Giurisprudenza – TRIBUNALE DI MILANO – Sentenza 18 novembre 2021, n. 2798

Licenziamento per giusta causa, Carattere ritorsivo,
Reazione alle pretese avanzate a mezzo pec, Riconoscimento dell’esistenza di
un rapporto di lavoro subordinato, Accertamento

 

Esposizione delle ragioni di
fatto e di diritto della decisione

 

Con ricorso del 23/4/2021, (…) ha agito nei
confronti di (…) al fine di ottenere l’annullamento del licenziamento
intimato per giusta causa in data 12/8/2020 in quanto ritorsivo e, comunque, illegittimo.
Parte ricorrente ha quindi richiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

“Nel merito In via principale:

– accertare, previi gli ulteriori accertamenti di
cui sopra, che la contestazione disciplinare di cui il signor (…) è stato
reso destinatario a mezzo raccomandata ricevuta in data 06.08.2020, ed a cui ha
fatto seguito la comminazione del licenziamento per giusta causa, costituisce
una reazione alle pretese dallo stesso legittimamente avanzate a mezzo pec del
17.07.2020, allorquando rivendicava il riconoscimento dell’esistenza di un
rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di diversa società, e
segnatamente

– accertare e dichiarare, per tutte le ragioni
esposte nella narrativa del presente atto e da intendersi ivi integralmente richiamate
e trascritte, che il licenziamento per giusta causa comminato da (…) nei
confronti del signor (…) è ritorsivo;

– per l’effetto, ai sensi e per gli effetti deII’art. 2 D. Lgs. n. 23/2015, previo
accertamento della nullità del licenziamento, ordinare a (…) in persona del
legale rappresentante pro-tempore, la reintegrazione del signor (…) nel posto
di lavoro, salva la facoltà per questi di chiedere, in sostituzione della
reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di
riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, e condannare la
Società al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di
cui sia stata accertata la nullità e inefficacia, stabilendo a tal fine
un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo
del trattamento di fine rapporto, in misura non inferiore a 5 mensilità
dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine
rapporto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

In via subordinata:

– nella denegata e non creduta ipotesi in cui
venisse escluso il carattere ritorsivo del licenziamento, accertare e
dichiarare che non ricorrono nel merito gli estremi del licenziamento per
giusta causa che (…) in persona del legale rappresentante pro-tempore, ha
comminato nei confronti del signor (….) conseguentemente, ai sensi e per gli
effetti dell’art. 3, comma 1, D.
Lgs. n. 23/20/5, dichiarare risolto il rapporto di lavoro alla data del
licenziamento con condanna di (…), in persona del legale rappresentante
pro-tempore, al pagamento in favore del signor (…)  dell’indennità, non soggetta a contribuzione
previdenziale, che, a fronte dell’intervenuta declaratoria di illegittimità
costituzionale dell’art. 3 comma 1
del D. Lgs. n. 23/2015 limitatamente alle parole “di importo pari a
due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
rapporto per ogni anno di servizio ” (Corte
Costituzionale, sentenza n. 194/2018, depositata il 08.11.18 e pubblicata
in G.U. il 14.11.18 n. 45), sia determinata, pur ne! rispetto dei limiti di
mensilità indicati nella norma (dalle 4 alle 24), nella misura massima tenendo
conto non già soltanto dell’anzianità di servizio ma altresì del numero dei
dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica e del comportamento
e condizioni delle parti.

In ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed
onorari oltre ad Iva e Cpa come per legge”.

Il ricorrente ha riferito.

