Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 novembre 2021, n. 43604

Durc, Omissione contributiva, Configurabilità del reato di
cui all’art. 90, comma 9 lett. a), d. Igs n. 81/2008

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 16 novembre 2018, il Tribunale
di Ascoli Piceno condannava M.C. alla pena di 2.500 euro di ammenda, in quanto
ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 90 comma 9 lett. a) del d. Igs n.
81 del 2008, a lui contestato per non avere verificato, in qualità di
amministratore della società “A. Costruzioni s.r.l.”, relativamente
al cantiere sito in San Benedetto del Tronto, l’idoneità dell’impresa
affidataria dei lavori C-H.R.E. s.r.I., in particolare non verificando il
possesso del Durc, avendo la predetta impresa effettuato i pagamenti dei
contributi Inps solo fino al 16 marzo 2013.

Fatto accertato il 22 luglio 2015 in San Benedetto
del Tronto.

2. Avverso la sentenza del Tribunale marchigiano,
C., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto appello, convertito in
ricorso per cassazione, sollevando due motivi.

Con il primo, la difesa contesta la formulazione del
giudizio di colpevolezza dell’imputato, osservando che questi era stato tratto
in inganno dall’impresa affidataria dei lavori, per cui, anche a titolo di
colpa, non era configurabile la consapevolezza da parte di C. del fatto
descritto nell’imputazione.

Con il secondo motivo, la difesa si duole sia della
mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., sia del diniego delle
attenuanti generiche, osservando che in tal senso il Tribunale ha valutato solo
i precedenti penali dell’imputato.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso è inammissibile per manifesta
infondatezza

1. Iniziando dalle censure sull’affermazione della
penale responsabilità dell’imputato, deve rilevarsi che le stesse, invero non
adeguatamente specifiche, non sono idonee a scalfire il percorso argomentativo
seguito dal Tribunale rispetto alla sussistenza del reato contestato e alla sua
ascrivibilità a C..

E invero il Giudice monocratico ha innanzitutto
operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamando gli esiti
dell’attività investigativa svolta dalla Direzione Provinciale del Lavoro di
Ascoli Piceno, il cui personale ispettivo, il 22 luglio 2015, si recava presso
il cantiere sito in San Benedetto del Tronto, dove erano in corso lavori di
costruzione di un fabbricato destinato a civile abitazione.

All’interno del cantiere vi erano due operai della
società C-H.R.E. s.r.I., il cui legale rappresentante veniva identificato in
A.D.B..

Nel corso delle verifiche di rito, veniva accertato
che la C-H.R.E. s.r.l. era una società di intermediazione finanziaria e quindi
era priva dei requisiti tecnici necessari per poter operare nel cantiere,
venendo altresì appurato che la società, non avendo versato i contributi
previdenziali, era sprovvista del Durc.

La ditta committente dei lavori veniva individuata
nella “A. Costruzioni” s.r.I., il cui legale rappresentante veniva
identificato nel ricorrente M. C..

Questi è stato dunque legittimamente ritenuto
colpevole del reato di cui all’art. 90 comma 9 lett. a) del d. Igs n. 81 del
2008, norma che sanziona l’omessa verifica da parte del committente o del
responsabile del lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori, della
idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese
esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da
affidare, verifica che nel caso di specie è mancata, non avendo C., nella sua
veste di amministratore della società committente, accertato che l’impresa affidataria
dei lavori non presentava la necessaria idoneità tecnico-professionale, non
essendo in possesso del Durc, a causa del mancato pagamento dei contributi
previdenziali in favore dei propri dipendenti.

Orbene, in quanto sorretto da considerazioni razionali
e coerenti con le fonti dimostrative disponibili, il giudizio di colpevolezza
dell’imputato in ordine al reato ascrittogli non presta il fianco alle censure
difensive, articolate in modo generico,

essendo rimasta del tutto assertiva l’affermazione
contenuta nel ricorso, secondo cui C. sarebbe stato tratto in inganno
dall’impresa affidataria dei lavori.

Di qui l’inammissibilità della doglianza in punto di
responsabilità.

2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto
al secondo motivo.

In proposito, deve osservarsi che il giudice
monocratico, nel giustificare il diniego delle attenuanti generiche, ha
rimarcato in senso ostativo la “gravità del fatto” e “i
precedenti penali dell’imputato per reati della stessa indole”. Con tali
argomenti, non manifestamente illogici, la difesa non si confronta, avendo
omesso altresì di indicare specificamente gli elementi suscettibili di positiva

– considerazione che il Tribunale avrebbe omesso di
apprezzare in senso contrario, il che impone di ritenere la doglianza generica
e dunque inammissibile, dovendosi richiamare sul punto la condivisa
affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv.
271269), secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito
esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di
legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli,
degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati
preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.

2.1. Il medesimo carattere di genericità connota
anche la censura sul mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex
art. 131 bis cod. pen.

Al riguardo, deve osservarsi che, se è vero che, in
sede di conclusioni, la difesa aveva invocato, in via subordinata, la
qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità, con conseguente
proscioglimento dell’imputato, è tuttavia altrettanto vero che dalla lettura
complea della motivazione si desume che vi sia stato un rigetto implicito da
parte del Tribunale della sollecitazione difensiva.

Deve essere infatti ritenersi valida anche per
l’istituto di cui all’art. 131 bis cod.pen. l’affermazione di questa Corte,
elaborata con riferimento al diniego delle attenuanti generiche (cfr. Sez. 1,
n. 12624 del 12/02/2019, Rv. 275057), secondo cui la richiesta di concessione
delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione
implicita, allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di
attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di
motivi, ciò in applicazione del più generale principio secondo cui non è
censurabile, in sede di legittimità, la sentenza per il silenzio su una
specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa
sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente
considerata (cfr. sul punto, ex multis, Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep.
2019, Rv. 275500).

Da ciò consegue che anche la richiesta di
applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen.
deve ritenersi implicitamente disattesa, qualora la struttura argomentativa
della decisione richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che
escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità. Ciò è
quanto avvenuto nella vicenda in esame, atteso che la sentenza impugnata, sia
pure con riferimento alla valutazione sulla concedibilità delle attenuanti
generiche, ha valorizzato, in senso ostativo, sia i precedenti penali
dell’imputato per reati della stessa indole, aspetto questo che mal si concilia
con il necessario requisito della non abitualità del comportamento del soggetto
agente, sia la gravità del fatto, affermazione che, pur nella sua estrema
sintesi, non ha tuttavia trovato adeguata smentita nel ricorso, nel quale
invero non sono stati indicati gli eventuali elementi che avrebbero
giustificato in positivo il riconoscimento dell’invocata causa di non
punibilità; la doglianza sollevata al riguardo deve pertanto essere ritenuta
non specifica, a fronte di una sentenza che, nel suo percorso argomentativo,
aveva nel complesso rimarcato l’offensività del fatto, consistito del resto
nell’omesso controllo da parte dell’imputato di un aspetto (ovvero
l’adeguatezza professionale dell’impresa incaricata di determinati lavori) non
proprio insignificante e non privo di possibili ripercussioni nell’ottica della
prevenzione degli infortuni sul lavoro.

3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza
delle doglianze sollevate, l’impugnazione proposta nell’interesse di C. deve
essere dichiarata inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto conto della sentenza della Corte
costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di
ritenere che il gravame sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone infine che il
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in
favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della Cassa delle ammende.

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