Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 ottobre 2021, n. 38423

Sicurezza sul lavoro, Subappalto dei lavori, Omessa verifica
della idoneità tecnico professionale dell’impresa incaricata, Responsabilità,
Prescrizione del reato

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la
sentenza di condanna che, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti
all’aggravante, ha condannato G.C., in qualità di legale rappresentante della
R. s.r.l., alla pena di euro 500,00 di multa per il reato di cui agli artt. 113 e 590
cod.pen., oltre al risarcimento del danno, in solido con il responsabile
civile R. s.r.l., nei confronti della costituita parte civile (per avere, quale
committente di lavori di smantellamento di capannoni, provocato lesioni a G.B.,
il quale precipitava dall’alto, non essendo munito di alcun presidio
anticaduta, con colpa consistita nella mancata nomina di un coordinatore per la
sicurezza dei lavori e nella mancata verifica della idoneità tecnica della
impresa incaricata, in data 19 aprile 2013. Più precisamente, al fine di
smantellare alcuni capannoni in lamiera, ubicati su un terreno nella sua
disponibilità, la R. S.r.l. ha appaltato il lavoro all’impresa C. S.r.l., la
quale a sua volta l’ha subappaltato all’impresa individuale di A.A., che, per
portare a termine l’attività, si è avvalso dell’aiuto di G.B., suo conoscente.
Quest’ultimo, durante la realizzazione dei lavori, su indicazione di A.A.,
salendo, privo di protezioni, sul tetto di uno dei capannoni, è caduto ed ha
riportato lesioni).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per
cassazione G.C., a mezzo del difensore, deducendo: 1) il difetto di motivazione
in ordine al primo motivo di appello, avente ad oggetto l’assenza del profilo
di colpa relativo alla omessa verifica della idoneità tecnico professionale
della impresa incaricata ed alla rilevanza causale di tale omissione – profilo
rilevante ai fini non solo del trattamento sanzionatorio, ma anche
dell’eventuale applicazione dell’art. 131 -bis
cod.pen.; 2) la violazione dell’art. 590
cod.pen., essendo stata applicata una pena superiore al massimo edittale di
euro 309, la cui congruità è stata giustificata in modo erroneo in
considerazione della possibile conversione della pena detentiva in pena
pecuniaria, non disposta nel caso in esame.

3. La Procura Generale presso la Corte di cassazione
e la parte civile hanno concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Preliminarmente osserva il Collegio come il reato
per il quale l’imputato è stato tratto a giudizio, che risale al 19 aprile
2013, deve ritenersi ormai prescritto, non risultando ulteriori periodi di sospensione
della prescrizione rispetto a quello collegato all’emergenza sanitaria,
previsto dal combinato disposto degli artt. 2 e 4 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18,
convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

2. Al riguardo, va precisato che l’odierno ricorso
non appare inammissibile né affetto da altro vizio che ne precluda l’esame nel
merito (come si evidenzierà nel prosieguo).

3. L’impugnazione proposta deve, tuttavia, essere
valutata agli effetti civili, secondo quanto prescritto dall’art. 578 cod.proc.pen. (v. da ultimo Sez. 5, n.
24469 del 09/04/2019, Fiore, Rv. 276513 – 01, secondo cui il giudice, nel
dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale in primo grado sia
intervenuta condanna anche al risarcimento del danno, è tenuto a decidere su
tale ultima questione effettuando una piena cognitio sulla responsabilità
dell’imputato, anche se la parte civile non abbia manifestato espressamente il
proprio interesse alla trattazione del procedimento in appello e non vi abbia
partecipato – fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza che, dopo
aver interpellato mediante comunicazione di cancelleria la parte civile perché
manifestasse il proprio interesse alla celebrazione del processo, in assenza di
risposta, aveva dichiarato la prescrizione del reato e revocato le statuizioni
civili della sentenza di primo grado).

4. Il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto
l’omessa valutazione della censura di appello relativa ad una delle condotte
contestate, è manifestamente infondato, atteso che la sentenza impugnata ha,
sia pure sinteticamente, risposto in modo congruo alla censura dell’appello
avente ad oggetto le condotte colpose contestate. In particolare, in ordine
all’omessa verifica dell’idoneità tecnica dell’impresa incaricata, la Corte
territoriale, anche richiamando le argomentazioni del giudice di primo grado,
ha sottolineato che l’eventuale omessa conoscenza del subappalto dei lavori è,
comunque, nel caso di specie, riconducibile alla negligenza dell’imputato, che
ha sostanzialmente confermato di non aver svolto specifici controlli. A ciò si
aggiunga che la rilevanza causale dell’omessa verifica, da parte del
committente, dell’idoneità tecnico professionale dell’appaltatore si ricava
chiaramente dalla motivazione della sentenza di primo grado, che integra quella
impugnata, trattandosi di doppia conforme: una verifica accurata e responsabile
avrebbe comportato la scelta di altra impresa.