– di essere stato formalmente assunto, in data
17/4/2018, dalla società (…) con sede in (…) facente parte del gruppo
(…), in qualità di Impiegato, con inquadramento nella categoria 6° Livello
del CCNL Industria Metalmeccanica e della Installazione di Impianti, verso una
retribuzione lorda mensile, erogata per le 13 mensilità contrattuali, di €
2.538,46, maggiorata dell’indennità di trasfertista;

– che, nonostante il rapporto di lavoro fosse
formalmente in essere con la società (…), sin dall’assunzione del 17.04.2018
e senza soluzione alcuna di continuità, ha, di fatto, prestato la propria
attività lavorativa, in modo continuo, sistematico e pressoché esclusivo, per
(…) appartenente al medesimo;

– che, con decorrenza dal 01.12.2019, il suo
contratto individuale di lavoro veniva ceduto a (…) senza che intervenisse
alcuna modifica alle modalità di svolgimento e alla retribuzione;

– che la cessione del contratto a (…) è avvenuta
senza la sua accettazione e senza formale notifica della stessa;

– che, e precisamente nel mese di gennaio 2020, gli
è stato riconosciuto il superiore livello di inquadramento professionale, id
est, il 7° Livello del CCNL di settore, con conseguente incremento della
retribuzione;

– che, a seguito dell’aumento, è stato oggetto di
atteggiamenti ostili e di isolamento da parte dei suoi colleghi che lo hanno
costretto in malattia;

– di aver rivendicato, con lettera del 17/7/2020, la
costituzione di un rapporto di lavoro, sin dal 17/4/2018, alle dipendenze di
(…);

– che, a fronte di ciò e con evidente intento
ritorsivo, (…) gli ha contestato una serie di addebiti e, poi, ritenute insoddisfacenti
le sue giustificazioni, il licenziamento per giusta causa che ha impugnato.

(…) non si è costituita nonostante la regolarità
della notifica ed è stata dichiarata contumace.

La causa, interrogato il ricorrente, viene decisa a
seguito di discussione orale con lettura del dispositivo della motivazione
contestuale al termine della camera di consiglio.

In primo luogo, si osserva come la sussistenza del
rapporto di lavoro tra il ricorrente e (…) risulta dall’estratto del Centro
per l’Impiego e dall’estratto conto previdenziale emesso dall’INPS oltre che
dalle buste paga in atti (v. doc.ti 65, 66 e 10 ricorrente).

E’ inoltre documentale che il ricorrente sia stato
licenziato dalla convenuta (…) lettera del 12/8/2020 che il ricorrente ha
provveduto tempestivamente a impugnare (v. doc.ti 34 e 35 ricorrente).

Né (…) risulta aver svolto il ruolo di datore di
lavoro meramente formale del ricorrente. Dalla documentazione in atti emerge
infatti che il ricorrente ricevesse le buste paga e i relativi pagamenti dalla
convenuta. Ciò è confermato anche nel ricorso. Il ricorrente ha inoltre
prodotto registri delle presenze presso (…) oltre a email dalle quali risulta
che gli era stato assegnato indirizzo email con dominio (v. doc. 10 e 18). Vi è
inoltre in atti comunicazione con cui il ricorrente si impegna a restituire a i
beni aziendali (v. doc. 36).

Lo stesso ricorrente, nel corso dell’interrogatorio
libero, ha confermato che era (…) il suo datore di lavoro.

Ciò premesso, è noto che “In tema di licenziamento,
l’art. 5 della I. n. 604 del
1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l’onere di provare
la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, sicché il giudice
non può avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova, il
cui uso è consentito solo quando sia necessario dirimere un’eventuale
sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o
modificativi, oppure quando, assolto l’onere probatorio dalla parte che ne sia
onerata, sia l’altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte,
fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte
(cfr. Cass. 16.8.2016 n. 17108).

