorgere il diritto del lavoratore all’assunzione presso la cessionaria (art.
360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).

18. Il motivo è inammissibile anzitutto per mancata
trascrizione dell’accordo sindacale (non essendo sufficiente, ai fini dell’art.
366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., il deposito dello stesso; v. Cass., S.U, n.
22726 del 2011; Cass. n. 19069 del 2011; n. 20535 del 2009; n. 15628 del 2009;
n. 29279 del 2008) ed inoltre in quanto la questione, secondo cui l’eventuale
inosservanza dei criteri di scelta indicati nell’accordo non avrebbe potuto far
sorgere il diritto del lavoratore all’assunzione presso la cessionaria, non
risulta affrontata nella decisione d’appello e l’attuale parte ricorrente non
indica in quali atti processuali e in che termini tale questione era stata
sollevata.

19. E’ consolidato l’orientamento di questa Corte
per cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di
cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente,
al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della
censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di
merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo
abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex
actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della
suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del
2015; n. 11166 del 2018).

20. Con il sesto motivo è dedotta violazione o falsa
applicazione dell’art. 47 della I. n. 428 del 1990 riguardo all’esatto
adempimento dell’accordo sindacale del 26.11.2012 da parte della società
ricorrente (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Si afferma che la società
ha adempiuto all’obbligo di assumere n. 49 lavoratori, in esecuzione
dell’accordo sindacale citato che lasciava alla discrezionalità delle parti
l’applicazione del criterio di scelta per esigenze organizzative, in deroga
all’art. 2112 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).

21. Il motivo è inammissibile anzitutto per mancata
trascrizione dell’accordo sindacale, come già rilevato, ed inoltre perché la
parte ricorrente censura non l’interpretazione ed applicazione dell’art. 47
cit. bensì l’interpretazione data dai giudici di merito all’atto negoziale –
accordo sindacale – senza fare riferimento alla violazione dei canoni
ermeneutici.

22. Con il settimo motivo è dedotta violazione o
falsa applicazione della legge n. 428 del 1990 riguardo all’accordo sindacale
del 26.11.2012 in merito al numero di lavoratori assunti (art. 360, comma 1, n.
3 cod. proc. civ.). Si assume che la Corte di merito, imponendo l’assunzione di
un altro lavoratore, oltre ai 49 oggetto dell’accordo citato, abbia
disapplicato l’art. 47 cit. e l’accordo medesimo.

23. Il motivo è inammissibile in quanto si fonda su
un assunto che non trova riscontro negli atti processuali e cioè che la
sentenza d’appello abbia imposto l’assunzione del 50° lavoratore là dove tale
pronuncia ha statuito (pag. 11) che “il Tribunale …ha accertato
l’inadempimento della D. Logistica all’obbligo di assunzione dalla stessa
liberamente assunto con la sottoscrizione dell’accordo sindacale 26.11.2012 e
ne ha tratto le inevitabili conseguenze”. La Corte di merito,
conformemente al Tribunale, ha cioè giudicato illegittima la mancata assunzione
del P. in quanto la società ” a cui spettava il relativo onere probatorio,
non ha dimostrato di avere rispettato i criteri di scelta previsti dall’accordo
sindacale del 26.11.2012 e, in particolare, non ha affatto dimostrato perché al
sig. P. siano stati preferiti altri soggetti, nonostante avessero minore
anzianità aziendale e minori o comparabili carichi di famiglia rispetto a
lui…” (v. sentenza d’appello pagg. 9 e 10), così facendo riferimento
agli unici due criteri di scelta, previsti dal citato accordo, ed utilizzabili
in quanto oggettivi e predeterminati.

24. Con l’ottavo motivo si deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 1227 cod. civ. e dell’art. 437 cod. proc. civ. per non
avere la sentenza impugnata considerato che l’aliunde perceptum e percipiendum
può essere rilevato d’ufficio dal giudice, anche in presenza di eccezione non
tempestiva (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).

25. Il motivo è infondato. E’ vero, come più volte
affermato da questa S.C., che la deduzione dell’aliunde perceptum o
percipiendum integra una eccezione in senso lato ed è pertanto rilevabile dal
giudice o dalla parte tardivamente, ma essa presuppone comunque l’allegazione
da parte del datore di lavoro di circostanze di fatto rilevanti ai fini della
limitazione dei danno (v. Cass. n. 5310 del 2016; n. 25679 del 2014) e nulla in
tal senso ha dedotto la società.

26. Col nono motivo si denuncia violazione o falsa
applicazione dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990 in relazione all’art. 9
dell’accordo 26.11.2012 quanto all’inquadramento del lavoratore e alla
determinazione della retribuzione (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Si
sostiene che la statuizione della sentenza d’appello, che ha dichiarato il
diritto del P. all’assunzione presso la D. Logistica nello stesso livello
contrattuale e con mansioni equivalenti a quelli che aveva presso la cedente,
presuppone l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ., invece derogato
dall’accordo sindacale che all’art. 9, a proposito del trattamento economico
del personale trasferito, ha previsto che “la cessionaria continuerà ad
applicare il CCNL Imprese Private operanti nella Distribuzione, nel Recapito e
Servizi Postali…ed applicherà a tutti i lavoratori oggetto del passaggio il
trattamento contrattuale minimo previsto per ciascun livello di appartenenza,
azzerando tutte le voci retributive di miglior favore”.

27. Il motivo è inammissibile per mancata
trascrizione dell’accordo sindacale che si assume contenesse la previsione di
applicazione, ai lavoratori ceduti, del contratto collettivo in vigore presso
la cessionaria.

28. Per le ragioni esposte, il ricorso va respinto.

29. La regolazione delle spese segue il criterio di
soccombenza.

30. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di
lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per
legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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