La decisione in esame risulta, del resto, conforme
agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, atteso che il
committente non può limitarsi a “confidare” (come prospettato nel
ricorso) che l’appaltatore abbia le competenze tecniche necessarie per
procedere ai lavori esclusivamente sulla base dell’accettazione dell’incarico,
ma è tenuto ad eseguire un controllo effettivo sulla struttura organizzativa
dell’impresa incaricata e sulla sua adeguatezza rispetto alla pericolosità
dell’opera commissionata – in particolare, in caso di lavori in quota, il
committente deve assicurarsi dell’effettiva disponibilità, da parte
dell’appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza (v., per tutte, Sez. 3,
n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 267744, in materia di infortuni sul
lavoro, il committente ha l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico
professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione
anche alla pericolosità dei lavori affidati – fattispecie, relativa alla morte
di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un
fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di
omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione
oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che
questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli
consentisse di lavorare in sicurezza). Si è pure precisato che, in materia di
infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di
appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi
nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l’idoneità
tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in
relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l’obbligo di
verifica di cui all’art. 90,
lett. a), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non può risolversi nel solo controllo
dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, che integra un
adempimento di carattere amministrativo (Sez. 4, n.
28728 del 22/09/2020, Olivieri, Rv. 280049).

Né è pertinente, nel caso di specie, il richiamo,
fatto dal ricorrente, alla procedura semplificata prevista dal secondo periodo
dell’art. 90, comma 9, lett. a),
d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ai sensi del quale nei cantieri la cui entità
presunta è inferiore a 200 uomini- giorno e i cui lavori non comportano rischi
particolari di cui all’allegato XI, il
requisito dell’idoneità tecnico professionale si considera soddisfatto mediante
presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato
di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento
unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al
possesso degli altri requisiti previsti dall’allegato
XVII. Difatti, come si ricava dalla lettera della legge, tale procedura
semplificata è inapplicabile laddove l’appalto abbia ad oggetto lavori che
comportano i rischi particolari di cui all’allegato
XI, tra cui è espressamente compreso quello di caduta dall’alto.

5.Il secondo motivo, avente ad oggetto il
trattamento sanzionatorio, è assorbito in considerazione dell’intervenuta
prescrizione del reato, non incidendo sulla valutazione del ricorso ai fini
della responsabilità civile del ricorrente.

Per completezza, deve, tuttavia, precisarsi che tale
censura, a differenza della prima, non risultava manifestamente infondata e che
proprio, in considerazione di ciò, si è dichiarata la prescrizione del reato.

Invero, pur eliminate le circostanze aggravanti, in
virtù del giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche, il
reato contestato nel presente procedimento resta quello originario (lesioni
gravi commesse con violazione delle norme sulla disciplina degli infortuni sul
lavoro) e non ricade in quelli di competenza del Giudice di pace. Da tale
premessa consegue che la pena applicabile non è esclusivamente quella
pecuniaria prevista dall’art. 52
del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (multa “da lire cinquecentomila a
cinque milioni”, convertiti in euro 258 a 2.582), ma è, tuttora, quella
dell’art. 590, comma 1, cod.pen. (la reclusione
sino a 3 mesi o, in alternativa, la multa sino a euro 309,00). Non può,
difatti, ritenersi che l’art. 590, comma 1,
cod.pen., sia stato implicitamente abrogato dall’art. 52 del d.lgs. citato, riferendosi
quest’ultima disposizione esclusivamente ai reati di competenza del Giudice di
pace. Né il sistema sanzionatorio così ricostruito risulta irragionevole e,
quindi, in contrasto con l’art. 3 della Cost.,
atteso che, sebbene i reati di competenza del Giudice di pace, di disvalore
sicuramente inferiore, sono puniti con una pena pecuniaria più elevata, quelli
di competenza del giudice superiore, di maggiore disvalore, continuano ad
essere puniti anche con la pena detentiva.

Invero, la pena pecuniaria massima sino ad euro
309,00, prevista dall’art. 590, comma 1, cod.pen.
avrebbe potuto essere aumentata ai sensi dell’art.
133-bis, comma 2, cod.pen., ai sensi del quale il giudice può aumentare la
multa o l’ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un
terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura
massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa.
Tuttavia, nelle motivazioni delle sentenze dei giudici di merito non vi è
traccia né dell’esercizio di tale potere né di una originaria pena detentiva
convertita in pena pecuniaria, sicché la censura in esame, lungi dall’essere
inammissibile o manifestamente infondata, avrebbe dovuto essere accolta.

6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere
annullata, agli effetti penali, per l’intervenuta prescrizione del reato,
mentre il ricorso deve essere rigettato, agli effetti civili, con conseguente
condanna del ricorrente alla rifusione delle spese nei confronti della parte
civile.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio, agli effetti penali, la
sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il
ricorso, ai fini civili, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese
sostenute dalla costituita parte civile B.G., che liquida in complessivi euro
tremila, oltre accessori come per legge.

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