È evidente che, nel caso di licenziamento
disciplinare, il datore di lavoro che contesti ad un lavoratore di aver posto
in essere un determinato comportamento ha. o quanto meno dovrebbe avere, gli
elementi necessari a dimostrarne la sussistenza di tale comportamento,
eventualmente anche mediante presunzioni, mentre il lavoratore che neghi
l’esistenza del comportamento o la sua rilevanza disciplinare dovrebbe provare
anche in via presuntiva eventuali fatti positivi contrari a quello contestato o
attestanti l’insussistenza delta sua rilevanza disciplinare, fermo restando
l’onere probatorio gravante in via principale sul datore di lavoro. (…)

Nel caso di contumacia del datore di lavoro, il
fatto contestato è indimostrato e, quindi, insussistente, senza ulteriori oneri
probatori a carico del lavoratore, ai fini della tutela reintegratoria”
(v. Tribunale Roma sez. lav., 12/05/2020, n.2442).

Ciò è quanto si è verificato anche nel caso di
specie, in cui il datore di lavoro, rimasto contumace, non ha assolto il
proprio onere probatorio di dimostrare la sussistenza del fatto contestato.

Il ricorrente, in via principale, ha chiesto
l’accertamento della natura ritorsiva del licenziamento per essere questo stato
intimato a fronte della rivendicazione della sussistenza di un rapporto di
lavoro alle dipendenze di (…) oltre che del pagamento delle ore di
straordinario prestato (v. doc. 27).

Nel rispondere a tale comunicazione, con lettera del
30/7/2020, (…) ha contestato al ricorrente una serie di negligenze – relative
alla timbratura delle presenze, all’utilizzo di un badge di (…), alla
richiesta di autorizzazione dello straordinario, alla proroga della CIG Covid,
alla gestione dei buoni pasto commesse anche alcuni anni (si parla di errate
timbrature risalenti anche al 2018) o mesi prima rispetto alla contestazione.

Nella stessa lettera di licenziamento la società dà
atto di aver soprasseduto alle predette negligenze sino al ricevimento della
lettera di rivendicazione.

L’arco temporale ristretto tra la rivendicazione e
il licenziamento, l’addebito di fatti anche risalenti nel tempo e l’ammissione
della convenuta di aver in precedenza soprasseduto, sono elementi sintomatici e
presuntivi della natura ritorsiva del provvedimento espulsivo. Nel nostro caso,
poi, non avendo la convenuta introdotto elementi a dimostrazione dei fatti
contestati, non risulta sussistente alcuna ulteriore motivazione alla base del
licenziamento che risulta quindi determinato esclusivamente dall’intento di
rappresaglia (cfr. Cassazione sez. lav. n. 14139/2013).

Il licenziamento per ritorsione, diretta o
indiretta, è – come è noto – un licenziamento nullo, quando il motivo
ritorsivo, come tale illecito, sia stato l’unico determinante dello stesso, ai
sensi del combinato disposto degli artt. 1418,
2° comma, 1345 e 1324
c.c..

Deve dunque applicarsi, ratione temporis, la tutela
di cui all’art. 2 del D.lgs.
23/2015. Il datore di lavoro deve essere quindi condannato a reintegrare il
ricorrente nel proprio posto di lavoro e a corrispondergli – tenuto conto del
tempo intercorso dalla data del licenziamento alla notifica del ricorso –
un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto (pari all’importo non contestato di euro 4.233,40, v. verbale
9/9/2021) detratto l’aliunde perceptum e oltre al pagamento dei contributi
previdenziali e assistenziali.

Spese secondo soccombenza con liquidazione in
dispositivo ex d.m. 55/2014.

 

P.Q.M.

 

definitivamente pronunciando, visto l’art. 429 c.p.c., ogni diversa istanza ed eccezione
disattesa o assorbita, così dispone:

Annulla il licenziamento intimato da (…) al
ricorrente e condanna la resistente a reintegrare il ricorrente nel proprio
posto di lavoro e a corrispondergli un’indennità risarcitoria pari a 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (euro 4.333,40), oltre al
versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;

Condanna altresì la parte resistente a rimborsare
alla parte ricorrente le spese di lite, che si liquidano in € 5.259,00 oltre
i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali.

Giurisprudenza – TRIBUNALE DI MILANO – Sentenza 18 novembre 2021, n. 2798
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